Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20481 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20481 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30931-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
PROVINCIA DI MARIA SS.MA DELLA COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 358/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 03/06/2021 R.G.N. 643/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Oggetto
Rapporto di lavoro privato -retribuzione e c.c.n.l.
R.G.N.30931/2021
COGNOME
Rep.
Ud 20/05/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di L’Aquila ha respinto l’appello di NOME COGNOME confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere la condanna dell’Ente Provincia Maria Ss.ma della Pietà al pagamento di differenze retribut ive rivendicate sul presupposto dell’applicazione al rapporto di lavoro, svolto dall’1.1.2002 al 26.11.2016, del c.c.n.l. Turismo anziché del c.c.n.l. Lavoro domestico.
La Corte territoriale ha escluso che al rapporto di lavoro fosse applicabile la contrattazione collettiva sul lavoro domestico in mancanza sia di una adesione di parte datoriale alle relative organizzazioni stipulanti e sia di un rinvio a tale contratto collettivo in sede di pattuizione individuale e, comunque, di una applicazione in fatto dello stesso.
Ha parimenti escluso che la lavoratrice avesse dedotto la non conformità all’art. 36 Cost. della retribuzione percepita in base al c.c.n.l. Lavoro domestico ed ha, comunque, escluso che la retribuzione corrisposta risultasse non conforme ai parametri costituzionali.
Ha, peraltro, giudicato corretta la riconduzione del rapporto di lavoro della COGNOME all’ambito del contratto collettivo applicato in ragione della natura para-familiare delle comunità religiose e del carattere accessorio delle prestazioni di accoglienza e ristoro, svolte occasionalmente in favore degli ospiti della struttura.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo. L’Ente Provincia Maria Ss.ma della Pietà ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 36 Cost. anche in riferimento al travisamento e all’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio.
La ricorrente assume di avere, nel ricorso introduttivo di primo grado, denunciato che l’Ente non le aveva corrisposto la giusta e proporzionata retribuzione, in conformità all’art. 36 della Costituzione. Argomenta, inoltre, il travisamento delle risultanze istruttorie atte, invece, a dimostrare come la Comunità religiosa svolgesse, accanto all’attività principale di culto, anche una attività, accessoria ma non sporadica né occasionale, di tipo alberghiero e perciò commerciale.
Il motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte d’appello ha confermato l’interpretazione del ricorso introduttivo data dal tribunale osservando come la COGNOME si fosse limitata ad ‘allegare che, tenuto conto delle mansioni concretamente svolte, il c.c.n.l. più coerente ad esse sarebbe quello del Turismo (Aziende ConfcommercioRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che prevede minimi retributivi più elevati’.
La ricorrente censura ora, con l’unico motivo di ricorso, l’interpretazione della domanda data dai giudici di primo e secondo grado, asserendo di avere anche denunciato la non conformità della retribuzione ai requisiti di proporzionalità e sufficienza di c ui all’art. 36 Cost.; tuttavia, articola la censura senza conformarsi alle prescrizioni imposte dall’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c.
Questa Corte ha chiarito che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell’ambito dell’error in procedendo; in tale ipotesi, ove si assuma che l’interpretazione degli atti processuali abbia determinato l’omessa pronuncia su una domanda che si sostiene regolarmente proposta, la Corte di Cassazione ha il poteredovere di procedere all’esame e all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti.
L’esercizio di tale potere -dovere presuppone però che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate, al riguardo, dal codice di rito, in particolare negli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass., S.U. n. 8077 del 2012; Cass. n. 41465 del 2021).
Nel caso di specie, la ricorrente ha trascritto in minima parte il contenuto del ricorso introduttivo di primo grado e nulla ha riferito sul contenuto della sentenza del tribunale e del motivo di appello, che non ha né trascritto né riassunto in relazione ai punti di rilievo.
Indicazioni tanto più necessarie a fronte di quanto si legge nella decisione d’appello, ove si sottolinea che la lavoratrice appellante ‘non aveva affatto dedotto che la retribuzione prevista dal CCNL lavoro domestico fosse in contrasto con i parametri di sufficienza e proporzionalità in cui si sostanzia il principio del minimo costituzionale, essendosi limitata ad allegare che, tenuto conto delle mansioni concretamente svolte, il più coerente ad esse sarebbe stato quello turismo campeggi e villaggi che pre vede minimi retributivi più elevati’ (p. 3).
In diritto, la Corte d’appello si è uniformata alla giurisprudenza di legittimità, espressamente richiamata, secondo cui, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dell’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato (Cass., S.U. n. 2665 del 1997; Cass. n. 26742 del 2014; n. 24160 del 2015).
La sentenza d’appello ha, in ogni caso, escluso che la retribuzione percepita dalla ricorrente nel corso del rapporto di lavoro non rispettasse i parametri del salario minimo costituzionale (su cui v. da ultimo Cass. n. 27711 del 2023) ed ha accertato, in fatto, la pertinenza del contratto collettivo applicato al settore di attività svolta da parte datoriale; tale accertamento fattuale non è censurabile in questa sede di legittimità, per la disciplina della cd. doppia conforme di merito, di cui all’art. 348 ter c.p.c. applicabile ratione temporis.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20 maggio 2025.