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Retribuzione società partecipate: No al blocco stipendi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26341/2025, ha stabilito che ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica non si applica il blocco stipendiale previsto per il pubblico impiego. Un lavoratore aveva richiesto le differenze retributive maturate a seguito del rinnovo del CCNL del settore terziario. La società, interamente partecipata da un ente pubblico, si era opposta invocando le norme sul contenimento della spesa pubblica. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, affermando che la disciplina sulla retribuzione società partecipate segue le regole del diritto privato. Qualsiasi intervento di contenimento dei costi del personale deve passare attraverso la contrattazione di secondo livello e non può essere imposto unilateralmente, disapplicando gli aumenti previsti dal contratto collettivo nazionale.

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Retribuzione società partecipate: la Cassazione esclude il blocco degli stipendi pubblici

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 26341 del 2025, ha affrontato una questione cruciale per migliaia di lavoratori: la retribuzione società partecipate e la sua soggezione ai vincoli di spesa del settore pubblico. La Corte ha chiarito che il rapporto di lavoro in queste entità è di natura privatistica e, pertanto, non può essere soggetto al blocco automatico degli stipendi previsto per la pubblica amministrazione. Gli adeguamenti salariali derivanti dal rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) devono essere riconosciuti, a meno che non intervenga un accordo sindacale di secondo livello.

I Fatti del Caso

Un dipendente di una società ‘in house’, interamente controllata da un ente pubblico metropolitano, ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere il pagamento delle differenze retributive maturate tra aprile 2015 e febbraio 2018. Tali differenze derivavano dal rinnovo del CCNL del settore terziario. La società si era rifiutata di corrispondere gli aumenti, sostenendo di essere vincolata dalle norme sul contenimento della spesa pubblica, in particolare dal cosiddetto ‘blocco stipendiale’ imposto al pubblico impiego.

La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto la domanda del lavoratore, limitandola al periodo successivo al 1° gennaio 2016, data di cessazione del blocco della contrattazione pubblica sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 178/2015. La società, non soddisfatta, ha presentato ricorso in Cassazione, insistendo sull’applicabilità dei vincoli di spesa pubblica e sulla necessità di un contenimento dei costi del personale.

L’evoluzione normativa della retribuzione nelle società partecipate

La Suprema Corte ha ricostruito l’evoluzione normativa che regola i rapporti di lavoro nelle società a partecipazione pubblica. Se in passato esistevano norme che estendevano a queste società i vincoli di contenimento dei costi del personale previsti per le amministrazioni controllanti, la legislazione successiva, a partire dalla legge n. 147 del 2013 e confluita poi nel Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016), ha tracciato un percorso diverso.

La disciplina attuale, in particolare l’art. 19 del D.Lgs. 175/2016, stabilisce che, sebbene le amministrazioni socie fissino obiettivi di contenimento dei costi, le società devono perseguirli attraverso i propri strumenti gestionali. Per quanto riguarda il costo del lavoro, la legge indica esplicitamente la via della contrattazione di secondo livello (aziendale o territoriale) come strumento per recepire, ‘ove possibile’, le misure di contenimento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha affermato che il quadro normativo vigente delinea un sistema che, pur riconoscendo l’influenza dell’ente pubblico controllante, mantiene salda la natura privatistica del rapporto di lavoro. L’impossibilità per la società di imporre unilateralmente un blocco degli stipendi o di disapplicare un rinnovo contrattuale discende proprio da questa natura.

Il richiamo alla contrattazione di secondo livello non è una mera facoltà, ma il canale obbligato per ogni intervento riduttivo sui trattamenti economici. L’inciso ‘ove possibile’, secondo la Corte, non significa che la società possa agire unilateralmente se l’accordo non si raggiunge. Significa piuttosto che gli amministratori hanno l’obbligo di attivarsi per negoziare, e la loro responsabilità non può essere invocata per il solo fatto di non aver raggiunto un accordo, che per sua natura non è coercibile.

Di conseguenza, il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015 è stato ritenuto errato. Quella pronuncia riguardava il blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego (disciplinato dal D.Lgs. 165/2001), un universo giuridico distinto da quello dei rapporti di lavoro di diritto privato, quale è quello dei dipendenti delle società partecipate.

Le Conclusioni

La Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando il diritto del lavoratore a percepire gli adeguamenti retributivi previsti dal CCNL. La sentenza rafforza un principio fondamentale: le società a partecipazione pubblica, pur perseguendo finalità di interesse pubblico, operano sul mercato con strumenti di diritto privato. La gestione del rapporto di lavoro, inclusa la sua dimensione economica, deve seguire le regole del codice civile e della contrattazione collettiva di settore. Eventuali esigenze di bilancio e contenimento della spesa, pur legittime, non possono tradursi in una compressione unilaterale dei diritti dei lavoratori, ma devono essere negoziate nelle sedi appropriate, ovvero attraverso un dialogo con le organizzazioni sindacali.

Agli impiegati di una società partecipata si applica il blocco degli stipendi previsto per il pubblico impiego?
No, la sentenza stabilisce che prevale la disciplina specifica per le società a partecipazione pubblica, che le assoggetta al diritto privato e ai relativi contratti collettivi. Il blocco stipendiale è una misura che riguarda il personale del pubblico impiego contrattualizzato ai sensi del D.Lgs. 165/2001, non i lavoratori con contratto di diritto privato.

Come può una società partecipata ridurre il costo del lavoro?
Secondo la normativa vigente e l’interpretazione della Corte, l’unico strumento legittimo per modificare in senso riduttivo i trattamenti economici previsti dal CCNL è la contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale). La società non può imporre unilateralmente un blocco retributivo o ignorare gli adeguamenti contrattuali.

La decisione della Corte Costituzionale sul blocco della contrattazione pubblica (sent. n. 178/2015) si applica a queste società?
No, la Cassazione chiarisce che quella pronuncia è inconferente. Essa ha avuto riguardo al diverso tema del blocco contrattuale per il personale delle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 165/2001, e non può essere estesa ai rapporti di lavoro di diritto privato dei dipendenti delle società partecipate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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