Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28885 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28885 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/11/2025
parte dlla deliberazione del commissario Straordinario n. 406 del 23.7.2012, non aveva determinato la reviviscenza di alcun diritto quesito, in quanto a seguito
del menzionato accorpamento occorreva procedere ad una nuova graduazione delle funzioni e tenere conto dei fondi disponibili per l’erogazione delle retribuzioni di risultato, essendo inutilizzabile la disciplina pregressa parametrata alla specifica situazione organizzativa e contabile delle singole AUSL.
Ha ritenuto l’insussistenza del diritto della COGNOME ad una misura della retribuzione di posizione parte variabile, superiore a quella riconosciuta per i periodi dal 2008 al 2010 e da gennaio 2012, in quanto la diminuzione della retribuzione di posizione variabile era derivata alla corretta applicazione delle determinazioni assunte con le deliberazioni n. 2004/2007 e n. 269/2011.
Ha rilevato che con determinazione n. 8019 del 24.11.2011 erano state liquidate le differenze tra le somme corrisposte in acconto ai dirigenti SAPT a titolo di retribuzione di posizione, parte variabile aziendale, e quelle effettivamente spettanti all’esito della determinazione dei fondi di cui alla deliberazione del Direttore Generale dell’RAGIONE_SOCIALE n. 269 del 23.2.2011, mentre con la successiva delibera n. 320 del 16.3.2012 l’RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto alla compensazione tra i saldi negativi riscontrati dalle operazioni di conguaglio della retribuzione di posizione variabile aziendale al 31.12.2010 e la liquidazione del salario di risultato riconosciuto per gli anni 2008, 2009 e 2010.
A fronte della diretta partecipazione della COGNOME al processo di revisione, ha ritenuto maggiormente decisivo il rilievo del primo giudice in ordine alla contestazione attorea dei conteggi formulati dall’RAGIONE_SOCIALE ed ha rilevato che erano state documentalmente smentite le deduzioni contenute nel ricorso in ordine alla mancata produzione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, di qualsivoglia documentazione idonea a supportare la correttezza della determinazione dell’ammontare della retribuzione variabile.
Considerato che spettava solo alla RAGIONE_SOCIALE di determinare la misura della retribuzione variabile, ha escluso che ostassero alla compensazione l’illiquidità o l’assenza di certezza del credito.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.
8.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1243 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale errato nel considerare legittima la compensazione operata dalla RAGIONE_SOCIALE del proprio credito per la restituzione delle somme erogate a titolo di retribuzione di posizione variabile con il credito della lavoratrice per la retribuzione di risultato.
Deduce che il presunto credito dell’RAGIONE_SOCIALE era privo dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, in quanto era stato contestato e non era mai stato accertato né verificato.
Evidenzia che l’RAGIONE_SOCIALE aveva corrisposto per quattro anni la retribuzione di posizione variabile, nella misura determinata dall’RAGIONE_SOCIALE stessa, e sostiene, pertanto, che la pretesa restitutoria deve essere verificabile e accertabile, nel rispetto dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., e nel rispetto dei criteri generali di buona fede e correttezza.
2. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha da tempo affermato che l’estinzione, per compensazione, di crediti opposti presuppone l’autonomia dei rapporti ai quali i debiti delle parti si riferiscono, sicché, quando si tratti invece di un unico rapporto (come, nella specie, quello di lavoro, cui è riconducibile anche il credito connesso all’attribuzione di benefici “combattentistici”), la controversia si traduce in un accertamento di dare e avere, e cioè in una sorta di conteggio più o meno complesso, a proposito del quale non può parlarsi di compensazione in senso tecnico, con l’ulteriore conseguenza che la possibilità di eseguire tale conteggio non richiede, a differenza della compensazione legale, anche l’esigibilità dei crediti, essendo sufficiente la mera liquidità degli stessi. (Cass. n. 1145/1983; Cass. n. 2943/80; Cass. n. 1196/64).
Si è dunque chiarito che l’istituto della compensazione e la relativa normativa codicistica – ivi compreso l’art. 1246 cod. civ. sui limiti della compensabilità dei crediti – presuppongono l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti e non operano quando essi nascano dal medesimo rapporto, il
quale può comportare soltanto una compensazione in senso improprio, ossia un semplice accertamento contabile di dare e avere, come avviene quando debbano accertarsi le spettanze del lavoratore autonomo o subordinato (Cass. n. 5024/2009).
E’ stata pertanto ritenuta legittima la compensazione del trattamento di fine rapporto con crediti del datore di lavoro, posto che il divieto previsto dall’art. 1246, n. 3, c.c., in relazione ai crediti impignorabili, opera solamente con riguardo alla compensazione “propria”, che ricorre quando le reciproche ragioni di debito-credito nascono da distinti rapporti giuridici, e non anche per quella “impropria”, ove le suddette ragioni provengono da un unico rapporto, quale è indubbiamente il rapporto di lavoro (Cass. n. 21646/2016).
Ciò premesso, occorre, poi, ribadire che nell’impiego pubblico contrattualizzato qualora il datore di lavoro attribuisca al lavoratore un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata (v. Cass. n. 25018/2017; Cass. n. 16088/2016; Cass. n. 3826/2016).
3. Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 50, 53 e 56 del CCNL dirigenza sanitaria del 5.12.1996, degli artt. 26 e 40 del CCNL 8.6.2000, degli artt. da 1 a 10 del Regolamento RAGIONE_SOCIALEle approvato con delibera del 9.7.2007 n. 2004, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima la rideterminazione in via retroattiva della retribuzione di posizione variabile in ragione dell’annullamento in autotutela della delibera aziendale n. 2379/2008, in quanto avevano conservato validità ed efficacia la delibera n. 2004/2007 di approvazione del regolamento aziendale e la delibera n. 2359/2008 di accorpamento dei fondi a seguito della riunificazione delle vecchie ASL.
Era stata dunque smentita la giustificazione, addotta dall’RAGIONE_SOCIALE, della necessità di ricalibrare e graduare le posizioni dirigenziali e la retribuzione variabile in relazione ad un nuovo regolamento e ad una nuova consistenza dei fondi, nonché la sussistenza di un vuoto normativo che legittimasse la revisione dei criteri ex post .
Lamenta l’illegittimità dell’annullamento in autotutela della delibera n. 2379/2008, in quanto nel pubblico impiego privatizzato la RAGIONE_SOCIALE opera con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 n.5 c od. proc. civ., omesso esame del contenuto della delibera della ASL-FG n.2359 del 24 luglio 2008 di accorpamento e costituzione dei fondi aziendali per il finanziamento della retribuzione di posizione variabile, e della nota della ASL-FG del 23.06.2008 prot.n.2/13016 di trasmissione della consistenza dei fondi alle O.O.S.S.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 50 CCNL dirigenza sanitaria 08.06.2 000, dell’art. 49 CCNL dirigenza sanitaria 03.11. 2005, dell’art. 25 CCNL dirigenza sanitaria 17.10. 2008, dell’art. 8 dirigenza sanitaria 6.5. 2010 e dell’art. 2 del CCNL integrativo dirigenza sanitaria del 1.7.1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c od. proc. civ.
Evidenzia che, una volta definito, l’importo della retribuzione variabile diviene irriducibile e l’RAGIONE_SOCIALE sanitaria non ha più alcun potere di modificare la consistenza dei fondi alla luce delle richiamate disposizioni contrattuali.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente escluso la sussistenza di una posizione soggettiva certa e determinabile in capo al dirigente in ragione della graduazione delle funzioni operata con il regolamento di cui alla delibera n. 2004/2007 e della costituzione dei fondi operata con la delibera n. 2359/2008.
Il secondo ed il quarto motivo vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione.
In disparte i profili di inammissibilità delle censure, nella parte in cui sollecitano la rilettura di delibere aziendali, dell’accordo sindacale del 6.6.2011 e del contratto integrativo aziendale, i motivi sono infondati, in conformità ai
principi espressi da questa Corte in tema di diritto alla percezione della retribuzione di posizione parte variabile da parte dei dirigenti medici (principi richiamati da Cass. n. 14132/2024, riguardante la medesima vicenda dedotta nel presente giudizio, relativa all’accorpamento di tre distinte ASL) e qui condivisi, anche in ordine al percorso motivazionale che si richiama ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
Va rammentato che in tema di dirigenza sanitaria, il titolare di incarichi ex art. 39, comma 9, CCNL area medica e veterinaria del 2000, non ha diritto, in assenza dell’atto aziendale di graduazione delle funzioni, alla parte variabile della retribuzione di posizione (Cass. n. 37004/2000); quanto alla dirigenza medica, l’obbligo della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi non viene meno né per il mancato rispetto dei termini endoprocedimentali relativi alla fase di consultazione sindacale, né per l’omessa conclusione delle trattative, ma la sua violazione non legittima il dirigente medico interessato a chiedere l’adempimento di tale obbligo, bensì a domandare giudizialmente il risarcimento del danno da perdita di chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, allegando la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento del datore di lavoro, sul quale grava l’onere di provare i fatti estintivi o impeditivi della pretesa oppure la non imputabilità dell’inadempimento (Cass. n. 7110/2023).
Nel solco del costante insegnamento del giudice di legittimità (v. Cass. 28959/2022; Cass. n. 10613/2023; Cass. n. 28209/2023) è stato dunque ribadito che la graduazione delle funzioni da parte del datore di lavoro costituisce presupposto imprescindibile per il riconoscimento dell’indennità di posizione parte variabile, in difetto del quale il dipendente potrà solo agire per il risarcimento del danno.
Nel lamentare la revisione ex post dei criteri di attribuzione della retribuzione di posizione, la censura non considera quanto emerge anche sul piano fattuale dalla sentenza di appello secondo cui: a) con l.r. Puglia n. 39 del: 28.12.2006 è stata disposta l’unificazione delle tre AUSL FG1, FG2 e FG3, b) sulla base di detto intervento normativo, con la delibera n. 2379 del 25.7.2008 il Commissario
Straordinario della RAGIONE_SOCIALE – in ragione della necessità riorganizzativa connessa a detta unificazione – ha disposto la determinazione in via provvisoria, di una serie di parametri ai fini della quantificazione della retribuzione di posizione, salvi successivi conguagli.
E’ altresì incontestato tra le parti che la determinazione provvisoria contenuta nella delibera n. 2379 del 25.7.2008 è stata posta nel nulla dalla successiva delibera del Commissario Straordinario n. 406 del 2012.
Sulla scorta degli insegnamenti del giudice di legittimità innanzi richiamati la retribuzione di posizione parte variabile compete solo all’esito della graduazione delle funzioni, in mancanza della quale può esser concessa – sussistendone i presupposti – solo tutela risarcitoria non invocata nel presente giudizio.
La disposta unificazione delle tre strutture preesistenti, come innanzi ricordate, nella nuova struttura RAGIONE_SOCIALE doveva necessariamente comportare l’adozione di un nuovo provvedimento, pacificamente non adottato.
Pertanto la sentenza impugnata ha correttamente concluso che non sussistevano i presupposti per l ‘ intangibilità della retribuzione provvisoriamente riconosciuta, solo in via di acconto, in assenza di una graduazione formale e definitiva; il diritto della dirigente non aveva dunque assunto efficacia definitiva.
7. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto l’omesso esame di documenti non rientra nel paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, avente carattere decisivo (Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017).
Trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse
(Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
10 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME