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Retribuzione ferie: indennità incluse nel calcolo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società di trasporti, confermando che la retribuzione ferie deve includere tutte le indennità accessorie, come quella di utilizzazione professionale e di assenza dalla residenza. La decisione si fonda sul principio del diritto europeo che garantisce al lavoratore una condizione economica durante le ferie paragonabile a quella del periodo lavorativo, per non disincentivare il godimento del riposo. L’azienda è stata inoltre condannata per lite temeraria.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Retribuzione Ferie: La Cassazione Conferma l’Inclusione delle Indennità Variabili

Il calcolo della retribuzione ferie rappresenta un tema cruciale nel diritto del lavoro, con implicazioni dirette sul benessere economico dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: le indennità accessorie, strettamente legate allo svolgimento delle mansioni, devono essere incluse nella paga durante le vacanze. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale a tutela del diritto al riposo, allineando la normativa nazionale ai principi del diritto europeo.

Il Contesto: Una Questione di Calcolo della Retribuzione Ferie

Il caso ha origine dalla domanda di un lavoratore di una società di trasporti ferroviari che chiedeva il riconoscimento, ai fini del calcolo della retribuzione durante le ferie, di due specifiche voci: l’indennità di utilizzazione professionale giornaliera e l’indennità per assenza dalla residenza. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al lavoratore, dichiarando la nullità delle clausole dei contratti aziendali e del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) che limitavano o escludevano tali indennità dal computo. Secondo i giudici di merito, questa esclusione violava il principio secondo cui la retribuzione durante le ferie deve essere onnicomprensiva e non inferiore a quella ordinaria.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte di Cassazione

La società datrice di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su otto motivi, che spaziavano dalla violazione di norme nazionali ed europee all’errata interpretazione dei principi giurisprudenziali. La Suprema Corte ha esaminato congiuntamente i primi cinque motivi e il settimo, ritenendoli infondati. I giudici hanno sottolineato come la questione fosse già stata ampiamente trattata e risolta in numerosi precedenti, anche nei confronti della stessa azienda ricorrente. L’orientamento consolidato, hanno ribadito, è che escludere dalla retribuzione feriale le componenti accessorie collegate alla prestazione lavorativa è illegittimo.

L’Importanza del Diritto Europeo nella Definizione della Paga durante le Ferie

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 7 della Direttiva europea 2003/88/CE, che garantisce il diritto a ferie annuali retribuite. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che la retribuzione durante le ferie deve essere ‘normale’ o ‘ordinaria’. Ciò significa che il lavoratore deve trovarsi in una situazione finanziaria comparabile a quella dei periodi di lavoro. L’esclusione di indennità variabili potrebbe infatti creare un disincentivo economico a godere delle ferie, spingendo il lavoratore a rinunciare al proprio diritto al riposo per non subire una perdita economica. La Cassazione ha pienamente recepito questo principio, affermando la sua prevalenza sulle disposizioni contrattuali nazionali contrastanti.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sul consolidato orientamento giurisprudenziale, rafforzato dal diritto dell’Unione Europea. Il principio cardine è che la retribuzione spettante durante il periodo di ferie deve essere tale da non disincentivare il lavoratore dal fruire del proprio diritto al riposo. Pertanto, essa deve includere tutte le componenti retributive intrinsecamente connesse all’esecuzione delle mansioni e che rientrano nella retribuzione ‘ordinaria’ del dipendente. Escludere tali indennità creerebbe una disparità economica inaccettabile tra i periodi di lavoro e quelli di riposo. La Corte ha inoltre evidenziato il proprio ruolo di nomofilachia, volto a garantire la stabilità e la prevedibilità delle decisioni giudiziarie, rigettando le argomentazioni della ricorrente che miravano a scardinare un principio ormai consolidato. Anche gli altri motivi, inclusi quelli procedurali e relativi alla prescrizione, sono stati giudicati infondati o inammissibili.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, condannando la società al pagamento delle spese processuali. In aggiunta, ha applicato le sanzioni previste dall’art. 96 del codice di procedura civile per lite temeraria, riconoscendo che l’azienda aveva agito in giudizio nonostante la presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato e contrario. Questa ordinanza non solo tutela il diritto del singolo lavoratore, ma rafforza un principio di civiltà giuridica: il diritto alle ferie è un diritto fondamentale che deve essere protetto da ogni forma di disincentivo, garantendo una piena e reale pausa dal lavoro senza penalizzazioni economiche.

Le indennità variabili, come quella di utilizzo professionale o di assenza dalla residenza, devono essere incluse nel calcolo della retribuzione durante le ferie?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, tutte le componenti retributive intrinsecamente connesse allo svolgimento delle mansioni devono essere incluse nel calcolo della retribuzione feriale, poiché la loro esclusione creerebbe un disincentivo economico al godimento delle ferie.

Perché la Corte di Cassazione ha dato così tanto peso al diritto dell’Unione Europea in questa decisione?
La Corte ha dato peso al diritto UE perché la Direttiva 2003/88/CE stabilisce il diritto irrinunciabile a ferie retribuite. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha chiarito che la retribuzione durante le ferie deve essere ‘ordinaria’ e comparabile a quella dei periodi lavorativi, un principio che prevale sulle norme nazionali o contrattuali in contrasto.

Cosa significa la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. inflitta all’azienda?
Significa che la Corte ha ritenuto che l’azienda abbia agito in giudizio con ‘mala fede o colpa grave’, ovvero intentando una causa (in questo caso, un ricorso) pur essendo consapevole dell’infondatezza delle proprie ragioni alla luce di una giurisprudenza consolidata. È una sanzione per l’abuso dello strumento processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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