Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20351 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20351 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore:
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8000-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME “NOME II” RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 87/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 22/01/2021 R.G.N. 753/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 8000/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
RILEVATO CHE
1. Con sentenza del 12.04.2019 il Tribunale di Bari, per quanto qui ancora rileva, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME che – sul presupposto di avere lavorato ininterrottamente per l’Istituto Tumori ‘Giovanni Paolo II’ dal settembre 2005 fino al marzo 2012 – alternando le mansioni di biologa analista tecnico di laboratorio di analisi e quelle di impiegata amministrativa addetta all’attività di accettazione del laboratorio analisi del Dipartimento di oncologia sperimentale – sulla scorta di una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa ‘a progetto’ ovvero de facto – aveva richiesto accertarsi che tra le parti era intercorso in questo periodo un rapporto lavorativo subordinato, la reintegrazione nel posto di lavoro per effetto della dovuta conversione dei contratti a termine ‘di natura simulatoria’ stipulati inter partes , l’accertamento del suo diritto all’inquadramento, a seconda delle diverse mansioni espletate di cui sopra, nella posizione funzionale C1 o D1 del CCNL dipendenti di Case di Cura private, con la conseguente condanna dell’Istituto suddetto al pagamento delle retribuzioni ancora spettanti, prospettando di essere stata retribuita solo durante i periodi marzo 2006febbraio 2007 e luglio 2010-dicembre 2011. Il Tribunale, in particolare, premesso che dalle prove testimoniali raccolte in corso di causa era emerso che ‘la Schinco ha di fatto svolto attività continuativa di lavoro in forma analoga a quella subordinata’, stante il disposto dell’art. 36, co. 5, d.lgs. n. 165/2001, riteneva, tuttavia, di dover rigettare le domande di cui ai punti da 1) a 3) del ricorso introduttivo, volte alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’IRCCS e alla reintegra in servizio; di dover rigettare, altresì, quelle di inquadramento sub 4) e 5), per esservi stato ‘solo svolgimento in fatto di mansioni analoghe a quelle proprie di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato’ e quelle sub 6) e 7), di pagamento delle retribuzioni e delle differenze retributive parametrate all’inquadramento contrattuale nelle posizioni funzionali D1 e C1, con la motivazione che la ridetta disposizione del TUPI
dà diritto al risarcimento del danno e che ‘ Imputando a diverso titolo le richieste della ricorrente … (ad es. ex art. 2126, c.c. quale risarcimento del danno o arricchimento senza giusta causa), questo giudice incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione poiché muterebbe radicalmente la causa petendi enunciata dalla ricorrente ‘. Riteneva, per contro, che dovesse essere accolta la domanda riconvenzionale dell’IRCCS e condannava la COGNOME a restituire Euro 3.671,95 ‘ in quanto emolumenti corrisposti per mensilità successive alla cessazione del contratto di collaborazione e progetto stipulato il 29.6.2010 e pertanto non dovute alla ricorrente ‘.
2. La Corte di appello di Bari, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla lavoratrice, con sentenza n. 87/2021 pubblicata il 22.1.2021 e notificata in pari data, ha condannato l’Istituto Tumori Giovanni Paolo II al pagamento in suo favore delle retribuzioni maturate e non corrisposte alla RAGIONE_SOCIALE durante il periodo dall’1.9.2005 al febbraio 2006, dal 7.3.2007 al giugno 2010 e dal gennaio 2012 al marzo 2012 nonché delle differenze paga maturate durante i periodi dal 7.3.2006 al febbraio 2007 e dal luglio 2010 al dicembre 2011, oltre svalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo, il tutto da quantificarsi in separata sede tenendo conto degli orari lavorativi e dell’inquadramento contrattuale meglio indicati nella parte motiva, nonché delle retribuzioni già percepite durante i periodi marzo 2006 marzo 2007 e da luglio 2010 a dicembre 2011. La Corte ha, altresì, rigettato la domanda riconvenzionale spiegata in primo grado dall’Istituto Tumori. In particolare, il Giudice d’appello riteneva fondato il gravame in quanto, avendo la dott.ssa COGNOME, in prime cure, richiesto di accertarsi la sussistenza di un sottostante rapporto lavorativo di natura subordinata, le conseguenti pretese economiche – in difetto dei presupposti per la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con l’IRCSS – dovevano esserle riconosciute proprio ai sensi dell’art. 2126 c.c., non costituendo oggetto di una domanda nuova, sicché, non avendo l’IRCCS impugnato
incidentalmente l’accertamento della natura subordinata del rapporto, le venivano riconosciute in appello – annullando, per l’effetto, la disposta condanna alla restituzione delle retribuzioni erogate in relazione al periodo di prestazioni de facto da luglio a dicembre 2011 – con conseguente condanna generica dell’IRCCS al pagamento delle stesse.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione l’Istituto Tumori Giovanni Paolo II affidato a due motivi.
La COGNOME replica con controricorso.
Le parti non hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso l’Istituto deduce, ex art. 360 co. 1, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato). Deduce che nel ricorso introduttivo, di cui riporta le conclusioni, la COGNOME non aveva mai chiesto il pagamento delle retribuzioni mensili e delle differenze retributive spettanti in forza dell’art. 2126 c.c. e che, dunque, la Corte d’Appello di Bari avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, accogliendo una domanda introdotta per la prima volta nel giudizio di gravame.
Con il secondo motivo di ricorso l’Istituto deduce, ex art. 360 comma 1 n. 3, violazione ed errata applicazione dell’art. 2033 c.c.
Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
3.1. È inammissibile in quanto non si confronta con il principio secondo il quale l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda o alla sua estensione, non è sindacabile in sede di legittimità con la deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., della violazione dell’art. 112 c.p.c., ma unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione e nei ristretti limiti del vigente art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (Cass.
34762 del 28/12/2024). La rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda è, infatti, attività riservata al giudice di merito, sicché, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel thema decidendum , tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo , ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Così Cass. n. 27181 del 22/09/2023 e Cass. n. 20718 del 13/08/2018).
3.2. Il motivo è, in ogni caso, infondato posto che la pretesa di condanna del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2126 cod. civ., al pagamento delle retribuzioni dovute per lo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato, anche con la P.A., allorquando la pretesa originariamente esercitata di riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con tale datore di lavoro sia esclusa per ragioni di nullità o per divieti imposti da norme imperative, non costituisce domanda nuova e può, dunque, essere prospettata per la prima volta in grado di appello o anche posta d’ufficio a fondamento della decisione (Cass. n. 25169 del 08/10/2019).
Il secondo motivo di ricorso è, del pari, inammissibile posto che, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, co. 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza
impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa. Nel caso di specie il ricorrente si limita a lamentare la violazione della norma senza in alcun modo argomentare in che modo la statuizione di merito sia in contrasto con il precetto.
4.2. Il motivo è, in ogni caso, infondato posto che chi agisce in ripetizione d’indebito ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, laddove nel caso di specie le somme sono state corrisposte dal datore di lavoro quale corrispettivo della prestazione lavorativa svolta di fatto dalla controricorrente.
Il ricorso in conclusione, va rigettato.
In applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso
condanna il ricorrente al pagamento, in favore di COGNOME NOME delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 12 giugno 2025
Il Presidente dott. NOME COGNOME