Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13659 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13659 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17015-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 254/2024 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/05/2024 R.G.N. 321/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 17/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
RETRIBUZIONE
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.17015/2024 Cron. Rep. Ud.17/04/2025 CC
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che, con sentenza 25 maggio 2024, la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Chieti, peraltro limitata alla statuizione sulle spese di lite, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Regione Abruzzo, avente ad oggetto il riconoscimento in favore del l’istante, dipendente di ruolo della Regione Abruzzo con inquadramento ‘Assistente Amministrativo’ cat. C dal 27.9.1979 al 15.4.2015, dell’adeguamento del proprio trattamento retributivo alla stregua del disposto dell’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, introduttivo dell’art. 1, comma 2 bis, della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998, che aveva riconosciuto a tutti i dipendenti della detta Regione lo stesso trattamento economico di anzianità di colleghi che lo avevano maturato presso altro e nte pubblico e che lo avevano ‘trascinato’ con sé, ove, più favorevole, una volta assunti dalla Regione Abruzzo con pubblico concorso, disposto, poi modificato dalla successiva legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, prescrivendo che, ai dipendenti i quali, alla data del 1989, erano inquadrati in ruolo in una delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, era riconosciuto, ai fini perequativi, lo stesso trattamento economico di anzianità attribuito a quelli appartenenti alla prima qualifica cui era stato applicato il comma 1, tenendo conto dell’ammontare maggiore percepito, a parità di anzianità di servizio, al momento dell’inquadramento in ruolo regionale, nella qualifica attualmente ricoperta.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover disattendere la tesi prospettata dalla COGNOME nel nuovo giudizio con cui la stessa riproponeva la domanda già avanzata in un pregresso giudizio definito con la cassazione
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della sentenza resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila che, confermando la pronunzia del Tribunale di Chieti, l’aveva accolta, cassazione motivata dall’aver la Corte costituzionale, con sentenza 211/2014 dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 3, della predetta L.R. n. 6/2005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, L. R. n. 16/2008 nella parte in cui introduceva il comma 2 bis nell’art. 1, L.R. n. 118/1998 tesi per la quale la norma espunta dalla Corte costituzionale doveva considerarsi meramente ricognitiva di un principio immanente nell’ordinamento, sopravvissuto all’intervento della Consulta che, aveva rilevato l’eccesso di competenza della legislazione regionale con riferimento esclusivo alla retribuzione individuale di anzianità, dal quale il diritto azionato si differenziava, trovando nella RIA solo un criterio di quantificazione, sopravvivenza attestata dal permanere del comma 2 ter che ne sanciva la copertura finanziaria, e di motivare il rigetto della tesi medesima con il qualificare il be neficio introdotto dall’art. 2 bis citato come trattamento di miglior favore insussistente prima dell’innovazione delle legge regionale e non corrispondente ad alcun principio generale di parità e non discriminazione e con l’affermata inefficacia del comma 2 ter sulla copertura finanziaria sopravvenuta a seguito della dichiarata incostituzionalità della norma sostanziale di riferimento.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la COGNOME, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la Regione Abruzzo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 bis, della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998, introdotto dall’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, nonché degli artt. 112, 113 e
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132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e degli artt. 13, 15, 24 e 111, comma 6, Cost., imputa alla Corte territoriale il travisamento della formulazione letterale della norma invocata e della situazione giuridica dalla stessa contemplata per il criterio della p erequazione introdotta dall’art. 43 citato avrebbe inciso sulla retribuzione, divenendo elemento della stessa ed elevandosi a diritto soggettivo perfetto, personale e sociale.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 113 da un lato, ribadendo la censura di cui al motivo di cui sopra circa il travisamento della situazione giuridica contemplata dall’invocato art. 43, nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio dato dalla mancata considerazione che le norma invocata, ancora l’art. 1, comma 2 bis, della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998, introdotto dall’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, contemplava una situazione giuridica più ampia del diritto alla retribuzione individuale di anzianità, il solo coinvolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.
Le doglianze sono inammissibili, in conformità alle ordinanze di questa Corte prese in decisione alle adunanze camerali del 10 gennaio 2025 (da Cass. n. 5514/2025 a Cass. n. 5521/2025), da intendersi qui richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. Deve premettersi che la Corte costituzionale, investita dal Tribunale di Teramo della questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Legge Regione Abruzzo Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge Regione n. 16 del 2008 (Provvedimenti urgenti ed indifferibili), in riferimento all’art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, con sentenza n. 211 del 2014 ha
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dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 della predetta legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte in cui ha introdotto il comma 2 bis nell’art. 1 della l egge Regione Abruzzo n. 118 del 1998 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n. 144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977).
Tanto perché l’art. 43 della citata legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti regionali, allineandone l’ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali, incideva sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorché ricorrevano le condizioni previste e, quindi eccedeva dall’ambito di competenza riservato al legislatore regionale, invad endo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Dalla sentenza di questa Corte n. 13913/2021 risulta che la Corte di Appello di L’Aquila ha respinto il gravame della dipendente avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato le sue domande, volte ad ottenere il riconoscimento perequativo della retribuzione individuale di anzianità; con il ricorso per cassazione l’odierna ricorrente e gli altri dipendenti non hanno contestato il merito della decisione, ma si sono limitati a lamentare che la Corte territoriale aveva erroneamente stabilito il loro obbligo di corrispondere una somma pari all’importo del contributo unificato dovuto per l’instaurazione del giudizio.
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Il giudicato formatosi a seguito della conferma della sentenza di rigetto da parte della Corte di Appello di L’Aquila della domanda di adeguamento della retribuzione della COGNOME ai sensi dell’art. 1, comma 2 bis, della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1 998 preclude l’accoglimento di ogni domanda della ricorrente fondata sull’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’ art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998.
A questa affermazione consegue l’impossibilità di ritenere che un diritto soggettivo perfetto si sia radicato in capo alla ricorrente sulla base della menzionata normativa, seppure per il tempo antecedente alla sentenza della Corte costituzionale n. 211 del 2014, atteso che il diritto qui reclamato non era mai stato riconosciuto finora, né dalla Regione Abruzzo né in sede giudiziaria in via definitiva.
Neanche può ipotizzarsi che il citato comma 2 bis avrebbe solo codificato un principio già esistente nell’ordinamento. Infatti, se così fosse, la ricorrente avrebbe dovuto quanto meno indicarne il fondamento normativo che, invece, è rimasto del tutto sconosciuto.
D’altronde, se mai si volesse ammettere che vi sia un diritto soggettivo personale e sociale della dipendente alla perequazione (che, invero, non si ritiene sussista), e prescindendo dal fatto che non sia stato accertato in precedenza, non sarebbe ravvisabile un criterio di quantificazione della pretesa che, per la medesima ricorrente, avrebbe dovuto essere quello riportato nel comma 2 bis, dichiarato ormai costituzionalmente illegittimo.
Del tutto priva di valore è la menzione del comma 2 ter in quanto, anche a volere ignorare il giudicato sfavorevole alla
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dipendente, tale disposizione era chiaramente strumentale a quella del precedente comma 2 bis e, quindi, non può servire a fondare un diritto che non può più basarsi su tale comma 2 bis. Adeguata è, quindi, la motivazione della sentenza impugnata, che ha esaminato tutti i fatti rilevanti posti a fondamento della pretesa della ricorrente.
Infine, nessuna lesione dell’affidamento della lavoratrice vi è stata. Esattamente, la Corte territoriale ha rilevato che la Regione Abruzzo non aveva mai applicato la norma oggetto di causa, con l’effetto che non aveva potuto ingenerare l’affidamento circ a la spettanza del diritto in capo alla ricorrente, atteso che le somme in questione non erano mai entrate nella sua sfera patrimoniale, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 211 del 2014.
Infatti, non può esservi un valido affidamento su una norma dichiarata costituzionalmente illegittima.
Peraltro, la stessa ricorrente aveva agito in giudizio per ottenere quello che considerava il riconoscimento di un suo diritto e, quindi, l’esito sfavorevole del processo è prova che non vi erano i presupposti per parlare di un legittimo affidamento.
Se, poi, volesse ipotizzarsi la presenza di un affidamento preesistente a tutte le disposizioni de quibus , non si comprenderebbe il motivo per il quale la dipendente, invece di farlo valere da subito, abbia agito sulla base di una regolamentazione della quale, adesso, prospetta la sostanziale inutilità.
Al contrario, ciò palesa come nessun affidamento vi fosse da parte sua, almeno fino al passaggio in giudicato delle pronunce giudiziarie a lei contrarie.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
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Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 4.000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 17 aprile 2025.
La Presidente (NOME COGNOME)