Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11147 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11147 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18011-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 121/2024 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 14/06/2024 R.G.N. 1/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 121/2024 la Corte d’appello di Caltanissetta, in riforma della pronuncia del Tribunale di Gela e in sede di
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 18011/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 09/04/2025
CC
riassunzione a seguito di rinvio da parte di questa Corte (sentenza n. 32838 del 2023), ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare inflitto dalla RAGIONE_SOCIALE ad NOME COGNOME in data 26.2.2016 e risolto, a tale data, il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti, con condanna della società al pagamento di una indennità risarcitoria, ex art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970, pari a 21 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e spese.
2. Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale -dato atto del definitivo accertamento della condotta tenuta dal lavoratore in data 11.2.2016, consistita in ingiurie (espressioni verbali) e minacce lievi (strattonamento) al caposquadra – ha ritenuto che l’infrazione disciplinare addebitata al lavoratore, seppur sussistente e antigiuridica, non integrasse gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo, con conseguente illegittimità del licenziamento per sproporzione della sanzione espulsiva irrogata; in ordine al regime sanzionatorio da applicare, ritenuto che la condotta non potesse ricondursi alle ipotesi punite con sanzione conservativa dal CCNL applicato in azienda (Chimici, energia, petroli) -in quanto l’art. 51 del CCNL del 2010 delinea una nozione troppo lata mentre l’art. 55, prima parte, del CCNL 2017 non era vigente all’epoca della commissione dei fatti e dell’intimazione del provvedimento disciplinare -ha disposto, ex art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970 la risoluzione del rapporto di lavoro e la condanna al pagamento del risarcimento del danno, nonché condanna al pagamento dell’indennità di mancato preavviso e con compensazione delle spese di lite per tutti i gradi di giudizio.
Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
-Con il primo ed il secondo motivo si lamenta -rispettivamente, come da rubriche proposte dallo stesso ricorrente -‘violazione e falsa applicazione di legge, dell’art. 18, comma 5, l. 20 maggio 1970, n. 300, modificato ex lege 28 giugno 2012, n. 92, dell’articolo 111 della costituzione; degli artt. 132, secondo comma, n. 4 ed art. 118 disp. att. cod. proc. civ. degli artt. 55 (codice disciplinare) e 66 del CCNL che riguarda Chimici-energia e petrolio -rinnovato con accordo del 25/01/2017 dalle parti sociali, e vizio di omessa ed apparente motivazione, ex art. 360 n.3 e 4 c.p.c.’ nonché ‘violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 18, comma 4, e comma 5 della l. n. 300 del 1970, nel testo novellato della l. n. 92 del 2012, degli artt. 55 (codice disciplinare) e 66 del CCNL che riguarda chimici-energia e petrolio -rinnovato con accordo del 25/01/2017 dalle parti sociali, e vizio di omessa ed apparente motivazione relativamente alla mancata applicazione di tali articoli del ccnl che prevedono una sanzione conservativa, con riferimento all’art. 360 n. 3 -5 c.p.c.’ avendo, la Corte territoriale, escluso l’applicazione del CCNL del 2017 nonostante le parti sociali ne avessero espressamente previsto l’applicazione retroattiva (sin dal gennaio 2016); conseguentemente, la condotta accertata andava sussunta nell’art. 55, prima parte, del suddetto CCNL che prevede una sanzione conservativa ove il dipendente ‘ si renda responsabile di ingiurie e/o minacce lievi nei confronti degli altri dipendenti’,
con conseguente applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970.
Il primo e il secondo motivo di ricorso, che vanno trattati congiuntamente in quanto entrambi concernenti l’applicazione retroattiva del CCNL di settore, non meritano accoglimento.
La Corte territoriale ha accertato che la sanzione conservativa invocata dal lavoratore e prevista dalla Parte VI, art. 55 del CCNL Chimici, Energia e Petrolio è stata introdotta in un momento successivo sia alla condotta disciplinarmente contestata sia al provvedimento espulsivo adottato dal datore di lavoro. Invero, l’art. 55, parte prima, del CCNL 25.1.2017 prevede una sanzione conservativa per ‘ chi si renda responsabile di ingiurie e/o minacce lievi nei confronti degli altri dipendenti’ che, peraltro , ‘non era esistente alla data di commissione del fatto (11.2.2016) e neppure alla data del licenziamento disciplinare (26.2.2016), il quale formalmente è stato irrogato a norma dell’art. 52 del CCNL del 18.12.2009 -27.5.2010’. Considerato che il CCNL 25.1. 2017 individua, all’art. 66, la vigenza contrattuale per il periodo 1.1.2016 -31.12.2018 (quindi anche per un periodo retroattivo rispetto alla data di stipulazione) e che la condotta tenuta dal lavoratore appare idonea ad essere sussunta nella previsione negoziale, il quesito posto a questa Corte è se debba tenersi in considerazione, ai fini della scelta del regime sanzionatorio di cui al comma 4 (piuttosto che il comma 5) dell’art. 18, della legge n. 300 del 1970, di una sanzione conservativa inserita nel Codice disciplinare solamente in data successiva all’infrazione contestata e al provvedimento espulsivo.
Con riguardo all’efficacia nel tempo dei contratti collettivi di diritto comune, questa Corte è più volte intervenuta in ordine al trattamento economico del dipendente, affermando che non
esiste nel vigente ordinamento giuridico un principio di parità di trattamento economico dei lavoratori, che impedisca alla disciplina collettiva di prevedere in determinate situazioni una differenziazione della retribuzione pur a parità di categoria e di mansioni e che, pertanto, le parti sociali, nell’esercizio della loro autonomia collettiva, possono prevedere, in occasione del rinnovo di un contratto collettivo, che determinati aumenti della retribuzione, riconosciuti con effetto retroattivo, spettino unicamente ai lavoratori in servizio alla data del rinnovo, e non anche ai lavoratori cessati dal servizio a tale data, ancorché in servizio nel precedente periodo, relativamente al quale siano stati (retroattivamente) attribuiti i miglioramenti retributivi (cfr. da ultimo, Cass. n. 29906 del 2021).
E’ stato, inoltre, affermato sempre con specifico riguardo al trattamento retributivo dei lavoratori -il divieto di retroattività in peius delle clausole del contratto collettivo in quanto una modifica peggiorativa per il passato travolgerebbe i diritti già acquisiti dal lavoratore in attuazione dell’applicazione del contratto collettivo precedente (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 12098 del 2010; Cass. n. 22126 del 2015; Cass. n. 31148 del 2022).
Ebbene, in ordine alla previsione della disposizione finale di un contratto collettivo che fissi il periodo (triennale) di efficacia e, in via del tutto generica, affermi la retroattività delle clausole, deve escludersi che possano ritenersi incluse le disposizioni ivi dettate in materia di Codice disciplinare.
Invero, il regime sanzionatorio previsto dal legislatore avverso i provvedimenti disciplinari illegittimi è apprezzabilmente mutato con la legge n. 92 del 2012 che ha previsto plurimi regimi di tutela superando l’unicità della tutela reintegratoria per i licenziamenti individuali. Il novellato quadro
di riferimento, letto anche alla luce degli ultimi interventi del giudice delle leggi (in specie, Corte Cost. n. 129 del 2024) è stato, sostanzialmente, confermato dal d.lgs. n. 23 del 2015 (nonché dal d.lgs. 87 del 2018). In particolare, la tutela reinteg ratoria ‘attenuata’ è stata ricollegata alle ipotesi di illegittimità di licenziamento disciplinare ritenute più gravi, ossia ai casi in cui il giudice accerta che il fatto è insussistente (da un punto di vista materiale o giuridico) ovvero che è riconducibile fra le condotte suscettibili di sanzioni conservative in base al Codice disciplinare applicabile.
La previsione, ad opera della contrattazione collettiva, di sanzioni conservative comporta, dunque, -con riguardo ai comportamenti ivi individuati (sia tipizzati sia sussumibili in clausole generali, cfr. sul punto Cass. n. 11665 del 2022) -l’esclusio ne della sanzione espulsiva. Il nuovo apparato sanzionatorio (art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, come novellata dalla legge n. 92 del 2012 e, del pari, l’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015) persegue, invero, il preciso obiettivo di riservare la sanzione più severa (ossia la tutela reintegratoria) in caso di abuso consapevole del potere disciplinare, che implica una sicura e chiaramente intellegibile conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoro della illegittimità del provvedimento espulsivo derivante o dalla insussistenza del fatto contestato oppure dalla chiara riconducibilità del comportamento contestato nell’ambito della previsione della norma collettiva fra le fattispecie ritenute dalle par ti sociali inidonee a giustificare l’ espulsione del lavoratore.
Come, infatti, sottolineato recentemente dal giudice delle leggi (Corte Cost. n. 129 del 2024, p.9.3.) ‘Le previsioni della contrattazione collettiva sono espressione dell’autonomia negoziale di entrambe le parti, si che la predeterminazione della
sanzione conservativa consente al datore di lavoro di conoscere in anticipo la gravità di specifiche inadempienze del lavoratore e quindi di adeguare ex ante il provvedimento disciplinare senza correre il rischio di dover subire l’alea di un successivo giudizio di proporzionalità: se la ratio del ridimensionamento della rilevanza del sindacato di proporzionalità, recato dal d.lgs. n. 23 del 2015, è anche quella di garantire maggiore certezza, tale finalità risulta ampiamente soddisfatta dalla puntuale tipiz zazione operata dalla contrattazione collettiva’ .
Il rispetto del principio di certezza del diritto e la finalità perseguita dai legislatori del novellato apparato sanzionatorio avverso i licenziamenti illegittimi, impone, pertanto, di escludere la retroattività delle clausole negoziali del contratto collettivo dedicate al Codice disciplinare in un contesto, come quello in esame, in cui il nuovo contratto collettivo, stipulato in epoca successiva a quella della intimazione del provvedimento espulsivo, si limita genericamente (e quindi senza alcun riferimento esplicito al regime delle sanzioni disciplinari) a far retroagire la propria vigenza ad epoca anteriore a quella dei fatti oggetto del presente giudizio.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione di legge, degli artt. 91, 92, 112, 132 c.p.c., comma 2, n. 4; dell’art. 111 cost., e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 avendo, la Corte territoriale compensato le spese di lite nonostante la pronunzia adottata modificasse in senso favorevole al lavoratore la precedente pronunzia della Corte territoriale (in punto di indennità di mancato preavviso).
Il motivo non è fondato.
Nel giudizio di legittimità il sindacato sulle pronunzie dei giudici del merito riguardo alle spese di lite è diretto solamente
ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, restando del tutto discrezionale – e insindacabile – la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (da ultimo, Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 10009 del 2003).
14. Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione di legge, dell’art. 18, comma 5, l. 20 maggio 1970, n. 300, modificato ex lege 28 giugno 2012, n. 92, dell’art. 3 decreto legislativo n.23/2015, dell’articolo 111 della costituzione; degli artt. 132, secondo comma, n. 4 ed art. 118 disp. att. cod. proc. civ., e vizio di motivazione apparente ex art. 360 n.3, 4 e 5 c.p.c. avendo, la Corte territoriale, determinato un’indennità risarcitoria pari a 21 mensilità di retribuzione, spettando, invece -in considerazione dell’anzianità di servizio pari a venti anni di attività lavorativa la misura massima di 36 mensilità di retribuzione (questione già sollevata nel ricorso per cassazione e ritenuta assorbita dalla Corte di legittimità).
15. Il motivo è inammissibile in quanto investe la concreta determinazione delle mensilità (dell’indennità risarcitoria) attribuite al lavoratore, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la determinazione, operata dal giudice di merito tra il minimo ed il massimo è censurabile solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. n. 13380 del 2006, Cass. n. 107 del 2001), principio ribadito in tema di determinazione dell’indennità ex art. 32, comma 5 L. n. 183/2010 che rinvia al parametro dell’art. 8 L. n. 604/1966 ( ex plurimis , Cass. n. 25484/2019, Cass. n. 1320/2014).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono liquidate in dispositivo in ossequio al principio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.