Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15980 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15980 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28351-2020 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE MESSINA, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 106/2020 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 24/04/2020 R.G.N. 221/2018;
Oggetto
RETRIBUZIONE
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.28351/2020
COGNOME
Rep.
Ud.07/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Messina, il signor NOME COGNOME già Dirigente medico presso l’azienda ospedaliera ‘Piemonte’ poi trasferito alle dipendenze dell’Asp di Messina collocato in servizio presso il Laboratorio di Sanità Pubblica della stessa Asp, struttura semplice di Tossicologia e Biochimica dall’01/11/2007 fino alla cessazione dal servizio per quiescenza alla data del 29/12/2011, chiedeva l’accertamento della mancata istituzione da parte dell’Asp, all’interno del Laboratorio di Sanità Pubblica, di tre Unità Operative Semplici fra cui quella di Tossicologia e Biochimica, nonché della mancata formalizzazione in suo favore di un incarico dirigenziale di base pari a quello già ricoperto presso l’Asp Osp. ‘Piemonte’.
Deduceva, pertanto, un proprio demansionamento di fatto chiedendo conseguentemente accertarsi e dichiararsi il proprio diritto all’attribuzione di un incarico dirigenziale di natura professionale elevata, o comunque di base, a decorrere dall’01/11/2007, nonché condannarsi la stessa Asp al pagamento a suo favore delle differenze retributive dovutegli per le funzioni dirigenziali espletate di fatto, oltre al risarcimento del danno patrimoniale non patrimoniale.
Il tribunale accoglieva la domanda limitatamente al profilo inerente al risarcimento del danno patrimoniale subito riconducibile alla mancata attribuzione di un incarico professionale equivalente a quello di cui era titolare presso l’azienda ospedaliera Piemonte comprensivo della retribuzione di posizione aziendale spettantegli in aggiunta a quella minima contrattuale in funzione della graduazione degli incarichi
conferiti; rigettava invece le ulteriori domande avanzate dal ricorrente.
La Corte di appello di Messina in riforma della sentenza appellata rigettava le domande formulate dal COGNOME nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale.
La Corte distrettuale, preliminarmente, dichiarava inammissibile ed improcedibile la domanda erroneamente inquadrata ex art. 346 c.p.c. avanzata dal COGNOME in ordine alla reiterata richiesta di liquidazione di un preteso danno non patrimoniale denegato dal giudice di prime cure per mancanza di prova ed allegazioni in quanto la domanda stessa avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale avverso lo specifico capo di sentenza.
Nel merito la Corte territoriale escludeva il diritto alla percezione della parte di retribuzione dirigenziale c.d. ‘variabile’ giacché gli articoli 26 e seguenti del CCNL 08/06/2000 prevedono un complesso iter formativo per il conferimento degli incarichi e per la ‘pesatura’ degli stessi ai fini della corresponsione di tale parte variabile di retribuzione, senza che, peraltro, possa in alcun modo configurarsi alcun diritto alla percezione automatica della stessa da parte dei dirigenti anche formalmente nominati in assenza di una valutazione comparativa proprio di essi dirigenti rapportabile a determinazioni e criteri necessariamente da enuclearsi attraverso apposito atto aziendale.
In altri termini, la quota aggiuntiva l’indennità connessa alla responsabilità di moduli o settori poteva spettare, ad avviso della corte territoriale, solo dopo che, a mezzo della contrattazione decentrata fosse stata determinata la graduazione delle funzioni dirigenziali, con il completamento cioè dell’iter organizzativo relativo alla graduazione delle funzioni dirigenziali e all’attribuzione del valore economico a
ciascuna posizione dirigenziale prevista nell’assetto organizzativo aziendale; nello specifico, in assenza della cosiddetta ‘pesatura’ degli incarichi e della graduazione delle funzioni dirigenziali con riferimento all’assetto organizzativo aziendale dell’Asp appellante, la stessa non era riconoscibile.
Avverso tale sentenza il signor COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, resistito da controricorso dell’amministrazione.
Il ricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c. per omessa pronuncia sulla chiesta declaratoria di inammissibilità dell’appello.
1.1. Il motivo è infondato.
Va al riguardo confermato l’indirizzo al quale non si intende discostarsi secondo cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame (Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017). Nel caso di specie, la Corte territoriale avendo deciso l’accoglimento dell’appello ha implicitamente, ma inequivocamente rigettato l’eccezione di inammissibilità del gravame in ordine alla quale pertanto non è predicabile il vizio denunciato.
Va inoltre precisato che non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o
rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. n. 13649 del 24/06/2005).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 31 D.Lgs. n. 165/2001, 2112 c.c., 15 e 15 ter D.Lgs. n. 502/1992, 13 D.Lgs. n. 229/1999, 50 e 51 del c.c.n.l. dell’area dirigenziale dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del giorno 5 dicembre 1996 e dell’art. 6 del c.c.n.l. dell’area dirigenziale dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del 17 ottobre 1996.
La corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che l’odierno ricorrente non vantasse il diritto al conferimento di un incarico professionale con conseguente diritto al relativo trattamento economico.
Con il terzo motivo ci si duole della violazione dell’art. 132 c.p.c.- motivazione apparente-omesso esame circa fatti decisivi
per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, nonché violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 c.p.c.
La corte di appello non avrebbe tenuto conto di un dato di fatto incontestabile costituito dalla circostanza che gli atti necessari per l’inquadramento del dipendente tra cui l’atto aziendale e il Regolamento di graduazione delle funzioni -fossero esistenti sin dall’anno 2002.
Conseguentemente, la sentenza sarebbe viziata da motivazione apparente in quanto disancorata dalla fattispecie concreta e comunque erronea per omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio.
Con il quarto motivo si denuncia ai sensi dell’articolo 360, comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c. la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e vizio di ultra petita, la violazione dell’articolo 132 c.p.c. per motivazione apparente e incomprensibile, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
La corte territoriale avrebbe errato nell’escludere il diritto al risarcimento del danno patito dal lavoratore una volta accertato il diritto al riconoscimento dell’incarico ed in presenza di un inadempimento dell’Azienda nel conferimento dell’incarico; in particolare, il mancato ottenimento della retribuzione di posizione aziendale è stato fonte di pregiudizio risarcibile anche nei casi di mancata adozione in ipotesi del Regolamento di graduazione delle funzioni.
Con il quinto motivo si eccepisce la omessa pronuncia sulla chiesta declaratoria di inammissibilità delle argomentazioni nuove proposte con violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.
Con il sesto ed ultimo motivo si contesta l’erroneo richiamo compiuto dalla Corte di appello all’art. 2103 c.c. atteso che il diritto del ricorrente si fonda sulla predetta norma in combinato disposto con l’art. 52 del TU sul pubblico impiego che sancisce il diritto del dipendente al conferimento dell’incarico.
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e sono infondati.
Va premesso che con la locuzione motivazione apparente si fa riferimento ad ogni caso in cui la motivazione ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. n. 22232/2016; Cass. N. 16595/2019).
Ciò premesso, non si può non rilevare come l’iter logico argomentativo della Corte di appello sia stato ampiamente rappresentato in motivazione, nella misura in cui ha ritenuto non sussistente nel caso concreto l’atto di macro organizzazione di graduazione delle funzioni dirigenziali; in particolare, la Corte territoriale ha affermato che la spettanza della quota aggiuntiva dell’indennità connessa alla responsabilità di moduli o settori non può che essere condizionata dalla graduazione delle funzioni dirigenziali con il completamento cioè dell’iter organizzativo relativo alla graduazione delle funzioni dirigenziali all’attribuzione del valore economico a ciascuna posizione dirigenziale prevista nell’assetto organizzativo aziendale e quindi solo dopo che venga compiutamente effettuata la cosiddetta pesatura degli incarichi e la graduazione delle funzioni dirigenziali.
Conseguentemente, è da ritenersi insussistente il vizio motivazione apparente come eccepito dalla ricorrente in quanto la stessa integra i requisiti richiesti dall’art. 111 Cost. in termini di c.d. ‘minimo costituzionale’, che, in ipotesi, determina la nul lità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.
Per quanto concerne la contestazione di omesso esame di fatto decisivo ex art 360 comma 1, n. 5 c.p.c. valga quanto segue.
Va premesso che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, oppure mere deduzioni difensive. (Cass. n. 22397/2019; Cass. n. 26305/2018).
Conseguentemente, è da ritenersi tale profilo di censura inammissibile non potendo ricondursi un Regolamento aziendale al paradigma di fatto storico/naturalistico di cui il giudice avrebbe omesso l’esame.
Ad ogni buon conto, la corte territoriale non ha omesso di valutare i Regolamenti aziendale di graduazione delle funzioni, ma ha ritenuto gli stessi insufficienti a riconoscere la retribuzione di posizione variabile in quanto gli atti invocati dall’appella to risalivano ad anni nei quali il COGNOME non era dipendente Asp ma dell’Azienda Ospedale Piemonte ed inoltre riguardavano altri servizi ed altri dirigenti.
In ordine alla censura avente ad oggetto la sussistenza del diritto all’incarico si osserva quanto segue.
Il Collegio intende dare continuità a quanto già statuito da questa Corte in casi del tutto analoghi al presente (Cass. nn. 11574/2023; 11575/2023; 21544/2024; Cass. n. 1478/2024). In tali provvedimenti -alle cui più ampie motivazioni si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. è stato affermato il seguente principio di diritto: «l’attribuzione ai dirigenti medici del Sistema Sanitario Nazionale che abbiano superato, con valutazione positiva del collegio tecnico, il quinquennio di attività, di un incarico di direzione di una struttura semplice o di un incarico di alta professionalità, consulenza, studio, ricerca, ispettivo, di verifica e controllo, secondo la contrattazione collettiva di tempo in tempo vigente, è condizionato dall’esistenza di posti disponibili, secondo l’assetto organizzativo dell’ente quale fissato dall’atto aziendale, nonché della copertura finanziaria, e richiede inoltre il previo superamento delle forme di selezione regolate dalla contrattazione collettiva stessa».
Nel caso qui in esame, la pretesa automaticità dell’incarico (rectius: dei compensi aggiuntivi collegati all’incarico) è limitata al tipo di incarico previsto dall’art. 27, comma 1, lett. c), del CCNL 8.6.2000 («incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo»), ma il principio di diritto affermato riguarda anche siffatta pretesa (oltre a quella di conferimento di un incarico di direzione di struttura semplice).
È stato quindi osservato che «l’art. 15 -ter del d. lgs. n. 165/2001 prevede che gli incarichi medico-dirigenziali siano attribuiti ‘compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell’atto aziendale di cui all’articolo 3, comma 1 -bis’» e che «ciò esclude -evitando anche irrazionali irrigidimenti
organizzativi -che il numero degli incarichi sia necessariamente pari a quello dei medici valutati positivamente dopo il quinquennio, perché tutto dipende evidentemente dalle disponibilità finanziarie e dalle scelte organizzative -di merito -della P.A. di riferimento».
Inoltre, «la contrattazione collettiva nel regolare, come prevede la legge (art. 15, co. 1, seconda parte d.lgs. 502/1992) le modalità di conferimento degli incarichi, stabilisce (art. 28 CCNL 2000) che si proceda alla scelta con atto scritto e motivato, sulla base di una rosa di idonei e previa fissazione aziendale di criteri e di procedure per l’affidamento (cui nel CCNL 19.12.2019 si aggiunge anche un avviso di selezione interna), il che è palesemente in contrasto con un’attribuzione a tutti, al quinquennio, sempre e comunque, di uno di quegli incarichi». Non rimane che ribadire che «il disconoscimento del diritto esclude ogni fondamento alla pretesa risarcitoria per il fatto in sé del mancato conferimento di quella tipologia di incarico» (Cass. n. 11574/2023 cit.).
Sulla scorta dei precedenti soprariportati, è evidente la insussistenza di un c.d. diritto perfetto al conferimento dell’incarico dirigenziale e al correlativo trattamento economico. Per quanto concerne la contestata omessa pronuncia in ordine alla domanda risarcitoria è sufficiente rilevare come il COGNOME, ad avviso della corte distrettuale, non potesse rivendicare alcun danno per il mancato conferimento dell’incarico atteso che aveva correttamente percepito la parte fissa e variabile minima spettante quale dirigente, non potendosi viceversa riconoscere la parte variabile condizionata, si ripete, alla graduazione delle funzioni e alla c.d. ‘pesatura’ dell’incarico, nel caso di specie non sussistenti. D’altra parte, la mancata adozione dei predetti atti aziendali ha precluso in radice l’espletamento di funzioni
riconducibili alla richiesta retribuzione accessoria in quanto non collegata ad alcuna graduazione delle funzioni.
Le ulteriori censure sono assorbite dal rigetto in ordine alla sussistenza del diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale con conseguente mancato riconoscimento della quota variabile di retribuzione.
In conclusione, il ricorso va respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 2500,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione