Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4630 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 4630  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8233-2021 proposto da:
OGNIBENE  NOME,  domiciliata  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente  domiciliata  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME  COGNOME, che la rappresenta  e  difende  unitamente  all’avvocato  NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 13/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/01/2020 R.G.N. 822/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Rilevato che:
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/01/2024
CC
con la sentenza impugnata, in sede di rinvio, ‘RAGIONE_SOCIALE‘ – in parziale riforma della pronunzia del Tribunale di Modena – è stata condannata al pagamento, in favore di NOME COGNOME, dell’indennità risarcitoria omnicomprensiva ex art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, pari all’importo di 8 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, per effetto della accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato dalle parti il 30 maggio 2001; con la predetta sentenza la lavoratrice è stata condannata alla restituzione dell’eccedenza «tra quanto come sopra liquidato» e la somma netta percepita in forza della provvisoria esecutorietà della menzionata pronunzia del Tribunale, oltre interessi dalla dazione al saldo;
inoltre, la società è stata condannata alla rifusione delle spese in favore della lavoratrice «riferite a tutti i gradi del giudizio che liquida in complessivi € 2.300,00 di cui € 200,00 per spese, € 1.300,00 per diritti ed € 800 per onorari oltre rimborso forfettario spese generali IVA e C.P.A. quanto al primo grado, in complessivi € 1.750,00 di cui € 1.000,00 per onorari ed € 750,00 per diritti, oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA quanto al primo appello, in complessivi € 2.700,00 oltre rimbo rso spese forfettarie IVA e CPA quanto al primo giudizio avanti alla Corte di Cassazione, a complessivi € 3.788,50 di cui € 3.400,00 per compensi ed € 388,50 per spese, oltre rimborso spese forfettarie ed oltre IVA e CPA quanto al secondo grado di appello, in complessivi euro 3.400,00, oltre rimborso spese forfettarie ed oltre IVA e CPA quanto al secondo giudizio di legittimità, in complessivi € 3.400,00 oltre rimborso spese IVA e CPA per il presente grado (…)»;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME, affidato a tre motivi, illustrati con memoria; ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ha resistito con controricorso;
il P.G. non ha formulato richieste;
chiamata la causa all’adunanza camerale del 18 gennaio 2024,  il  Collegio  ha  riservato  il  deposito  dell’ordinanza  nel termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
Considerato che:
con il primo motivo, NOME COGNOME – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 132 c.p.c., 392 c.p.c., 414 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., con riguardo all’art. 32, commi 5 e 7, della l. n. 183 del 2010, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. – si duole che il giudice di appello abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda, riformulata a seguito dello ‘ius superveniens’, volta al conseguimento delle retribuzioni successive alla data della sentenza del Tribunale di Modena, omettendo del tutto di illustrare il percorso logico giuridico posto alla base della decisione di respingere la domanda in questione e, quindi, di ritenere che la società non fosse obbligata a corrispondere alla lavoratrice dette retribuzioni;
con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 336 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., con riguardo agli art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, e 2033 c.c., nonché omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. – lamenta che il predetto giudice abbia ricompreso nella ‘eccedenza’, alla cui restituzione essa ricorrente è stata condannata, anche le retribuzioni percepite per il periodo successivo alla conversione del rapporto di lavoro, ponendosi in contrasto, in difetto di motivazione alcuna, con il principio secondo cui le predette retribuzioni non sono ripetibili;
con  il  terzo  motivo  –  denunciando  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  90  c.p.c.,  91  c.p.c.,  92,  comma  2, c.p.c., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 24 della l. n. 794 del
1942, 2223 c.c., 4, 5 e 6 delle tabelle A) e B) del DM n. 127 del 2004, 2, 4, 5 e 11 del DM n. 55 del 2014, come modificato dal DM n. 37 del 2018, nonché omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. – si duole che la Corte territoriale abbia liquidato le spese, per tutti i gradi del giudizio, in modo non intellegibile ed in misura inferiore ai minimi inderogabili previsti dalla normativa e dai tariffari, in difetto di motivazione in ordine ai criteri ed allo scaglione di valore utilizzato nella liquidazione delle predette spese.
Ritenuto che:
il primo motivo è da accogliere, poiché il giudice del gravame -contrariamente a quanto affermato nel controricorso – ha omesso di statuire sulla domanda volta al conseguimento della condanna della società al pagamento delle retribuzioni con decorrenza dalla declaratoria di conversione del rapporto, trattandosi di questione avente una sua autonoma rilevanza (cfr., sul punto, Cass. 16 luglio 2020, n. 15208, ove è affermato «che l’applicazione dello ‘ius superveniens’ non consente di ritenere assorbita la questione attinente alla spettanza delle retribuzioni maturate dopo la sentenza di conversione del rapporto, in relazione alla quale è richiesta una specifica statuizione»; in senso conforme v. Cass. 13 luglio 2021, n. 19967), e, pertanto, insuscettibile di essere assorbita nella statuizione di condanna alla ripetizione dell’eccedenza rispetto alle somme già versate, in difetto di precisazione che quelle riferite al periodo successivo alla conversione rimanessero dovute;
anche il secondo motivo, strettamente correlato al primo, è  da  accogliere,  in  quanto  il  giudice  del  gravame,  nel condannare, come sopra anticipato, la lavoratrice alla restituzione del l’ importo percepito in eccedenza, in esecuzione  della  pronunzia  di  primo  grado  –  che  aveva
disposto l’attribuzione , in favore della lavoratrice medesima, delle retribuzioni maturate dalla messa in mora sino alla data di ripristino del rapporto – ha ritenuto, in difetto di alcuna motivazione al riguardo, ripetibili anche somme percepite successivamente alla declaratoria di conversione del rapporto stesso , in violazione dell’insegnamento secondo cui «lo ‘ius superveniens’ ex art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, una indennità ‘forfetizzata’ e ‘onnicomprensiva’ per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto ‘intermedio’, dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione ( … ), sicché successivamente a detto periodo la retribuzione è dovuta e non è ripetibile» (cfr., in tal senso, Cass. 30 giugno 2020, n. 13045);
l’accoglimento di tali motivi, implicando la cassazione della sentenza  impugnata  e,  di  conseguenza,  il  rinvio  ad  altro giudice e un nuovo regolamento delle spese in conformità ai criteri normativamente stabiliti, assorbe il terzo motivo;
la  sentenza  va,  pertanto,  in  relazione  ai  motivi  accolti, cassata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione,  cui  è  demandato  di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo,  cassa  la  sentenza  impugnata  e  rinvia  alla  Corte  di Appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 gennaio