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Retribuzioni post conversione: non vanno restituite

Una lavoratrice, dopo aver ottenuto la conversione del suo contratto a termine, veniva condannata a restituire le somme percepite dopo la sentenza di primo grado. La Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che le retribuzioni post conversione del rapporto di lavoro sono dovute e non ripetibili, distinguendole dall’indennità risarcitoria forfettaria prevista dalla legge.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Retribuzioni Post Conversione: La Cassazione Sancisce il Diritto alla Non Restituzione

L’ordinanza in commento affronta una questione cruciale per i lavoratori che ottengono in giudizio la conversione del proprio contratto a termine illegittimo. In particolare, chiarisce la sorte delle retribuzioni post conversione, ovvero quelle maturate dopo la sentenza che accerta la natura a tempo indeterminato del rapporto. La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: tali retribuzioni sono un diritto acquisito del lavoratore e non possono essere oggetto di restituzione, distinguendole nettamente dall’indennità risarcitoria prevista dalla legge.

I Fatti del Caso: Dalla Conversione alla Richiesta di Restituzione

Una lavoratrice aveva ottenuto dal Tribunale il riconoscimento della nullità del termine apposto al suo contratto di lavoro, con conseguente conversione dello stesso in un rapporto a tempo indeterminato. In seguito, la Corte d’Appello, in parziale riforma, aveva applicato la normativa sopravvenuta (l’ius superveniens dell’art. 32 della L. 183/2010), condannando l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria forfettaria pari a 8 mensilità. Contestualmente, la Corte d’Appello aveva condannato la lavoratrice a restituire l'”eccedenza” percepita in forza della precedente sentenza del Tribunale, che era stata provvisoriamente esecutiva.

Il Ricorso in Cassazione e i motivi di doglianza

La lavoratrice ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando tre motivi principali. I due motivi accolti, strettamente connessi tra loro, sono di particolare interesse.

Le retribuzioni post conversione e l’omessa pronuncia

Con il primo motivo, la ricorrente ha lamentato che il giudice d’appello avesse completamente ignorato la sua domanda, riformulata alla luce delle nuove leggi, di ottenere le retribuzioni maturate successivamente alla data della sentenza di primo grado. La difesa della lavoratrice sosteneva che questo diritto fosse autonomo e distinto rispetto all’indennità risarcitoria forfettizzata, la quale copre solo il periodo tra la scadenza del termine illegittimo e la sentenza di conversione.

L’errata inclusione degli stipendi nell’eccedenza da restituire

Con il secondo motivo, la lavoratrice ha contestato la decisione di includere, nell’importo da restituire, anche gli stipendi percepiti per il periodo successivo alla conversione del rapporto. Secondo la ricorrente, queste somme non potevano essere considerate un'”eccedenza” e, in base a un consolidato principio giuridico, non erano soggette a ripetizione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi, ritenendoli fondati. I giudici hanno chiarito che la domanda relativa alle retribuzioni post conversione ha una sua autonoma rilevanza e non può essere considerata assorbita o implicitamente respinta dalla statuizione sull’indennità risarcitoria. Citando precedenti pronunce (Cass. n. 15208/2020), la Corte ha ribadito che l’applicazione dello ius superveniens non elimina la necessità di una pronuncia specifica sulla spettanza delle retribuzioni maturate dopo la sentenza di conversione.

Ancora più importante è il principio affermato in relazione al secondo motivo. La Cassazione ha stabilito che il giudice d’appello ha errato nel ritenere ripetibili le somme percepite dalla lavoratrice dopo la conversione del rapporto. Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 e la propria giurisprudenza (Cass. n. 13045/2020), ha specificato che l’indennità prevista dall’art. 32 della L. 183/2010 è “forfetizzata” e “onnicomprensiva” solo per i danni causati dalla nullità del termine nel cosiddetto “periodo intermedio” (dalla scadenza del contratto alla sentenza). Successivamente a tale periodo, la retribuzione è pienamente dovuta e non è ripetibile.

Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza a tutela dei lavoratori. La distinzione tra l’indennità risarcitoria forfettaria e il diritto alle retribuzioni maturate dopo la conversione del rapporto è netta. Mentre la prima ristora il danno per il passato, le seconde rappresentano il corrispettivo dovuto per la prestazione lavorativa in un rapporto di lavoro riconosciuto come a tempo indeterminato. Pertanto, le retribuzioni post conversione non possono essere considerate parte di un'”eccedenza” da restituire, garantendo così al lavoratore la certezza economica che deriva dal riconoscimento giudiziale del proprio diritto a un lavoro stabile.

Qual è il destino delle retribuzioni percepite dal lavoratore dopo la sentenza che converte il suo contratto a termine in uno a tempo indeterminato?
La Corte di Cassazione ha stabilito che tali retribuzioni sono dovute e non devono essere restituite, anche se una legge successiva (ius superveniens) ha modificato il regime risarcitorio per il periodo precedente.

L’indennità risarcitoria prevista dalla L. 183/2010 copre anche gli stipendi maturati dopo la sentenza di conversione?
No. L’indennità forfettizzata copre solo il danno per il periodo “intermedio”, ovvero tra la scadenza del termine illegittimo e la sentenza di conversione. Le retribuzioni successive a tale sentenza sono un diritto autonomo che spetta al lavoratore.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello?
La Corte ha annullato la sentenza perché il giudice d’appello ha commesso due errori: ha omesso di pronunciarsi sulla domanda del lavoratore relativa alle retribuzioni maturate dopo la conversione e ha erroneamente incluso tali retribuzioni nell’importo che il lavoratore doveva restituire, violando il principio per cui tali somme non sono ripetibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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