Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25120 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 25120 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
Oggetto
Retribuzione
ai fini
delle ferie
Gente del
mare
R.G.N. 18791/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 02/07/2025
PU
SENTENZA
sul ricorso 18791-2024 proposto da:
FOTI COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOMENOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 339/2024 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 13/05/2024 R.G.N. 591/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1723/2021 il Tribunale di Messina aveva accolto parzialmente le domande proposte da COGNOME NOME, direttore di macchina alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, con ricorso depositato l’1.10.2010, riconoscendo allo stesso l’importo di € 25.595,81, di cui: € 3.476,82, quali differenze retributive sul superbonus pensione anno 2007 ed € 1.217,58 per l’anno 2006, di cui alla L. n. 243/2004, € 24.190,51 (di cui € 1.668,31 a titolo di incidenza sul TFR) quali differenze retributive dov ute nel calcolo dell’indennità sostitutiva per ferie e riposi compensativi, includendo nella retribuzione base anche l’indennità di comando e direzione di macchina, il premio di produttività in cifra fissa, il premio di risultato, il salario per prestazion i di qualità dell’indennità di navigazione ed € 703,51 a titolo di aumenti contrattuali previsti dall’accordo nazionale 3 febbraio 2009 e dall’accordo integrativo del 27 maggio 2009; aveva condannato, quindi, la società al pagamento del suddetto importo complessivo, con gli accessori di legge, nonché delle spese di CTU e di un terzo di quelle giudiziali con compensazione della quota rimanente. Lo stesso
Tribunale aveva rigettato, invece, la domanda di differenze retributive per il mancato calcolo sulla retribuzione, durante il periodo di sbarco per cd. rotazione sociale, sulla tredicesima e quattordicesima mensilità, sui riposi compensativi e sul trattame nto di fine rapporto, dell’indennità di comando e direzione di macchina, del premio di produttività in cifra fissa, del premio di risultato e del salario per prestazioni di qualità nel periodo 2004/2008, ritenendo che le voci indicate fossero correlate all a presenza in servizio e, dunque, all’effettiva prestazione dell’attività lavorativa. Infine, aveva rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla società, volta alla declaratoria di inapplicabilità nei confronti del Foti dell’intero contratto integrativo aziendale e al recupero delle somme indebitamente percepito in applicazione dell’accordo integrativo.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Messina così provvedeva: in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado e in altrettanto parziale riforma di quest’ul tima, condannava la società al pagamento, in favore del Foti, degli importi, quali bonus pensioni, di € 1.217,58 per l’anno 2006 e di € 3.476,82 per l’anno 2007, nonché l’importo di € 703,51 a titolo di aumenti contrattuali, con interessi legali e rivalutazione monetaria dal maturato al soddisfo.
Per quanto qui interessa, la Corte sintetizzava quanto considerato dal primo giudice nell’accogliere parzialmente le domande dell’attore e riferiva i motivi dei contrapposti gravami, principale ed incidentale.
Considerava, quindi, che il ricorrente in sintesi sosteneva che, nonostante l’esplicita previsione dell’art. 49 del CCNL applicato al rapporto che rimandava al concetto di retribuzione di cui all’art. 34 dello stesso CCNL, tale previsione contrattuale esigeva di essere coordinata con la normativa di carattere generale secondo cui sono parte del reddito da lavoro dipendente, e quindi della retribuzione, tutte le somme percepite a qualsiasi titolo in relazione al rapporto in maniera fissa e continuativa.
Rispetto, poi, al principio di onnicomprensività della retribuzione, pure invocato dal lavoratore, la Corte richiamava in senso contrario talune pronunce di legittimità e, segnatamente, Cass. n. 26510/2020, ritenendo, quindi, che la definizione di retribuzione ai fini dei cd. istituti indiretti era individuabile soltanto attraverso la specifica previsione di norme di legge o di contratto collettivo.
5.1. Osservava, quindi, che in tema di lavoro marittimo l’art. 325 cod. nav. conferisce espressa delega alle norme dei contratti collettivi di lavoro nella definizione della misura e delle componenti della retribuzione; e che il contratto integrativo nazionale per i comandanti ed i direttori di macchina impiegati nei servizi di autotraghettamento sullo stretto di Messina del 25 settembre 1995 prevedeva espressamente che le indennità di comando e di direzione di macchina avranno le stesse caratteristiche giuridicofiscali dell’indennità di navigazione e, pertanto, non faranno parte della retribuzione ad alcun effetto; previsione che andava letta in conformità all’art. 35 p. 7 del CCNL che, a sua volta, escludeva il computo dell’indennità di navigazione ‘nel c alcolo del compenso orario per il lavoro straordinario, dei riposi compensativi (sabati, domeniche,
festività nazionali ed infrasettimanali, festività cadenti di domenica, semifestività) e delle relative indennità sostitutive, delle ferie e delle indennità sostitutive delle stesse, della gratifica natalizia e della gratifica pasquale, della tredicesima e della quattordicesima, dell’indennità sostitutiva del preavviso e del trattamento di fine rapporto’.
5.2. In definitiva, secondo la Corte, la struttura retributiva prevista dall’art. 34 del CCNL non includeva le indennità invocate dal ricorrente in primo grado, e tutte le superiori considerazioni valevano per l’indennità di produttività, il premio di risu ltato, l’indennità di navigazione e il salario per prestazioni di qualità.
Peraltro, la sentenza della Corte Giustizia c.d. Williams riguardava l’interpretazione dell’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orari o di lavoro, ma tale direttiva, oltre a riguardare altri e diversi aspetti rispetto a quelli scrutinati, non si applicava alla gente di mare (art. 1, par. 12), il cui orario era governato dalla direttiva 1999/63/CE del Consiglio, del 21 giugno 1999, relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST) in base all’articolo 139, par. 2, del trattato.
La Corte territoriale giudicava, quindi, fondato il primo motivo dell’appello incidentale della società, riguardante la condanna al pagamento dell’importo di € 22.522,20, conseguente all’inclusione, nella base di calcolo degli istituti
indiretti rivendicati, delle indennità in precedenza menzionate e della relativa incidenza sul trattamento di fine rapporto.
7.1. Di converso, risultavano non accoglibili i motivi dell’impugnazione principale del lavoratore, che trovavano il proprio fondamento in ulteriori differenze scaturenti dall’inclusione nella base di calcolo delle indennità che la contrattazione collettiva non aveva, legittimamente, inteso inserire nella base di calcolo ai fini degli istituti indiretti e della loro influenza sul trattamento di fine rapporto.
7.2. Per la Corte restava travolto anche il motivo dell’impugnazione principale con cui il lavoratore rivendicava il riconoscimento delle differenze retributive (e della relativa ripercussione sul TFR) dell’indennità per ferie non godute e permessi compensativi non calcolati, in relazione a n. 104 giornate, e non alle n. 89 giornate riconosciute dal giudice di primo grado, trattandosi anche in questo caso di domanda strettamente inerente il riconoscimento delle indennità escluse dalla contrattazione collettiva; e analogamente andava detto in relazione alle differenze contributive.
Confermava, invece, la sentenza di prime cure circa le somme specificate nel dispositivo della propria sentenza, in mancanza a riguardo di specifico motivo d’appello incidentale della società.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Gli intimati hanno resistito con distinti controricorsi.
11. A seguito della fissazione di pubblica udienza, il P.M. ha depositato memoria in cui ha concluso per la reiezione del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88, dell’art. 31, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, della direttiva 1999/63/CE attuata con d.lgs. 27 maggio 2005 n. 108 e dell’art. 36 Cost., con riguardo all’indennità ferie non godute liquidata al termine del rapporto di lavoro e determinata, ai sensi degli artt. 48 e 49 del CCNL per i capitani di lungo corso al comando e dei capitani di macchina delle navi traghetto superiore al 151 TSL e della contrattazione integrativa aziendale anche in contrasto con l’interpretazione conforme della giurisprudenza eurounitaria e di legittimità, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc’. Deduce che la ‘Corte di merito ha applicato le norme del CCNL e della contrattazione integrativa aziendale che individuano gli elementi retributivi per il calcolo degli istituti indiretti della retribuzione, ritenendo che non sussista un principio di onnicomprensività, per escludere dalla retribuzione nel periodo di ferie alcune componenti (indennità comando e direzione di macchina, premio produttività e risultato, salario di qualità) costituenti la retribuzione ordinaria ed ha, dunque, violato e falsamente applicato le norme interne ed euro unitarie sulla nozione di ‘ ferie retribuite ‘, inderogabile dalla contrattazione collettiva, erroneamente negando il diritto del lavoratore alle differenze retributive e contributive maturate sull’indennità sostitutiva
delle ferie non godute sino alla cessazione del rapporto di lavoro, anche in contrasto con la giurisprudenza della CGUE e della Cassazione’.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88, dell’art. 31, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 36 Cost., dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 27 maggio 2005 n. 108 di attuazione della direttiva 1999/63/CE con riguardo all’indennità ferie non godute liquidate al termine del rapporto di lavoro e determinata anche in contrasto con l’interpretazione conforme della giurisprudenza eurounitaria e di legittimità con riferi mento all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc.’. Deduce che ‘la Corte d’appello di Messina ha accolto l’appello incidentale respingendo la domanda del lavoratore di aver riconosciuta l’indennità sostitutiva delle ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro, secondo la nozione europea di retribuzione feriale, affermando che la direttiva 2003/88 non si applica alla gente di mare la cui regolamentazione è prevista dalla direttiva 1999/63/CE (clausola 16 dell’accordo), senza considerare che quest’ultima dir ettiva è attuata nell’ordinamento interno con il d.lgs. 108/2005, che prevede la medesima nozione di ‘ferie retribuite’ ed all’art. 8 comma 2 l’indennità sostitutiva delle ferie non godute in applicazione dei principi espressi dell’art. 7 della direttiva 2003/88 e dall’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea di portata generale ed applicabili a tutti i lavoratori. La decisione contrasta con la conforme giurisprudenza della CGUE e di legittimità’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88, dell’art. 31, par.
2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 36 Cost., dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. 27 maggio 2005 n. 108 di attuazione della direttiva 1999/63/CE e del CCNL per i capitani di lungo corso al comando e i capitani di macchina de lle navi traghetto superiore al 151 TSL che prevede all’art. 79 il diritto alle ferie durante lo sbarco per cd rotazione sociale e alla retribuzione ordinaria determinata ai sensi degli artt. 48 e 49 secondo l’interpretazione conforme della giurisprudenza eurounitaria e di legittimità di riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 cpc.’. Deduce che la ‘Corte di merito ha violato e falsamente applicato le norme interne ed euro unitarie negando il diritto del lavoratore di percepire la retribuzione ordinaria nei giorni di ferie godute nel periodo di sbarco per rotazione sociale, come previsto dal c.d. regime di continuità del rapporto di lavoro, con inclusione delle componenti (indennità comando e direzione di macchina, premio produttività e risultato, salario di qualità), applicando le norme del CCNL, e della contrattazione integrativa aziendale anche in contrasto con la giurisprudenza della CGUE e della Cassazione’.
4. Con un quarto motivo denuncia ‘Violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo paragrafo, T.F.U.E. sull’interpretazione dell’art. 8 del d.lgs. 27 maggio 2005 n. 108 di attuazione della direttiva 1999/63 riguardo al diritto del lavoratore marittimo alla retribuzione ordinaria nel periodo di ferie godute durante lo sbarco per cd. rotazione sociale ed alla relativa indennità per mancato godimento delle ferie maturate alla cessazione del rapporto di lavoro’. Lamenta che la ‘Corte d’appello ha negato il diritto del ricorrente alla retribuzione ordinaria nel periodo di ferie godute durante il riposo a terra per rotazione sociale e nel calcolo dell’indennità per ferie non godute
alla cessazione del rapporto di lavoro, escludendo alcune componenti (indennità comando e direzione di macchina, premio produttività e risultato, salario di qualità) affermando la non applicabilità alla gente di mare della nozione europea di retribuzione feriale senza disporre il rinvio pregiudiziale alla CGUE per assicurare l’unità d’interpretazione della direttiva 1999/63/CE (clausola 16)’.
I primi tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per evidente connessione, sono fondati nei termini che si passa ad illustrare.
Occorre anzitutto richiamare principi di diritto che si sono ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte Suprema (v., ex multis , tra le più recenti sent. n. 18160/2023, n. 19663/2023, n. 19711/2023, n. 19716/2023, nonché le ord. 27.9.2024, nn. 25840 e n. 25850).
6.1. In particolare, si è costantemente ritenuto che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza Robinson Steele del 2006, ha precisato che co n l’espressione <> contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, <> la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C.350/06 e C-520/06, COGNOME e altri). Ciò che si è inteso assicurare è una situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo
che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. C.G.U.E. Williams e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del 13/12/2018, C-385/17). Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20).
6.1. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo ‘status’ personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17/05/2019 n. 13425).
6.2. Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l’indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato
allo ‘status’ personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30/11/2021 n. 37589).
6 .3. Proprio in applicazione della nozione c.d. ‘europea’ di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, poi, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva (l’art. 10 del c.c.n.l. Trasporto Aereo -sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude per tale periodo minimo di ferie evidenziandosi il contrasto con l’art. 4 del d.lgs. n. 185 del 2005 (decreto di attuazione della direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile) interpretando tale disposizione proprio alla luce del diritto europeo che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa (cfr. Cass. 23/06/2022 n. 20216).
6 .4. E’ opportuno poi rammentare, come già ritenuto nella sentenza da ultimo citata, ‘che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull’ordinamento nazionale’ sicché non può prescindersi dall’interpr etazione data dalla Corte Europa che, quale interprete qualificata del diritto dell’unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, ha nno perciò ‘valore di ulteriore fonte
del diritto comunitario, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità’ (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).
6 .5. Nell’applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione nell’intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria confo rmandosi all’art. 288, comma 3, TFUE. L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena eff icacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C106/89 Marleasing p. 8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 COGNOME p. 26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 von Colson p. 26, CGUE 28/06/2012 causa C-7/11 COGNOME p. 51, tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso, come si vedrà subito.
Tanto premesso, come si è riferito in narrativa, la Corte distrettuale ha considerato che la cit. Direttiva 2003/88/CE non si applica alla gente di mare, il cui orario è governato dalla differente Direttiva 1999/63/CE del Consiglio del 21 giugno 1999.
7.1. Tale ‘obiezione’ non è, però, affatto risolutiva.
7.2. E’ ben vero che nel ‘Considerando’ 12) alla ‘Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4
novembre 2003 concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro’, si legge: ‘Un accordo europeo relativo all’orario di lavoro della gente di mare è stato applicato mediante la direttiva 1999/63/CE del Consiglio, del 21 giugno 1999, relat iva all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST), in base all’articolo 139, paragra fo 2, del trattato. Di conseguenza, le disposizioni della presente direttiva non si applicano alla gente di mare’.
Pertanto, l’art. 1, par. 3, alinea secondo, della stessa Direttiva 2003/88/CE recita: ‘Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 8, la presente direttiva non si applica alla gente di mare, quale definita nella direttiva 1999/63/CE’.
7.3. Non è questionabile, perciò, che la Direttiva 2003/88/CE e, quindi, anche l’art. 7 della stessa, non trovino diretta applicazione alla ‘gente di mare, quale definita’ nell’altra apposita Direttiva 1999/63/CE.
E la Corte territoriale ha appunto accertato in fatto che il lavoratore rientrasse nel personale qualificato come ‘gente di mare’ (cfr. pag. 9, 2° cpv. della sua sentenza); il che peraltro è tuttora dato per pacifico dalle parti.
Tuttavia, si deve tener conto di quanto segue.
8.1. L’ora cit. Direttiva del 1999 (che, come tale, si compone di soli 4 articoli) aveva come obiettivo ‘l’attuazione dell’accordo, riportato in allegato, relativo all’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, concluso il 30
settembre 1998 tra le organizzazioni rappresentanti i datori di lavoro e i lavoratori del settore marittimo (ECSA e FST)’ (così l’art. 1). Peraltro, l’art. 2 della stessa Direttiva, sotto la rubrica ‘Requisiti minimi’, al par. 2, prevede che: ‘L’attuazione delle disposizioni della presente direttiva non costituisce in ogni caso motivo sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori nell’ambito coperto dalla stessa, fatto comunque salvo il diritto degli Stati membri e/o delle parti sociali di sviluppare, alla luce dell’evolversi della situazione, disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse rispetto a quelle esistenti al momento dell’adozione della presente direttiva, a patto che i requisiti minimi previsti nella presente direttiva siano rispettati’.
Inoltre, non può essere ignorato che, come si trae dal complesso delle disposizioni dell’accordo attuato con la Direttiva 1999/63/CE, ad esse non era affatto estraneo il ‘rispetto dei principi generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavorator i’ in questione; rispetto, anzi, ritenuto ‘dovuto’ in primo luogo dalle parti stesse dell’accordo (cfr. in particolare la Clausola 5, par. 6).
Ma, soprattutto, la Clausola 16 del cit. Accordo allegato alla Direttiva recita:
‘La gente di mare ha diritto di beneficiare di ferie annuali retribuite di almeno due settimane, o di una parte corrispondente a periodi di attività inferiori ad un anno, in conformità delle condizioni previste dalla legislazione nazionale e/o dalla prassi ai fini e a garanzia di queste ferie.
Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità, eccetto nel caso che il rapporto di lavoro sia terminato’.
8.2. Ebbene, com’è agevole riscontrare, il contenuto testuale della trascritta Clausola 16 dell’Accordo ‘implementato’ nella Direttiva del 1999 è pressoché identico, anche sul piano lessicale, al dettato dell’art. 7, par. 1 e 2, della successiva Direttiva 2003/88/CE, in tema di ‘Ferie annuali’; vale a dire, l’articolo di tale Direttiva che reca le precipue disposizioni in considerazione delle quali, ma non soltanto, si è delineata, anzitutto a livello di giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, la c d. nozione europea ai fini delle ferie.
8.3. Infine, anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 31, sotto la rubrica ‘Condizioni di lavoro giuste ed eque’, nel par. 2 usa la medesima locuzione di ‘ferie annuali retribuite’, adottata nelle previsioni già considerate.
Nota, inoltre, il Collegio che una delle decisioni di legittimità all’origine dell’ormai costante indirizzo espresso in subiecta materia da questa Corte Suprema, è stata la già cit. Cass., sez. lav., sent. 17.5.2019, n. 13425, resa in fattispecie che riguardava appunto l’odierna società controricorrente, in relazione all’indennità di navigazione cd. ‘Stretto di Messina’, e nella quale trovò accoglimento il ricorso per cassazione di un lavoratore avverso sentenza a lui contraria della Corte d’appello di Messina (in termini in fattispecie pressoché identica Cass. n. 22401/2020).
La Corte del territorio, inoltre, non ha considerato che con il d.lgs n. 108/2005 è stata data attuazione nel nostro
ordinamento interno alla ‘Direttiva 1999/63/CE relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Union europea (FST)’.
In particolare, l’art. 8 del d.lgs. n. 108/2005, sotto la rubrica ‘Ferie’, per il ‘lavoratore marittimo’ regola l’istituto in termini pressoché corrispondenti alla sopra riportata ‘Clausola 16’ del citato accordo allegato alla direttiva del 1999 (clausola a sua volta, come già evidenziato, di tenore quasi identico all’art. 7 Direttiva 2003/88/CE), salvo sancire che il periodo di ferie retribuite è ‘pari ad almeno trenta giorni’ (su base annua intera), in luogo delle ‘almeno due settimane’, assicurate dallo stesso accordo.
Alla luce di tali piani rilievi allora, pur non essendo direttamente applicabile alla ‘gente di mare’ l’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, il Collegio non intravvede il benché minimo plausibile motivo per opinare che per la ‘gente di mare’ operi una nozione di retribuzione ai fini delle ferie (godute o meno) differente da quella ‘europea’ innanzi illustrata.
11.1. Benché rispetto ai lavoratori marittimi sia diversa la specifica fonte eurounitaria di riferimento (com’è anche per il personale di volo dell’aviazione civile, secondo quanto già visto), ciò non toglie che, in base alle disposizioni interne specifiche (essenzialmente, il cit. d.lgs. n. 108/2005) e generali (a cominciare dall’art. 36, ult. comma, Cost.), lette alla luce della giurisprudenza della CGUE e di questa Corte, anche per tali lavoratori debba valere la medesima nozione europea di retribuzione.
Al contrario, a fronte di un quadro normativo eurounitario e interno per la ‘gente di mare’ solo in parte differenziato, ma non per le garanzie minime su viste, sarebbe pure sospettabile d’illegittimità costituzionale una previsione normativa che, in base a diverso approdo esegetico, portasse ad opposta conclusione.
11.2. Ergo , il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE che il ricorrente profila nel quarto motivo del ricorso per cassazione (nei termini specificati alle pagg. 2223 dell’atto) si appalesa nella specie non necessario.
Pertanto, dovendosi riconoscere anche alla ‘gente di mare’ una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale, cioè, da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa , la Corte territoriale rispetto a tale nozione avrebbe dovuto interpretare e quindi valutare le precipue disposizioni collettive che venivano in considerazione.
12.1. Più in particolare, la Corte, senza arrestarsi a denominazioni o qualificazioni eventualmente presenti in tali disposizioni collettive, ma, in relazione a tutte le differenti ‘voci’ economiche dal lavoratore asseritamente non considerate, indagando la specifica causale di ognuna di esse, avrebbe dovuto (dovrà, in sede di rinvio) accertarne anzitutto la natura retributiva; e segnatamente, pur al di fuori di un principio di assoluta onnicomprensività della retribuzione da considerare ai fini che qui interessano (principio non affermato da questa Corte nei su richiamati precedenti), avrebbe dovuto (dovrà) verificare se ognuna di esse costituisca importo pecuniario in rapporto di
collegamento all’esecuzione delle mansioni e correlato allo ‘status’ personale e professionale del lavoratore .
12.2. Una volta positivamente constatata tale natura per tutti o taluno di tali importi pecuniari, la Corte avrebbe dovuto (dovrà, in sede di rinvio) controllare l’esistenza di eventuali regole collettive di esclusione, o di riduzione della portata, di ognuna di tali voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie o nella base di calcolo dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Se riscontrata l’esistenza di previsioni collettive applicabili in tal senso, la Corte di merito in sede di rinvio dovrà procedere ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione (o riduzione del peso) di dette voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie e dagli emolumenti sostitutivi delle ferie non godute al godimento delle stesse.
Per conseguenza, ben potrà il giudice di rinvio ritenere l’invalidità di quelle norme collettive ove giudicate contrastanti con la disciplina inderogabile in peius sopra illustrata (come avvenuto in casi consimili) e, quindi, dar corso alle rideterminazioni del dovuto al lavoratore in conformità alla nozione europea di retribuzione ai fini delle ferie (anche non godute).
In definitiva, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto motivo, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla medesima Corte territoriale, che, in differente composizione, oltre a regolare le spese, comprese quelle del giudizio di cassazione, dovrà riesaminare il
caso in conformità a tutti i principi di diritto delineati nella motivazione che precede.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2.7.2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
La Presidente
NOME COGNOME