Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27250 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27250 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/10/2025
ORDINANZA
r.g., proposto sul ricorso iscritto al n. 20226/2023 da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 371/2023 pubblicata in data 31/03/2023, n.r.g. 17/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/09/2025 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1.- NOME COGNOMECOGNOME dipendente di RAGIONE_SOCIALE con qualifica di train manager (capo treno), tecnico specializzato, 2^ livello CCNL applicato, adìva il Tribunale di Milano per ottenere la condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturate nel periodo
OGGETTO:
retribuzione per ferie inclusione di determinate indennità nella relativa base di calcolo -nozione eurounitaria – rilevanza – conseguenze
da gennaio 2013 a dicembre 2021 (pari alla somma lorda di euro 3.890,95 ovvero a quella diversa che sarebbe stata accertata in giudizio) derivanti dall’inclusione nella base di computo della retribuzione per ferie -delle indennità di permanenza a bordo, di riserva, di servizio al di fuori del distretto, di efficientamento e delle provvigioni.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale dichiarava nullo e pertanto inammissibile il ricorso per la mancata individuazione dell’oggetto della domanda e dell’indicazione dei fatti posti a suo fondamento.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame incidentale interposto dal lavoratore (rigettava quello principale proposto dalla società, volto ad ottenere il rigetto nel merito della domanda) e, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva integralmente la pretesa del COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
le indennità che il lavoratore pretende siano incluse nella base di computo della retribuzione per ferie rientrano fra gli elementi ulteriori della retribuzione indicati al punto 1.2 dell’art. 21 del contratto collettivo aziendale RAGIONE_SOCIALE;
la declaratoria di nullità del ricorso non può essere condivisa, dal momento che secondo la giurisprudenza di legittimità la nullità sussiste solo se siano del tutto omessi oppure risultino assolutamente incerti il petitum e le ragioni poste a fondamento della domanda;
in ogni caso la nullità non può essere pronunziata qualora gli elementi costitutivi della domanda siano ricavabili dall’esame complessivo dell’atto, comprese le istanze istruttorie o dai documenti prodotti (Cass. n. 18930/2004);
nel caso in esame il lavoratore lamenta la mancata inclusione di determinate voci retributive nella base di calcolo della retribuzione per ferie, in violazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE, e con riguardo al quantum ha specificato le modalità di calcolo e le somme pretese per ciascun anno di riferimento;
malgrado l’erronea indicazione della clausola contrattuale di cui ha chiesto la nullità (art. 21 invece che art. 19, come poi corretto nel gravame incidentale), risultano sufficientemente indicati gli elementi costitutivi della domanda, tanto è vero che la società si è difesa nel merito;
la pretesa è fondata, essendo sufficiente richiamare i precedenti di questa Corte, le sentenze nn. 22401/2020 e 20216/2022 della Corte di Cassazione e la sentenza della Corte di Giustizia UE del 13/01/2022 (in causa 514/2020);
nel caso in esame le indennità di permanenza a bordo treno e di riserva sono intrinsecamente collegate alla prestazione lavorativa del capo treno; lo stesso vale per l’indennità di efficienza, valutabile come elemento retributivo correlato allo status personale e professionale del lavoratore, vista la particolare qualificazione richiesta al personale adibito a tale mansione; lo stesso vale per le altre indennità, legate alle mansioni di capo treno;
la media annua della retribuzione pretesa è di circa euro 432,00, per cui non può sostenersi che l’effetto dissuasivo sia insussistente, poiché non si tratta di un importo simbolico e/o irrisorio;
l’eccezione di prescrizione è infondata, posto che per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 92/2012 che ha eliminato in via generale la tutela c.d. reale, ridotta a poche fattispecie -il relativo termine resta sospeso fino alla cessazione del rapporto di lavoro.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione ed errata applicazione’ dell’art. 414, nn . 3, 4 e 5, c.p.c. per avere la Corte territoriale escluso la nullità del ricorso introduttivo del giudizio.
Il primo motivo è a tratti inammissibile, a tratti infondato.
E’ inammissibile, poiché l’interpretazione dell’atto di parte spetta al giudice di merito e non sono denunziati vizi ermeneutici sub specie di violazione dei criteri di interpretazione di cui all’art. 1362 ss. c.c. In più occasioni, anche in sede nomofilattica, questa Corte ha affermato che in tema di interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici di cui all’art. 12 ss. disp.prel.c.c., in ragione dell’assimilabilità di tali provvedimenti, per natura ed effetti, agli atti normativi, mentre nell’interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 ss. c.c., che valorizzano l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale (Cass. ord. n. 25826/2022; Cass. n. 4205/2014; Cass. sez. un. n. 11501/2008).
Inoltre, il motivo è di conseguenza infondato.
La Corte territoriale si è attenuta ai principi affermati in sede di legittimità secondo cui (Cass. n. 817/99 e le altre richiamate nella gravata sentenza), nel rito del lavoro per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto (che è di competenza del giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizi di motivazione) e secondo cui (Cass. n. 17991/2018), in tema di domanda giudiziale, non è necessario che l’allegazione di un fatto costitutivo, come di altra circostanza rilevante ai fini del decidere, venga formulata nel contenuto narrativo del ricorso o della memoria di costituzione del convenuto, potendo essere individuata attraverso un esame complessivo dell’atto, senza che occorra l’uso di formule sacramentali o solenni, desumendola anche dalle deduzioni istruttorie e dalle produzioni documentali, secondo una interpretazione riservata al giudice del merito.
E proprio con un accertamento di merito, svolto con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. e, pertanto non sindacabile in questa sede, la Corte meneghina ha ritenuto che il ricorso introduttivo del lavoratore
fornisse elementi sufficienti per evincere le pretese azionate sia con riguardo all’ an che al quantum debeatur , tanto è vero che la stessa società si era difesa nel merito nonostante l’erronea indicazione della clausola contrattuale impugnata e la parziale visibilità dei conteggi. Nessuna violazione delle norme denunciate è, quindi, ravvisabile.
2.- Con il secondo motivo, senza indicarne la sussunzione in uno di quelli a critica vincolata imposti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 7 della direttiva 2003/88/CE, 10 d.lgs. n. 66/2003, 36 Cost., 2109 c.c., nonché degli artt. 19, punto 12, 21, punto 1.2. del contratto collettivo aziendale del 2001 e 21, punto 4, del contratto collettivo aziendale del 2019.
Il motivo non è fondato.
Tutti gli aspetti oggetto di censura concernono, sotto diversi profili e angolazioni, l’interpretazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, operata dai giudici di merito alla luce della giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Essi non sono fondati, per i motivi espressi in numerosi precedenti di questa Corte, cui si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (tra le molte pronunce, Cass. nn. 15604, 13321, 11760, 11758, 2963, 2682, 2680, 2431, 1141 del 2024; nn. 35578, 33803, 33793, 33779, 19716, 19711, 19663, 18160 del 2023; Cass. 19991, 19992, 25840 del 2024; Cass. n. 15323/2025).
Questa Corte ha in più occasioni affermato che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie subisce la decisiva influenza dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha precisato come l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, n. 1, della direttiva n. 88 del 2003 faccia riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria (Cass. n. 18160/2023 e successive conformi, con richiamo a CGUE 20.1.2009, C-350/06 e C-520/06, COGNOME, nonché, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216/2022).
I principi informatori di tale indirizzo giurisprudenziale sono nel senso di assicurare, a livello retributivo, una situazione sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore nei periodi di lavoro, sul rilievo che una
diminuzione della retribuzione può essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. CGUE 15.9.2011, C-155/10, COGNOME; CGUE 13.12.2018, C385/17, COGNOME).
In questo senso, si è precisato nelle pronunce indicate che qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente CGUE 13.1.2022, C-514/20, DS c. Koch).
Conseguentemente, è stato ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (Cass. n. 13425/2019, n. 37589/2021); atteso che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, le sentenze della Corte di Giustizia UE hanno efficacia vincolante e diretta nell’ordinamento nazionale, i giudici di merito non possono prescindere dall’interpretazione data dalla Corte europea, che costituisce ulteriore fonte del diritto dell’Unione europea, non nel senso che esse creino ex novo norme UE, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 22577/2012).
Pertanto, a fronte della rivendicazione di voci non corrisposte nel periodo feriale, è necessario accertare il nesso intrinseco tra l’elemento retributivo e l’espletamento delle mansioni affidate e, quindi, se l’importo pecuniario si ponga in rapporto di co llegamento funzionale con l’esecuzione delle mansioni e sia correlato allo status personale e professionale di quel lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019 cit., così come, per il caso del mancato godimento delle ferie, Cass. n. 37589/2021).
Va premesso che i CCAL di categoria, regolanti il rapporto di lavoro tra le parti, sono contratti collettivi aziendali per cui il sindacato di legittimità su tale tipologia di contratti può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c. (nella specie, nel testo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012 “ratione temporis” applicabile), ovvero ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa (cfr. Cass. n. 21888/2016).
Orbene, nella controversia in esame, vengono in discussione la cd. indennità di riserva , l’indennità di permanenza a bordo treno, l’indennità di efficientamento, le ‘provvigioni’ e l’indennità di trattamento per servizio fuori distretto.
L’indennità di trattamento per servizio fuori distretto, in quanto voce diretta a compensare il disagio dell’attività tipica del dipendente viaggiante derivante dal non avere un luogo fisso di lavoro, è stata già ritenuta da questa Corte come voce da includere nella retribuzione feriale, allorché si è esaminata analoga controversia che aveva come parte datoriale la società RAGIONE_SOCIALE (tra le molte, Cass. nn. 2963, 2682, 2680, 2431, 1141/2024; nn. 35578, 33803, 33793, 33779, 19716, 19711, 19663, 18160/2023).
La corresponsione, in forma continuativa, di una simile indennità è immediatamente collegata alle mansioni tipiche dei dipendenti con mansioni di train manager (Capo Treno o Capo Servizio Treno per RAGIONE_SOCIALE), essendo destinata a compensare il disagio dell’attività derivante dal non avere una sede fissa di lavoro e dall’essere continuamente in movimento, lontano dalla sede formale di lavoro.
In base alla medesima ratio (collegamento funzionale con le mansioni tipiche) sono fondate le domande collegate alla parte variabile dell’indennità di permanenza a bordo treno e di riserva, in quanto voci ordinariamente corrisposte per i periodi di lavoro, la cui erogazione in misura ridotta nel periodo di ferie, in base a una verifica ex ante , è potenzialmente dissuasiva al godimento delle stesse, tenuto conto della continuatività dell’erogazione nel corso dell’anno e dell’incidenza sul trattamento economi co mensile.
S ono ugualmente fondate le rivendicazioni relative all’indennità di efficientamento e alle provvigioni di cui all’art. 38 del CCAL di categoria per RAGIONE_SOCIALE, in quanto voci retributive di fatto continuative per tale personale mobile, correlate al disagio intrinseco della mansione e a compiti specifici ad essa attribuiti.
Nell’interpretazione delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale è necessario tenere conto della finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. Tale effetto deterrente può, infatti, realizzarsi qualora le voci che compongono la retribuzione nei giorni di ferie siano limitate a determinate voci, escludendo talune indennità di importo variabile (previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale) che sono comunque intrinsecamente collegate a compensare specifici disagi derivanti dalle mansioni normalmente esercitate.
La giurisprudenza UE ha, invero, chiarito che il lavoratore, in occasione della fruizione delle ferie, deve trovarsi in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro; ciò in quanto il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale UE, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva.
È stato affermato che ‘ la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore ‘ (sent. CGUE COGNOME cit., § 21); che ‘ l’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di prendere effettivamente i giorni di ferie cui ha diritto ‘, e che ‘ quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’artico lo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (…) è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione ‘ (sent. CGUE COGNOME COGNOME cit., § 44); che il giudice nazionale è
tenuto a interpretare la normativa nazionale in modo conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, con la precisazione che ‘ una siffatta interpretazione dovrebbe comportare che l’indennità per ferie retribuite versata ai lavoratori, a titolo delle ferie minime previste da tale disposizione, non sia inferiore alla media della retribuzione ordinaria percepita da questi ultimi durante i periodi di lavoro effettivo ‘ (sent. CGUE COGNOME COGNOME cit., § 52); che ‘ occorre dichiarare che, sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di disten sione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro ‘ (sent. CGUE COGNOME cit., § 23), sicché ‘ qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite ‘ (sent. CGUE Koch cit., § 41).
In tale prospettiva, non può ritenersi che l’incidenza dell’effetto dissuasivo possa essere apprezzata raffrontando la differenza retributiva mensile con quella annuale, dal momento che, per il lavoratore dipendente, la possibile induzione economica alla rinuncia al proprio diritto alle ferie deriva dall’incidenza sulla retribuzione che ogni mese, e quindi anche in quello di ferie, egli può impegnare per garantire a sé o alla sua famiglia le ordinarie condizioni economiche di vita. Deve perciò essere ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 37589/2021).
A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, inoltre, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie per il lavoratore vi
era una perdita economica di alcune centinaia di euro, superiore al 10% rispetto all’ammontare medio della retribuzione non feriale del dipendente; accertamento, questo, di merito, adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, in concordanza all’interpretazione conforme alla citata giurisprudenza dell’Unione europea e di legittimità delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, le doglianze in esame devono essere rigettate, perché la pronuncia impugnata si pone in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare nel periodo feriale un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’eserci zio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.
3.- Con il terzo motivo, senza indicarne la sussunzione in uno di quelli a critica vincolata imposti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. , la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2948 c.c., 18 L. n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012, per avere la Corte territoriale rigettato l’eccezione di prescrizione.
Il terzo motivo non è fondato.
In ordine alla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro questa Corte ha affermato che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 e poi dal d.lgs. n. 23/2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata. Conseguentemente, per tutti quei diritti che, come nella specie, sono sorti dopo l’entrata in vigore della legge n. 92/2012 o non sono prescritti al momento della sua entrata in vigore, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n. 26246/2022).
Il Collegio intende dare continuità ai principi espressi con la sentenza n. 26246/2022, confermati in numerose decisioni successive (v., tra le molte, Cass. n. 4321/2023; Cass. n. 4186/2023; Cass. n. 29831/2022; Cass. n. 30957/2022; Cass. n. 30958/2022).
Il principio è stato affermato a seguito della ricostruzione del quadro normativo sviluppatosi con l’entrata in vigore della legge n. 92/2012 e del d.
lgs n. 23/2015 e del rilievo che, in ragione delle predette riforme, l’individuazione del regime di stabilità sopravviene solo a seguito di una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, e, quindi, solo all’esito di un accertament o in giudizio, ex post .
Invero, la varietà delle ipotesi di tutela contemplate nel rinnovato art. 18 legge n. 300/1970 e la concreta possibilità che le stesse non necessariamente garantiscano il ripristino del rapporto di lavoro in caso di illegittimo recesso, evidenzia come il regime di stabilità del rapporto, in precedenza assicurato, sia venuto meno nella sua integralità. A tale evidente rinnovata situazione deve quindi conseguire che la prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, in assenza di un regime di stabilità reale, dalla cessazione del rapporto di lavoro e rimane sospesa in costanza dello stesso.
4.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza, con liquidazione come da dispositivo e distrazione in favore del difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al difensore, dichiaratosi antistatario.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data 11/09/2025.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME