Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15524 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 704 del 2023 proposto da: NOME e NOMECOGNOME rappresentate e difese dagli avv.ti
NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE‘ di PISA, rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME dell’Avvocatura d’Ateneo, elettivamente domiciliate, in Roma, presso lo studio dell’avv.to NOME COGNOME
– controricorrente –
e
INPS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME.
-resistente con mandato –
Oggetto
R.G.N. 704/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 08/05/2025
CC
avverso la sentenza n. 519/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 3.11.2022 R.G.N. 558/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8.5.2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI di CAUSA
La Corte di Appello di Firenze nella sentenza qui impugnata, premetteva in fatto le seguenti circostanze:
dall’anno accademico 1989/1990 NOME e NOME COGNOME venivano assunte come lettrici di madrelingua ex art. 28 del d.P.R. n. 382/1980;
dall’anno accademico 1994/1995 sottoscrivevano contratto a tempo indeterminato come collaboratori esperti linguistici ex l. n. 236 del 1995;
con sentenza, passata in cosa giudicata, del Tribunale di Pisa n. 1399/2002 veniva loro riconosciuto il trattamento economico del ricercatore a tempo definito dalla prima assunzione in qualità di lettore fino alla data del 31.10.1994 (stipula del contratto quali CEL);
l’Università di Pisa aveva conseguentemente eseguito la sentenza corrispondendo lo stipendio al 100%;
a seguito del d.l. n. 2 del 2004, conv. con l. n. 63 del 2004, a far data dell’1.11.1994, l’Università aveva ridotto il trattamento in modo proporzionale alle 385 ore svolte;
le lavoratrici citavano pertanto in giudizio l’Università e l’Inps, chiedendo l’accertamento di un unitario rapporto di lavoro fin dal primo rapporto, concludendo per il riconoscimento del loro diritto a far data dal 1.11.1994 e sino al 2.10.2007, al 100% del trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito comprensivo della progressione economica ex art. 38 del d.P.R. n.
392 del 1980 e degli incrementi stipendiali oltre regolarizzazione contributiva.
Il ricorso, rigettato dal Tribunale di Pisa, veniva accolto dalla Corte di Appello di Firenze con la sentenza n. 808 del 2013 che riteneva che, in forza del precedente giudicato le collaboratrici linguistiche erano divenute titolari di un trattamento economico di maggior favore salvaguardato dalla normativa succedutasi nel tempo; la Corte territoriale aggiungeva, poi, ponendo a base del proprio argomentare il principio di conservazione dei diritti quesiti, che non poteva essere applicato nel caso di specie l’art. 26 della l. n. 240 del 2010 poiché al momento di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica le collaboratrici linguistiche non avevano alcun giudizio in corso avendo già conseguito, con sentenza passata in giudicato, la giusta retribuzione spettante. Sulla base di tali considerazioni, previa CTU, la Corte condannava l’Università al pagamento di € 118.149,74, in favore della Delor, e di € 117.752,79, in favore della Klein, oltre interessi e rivalutazione in ragione della natura privatistica del rapporto.
Proposto ricorso per cassazione avverso la sopraindicata pronunzia n. 808/2023 della Corte di Appello di Firenze dall’Università di Pisa, con la sentenza n. 20765/2018, questa Corte la cassava con rinvio, enunziando – per quanto ancora qui in discussione, i seguenti principi di diritto cui la Corte Territoriale doveva attenersi:
la continuità normativa e l’analogia tra la posizione degli ex lettori di lingua straniera e quella dei collaboratori linguistici non consente di configurare una sorta di ruolo ad esaurimento per il rapporto di lettorato, sicché, anche qualora l’ex lettore abbia ottenuto l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ragione della nullità della clausola di durata, va comunque applicata la disciplina dettata per i collaboratori
esperti linguistici dalla data di sottoscrizione del contratto stipulato ai sensi del d.l. n. 120 del 1995;
b) nei rapporti giuridici di durata l’autorità del giudicato esplica efficacia nel tempo successivo alla sua emanazione a condizione che non si verifichino sopravvenienze, di fatto o di diritto, che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento, sicché, quanto agli ex lettori divenuti collaboratori linguistici, l’ultrattività del giudicato relativo alla ‘giusta retribuzione’ è impedita qualora la statuizione si fondi anche sull’obbligo di esclusiva imposto al lettore, obbligo non previsto dal c.c.n.l. del 21.5.1996 per i collaboratori esperti linguistici;
c) nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva, solo con riferimento a situazioni che siano già entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, per cui l’art. 4 del d.l. n. 120 del 1995, conv. dalla l. n. 236 del 1995, si interpreta nel senso che al momento della sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica doveva essere riconosciuta all’ex lettore l’anzianità di servizio maturata in forza dei contratti stipulati ai sensi dell’art. 28 d.P.R. n. 382 del 1980 ai fini dell’applicazione degli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità medesima ed ai connessi profili previdenziali;
d) il d.l. n. 2 del 2004, conv. dalla l.. n. 63 del 2004, per ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia del 26.6.2001, in C-212/1999, ha previsto un criterio di ricostruzione a fini economici della carriera degli ex lettori da far valere a far tempo dalla data di prima assunzione, ma ha fatto salvo il trattamento di miglior favore e tale deve ritenersi il riconoscimento, nella specie ottenuto in via giudiziale, di una retribuzione oraria per il lavoro svolto come lettore, superiore a quella ottenuta applicando il criterio indicato dal richiamato d.l. n. 2 del 2004;
e) la conservazione del trattamento di miglior favore previsto dal d.l. n. 2 del 2004 opera nei limiti precisati dall’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010 sicché dalla data di sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico all’ex lettore va attribuita la differenza, a titolo di assegno personale, fra la retribuzione determinata ai sensi del d.l. n. 2 del 2004, eventualmente maggiorata per effetto della clausola di salvaguardia, ed il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e decentrata, restando escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito; (…)’
Riassunto il giudizio sia dalle collaboratrici esperte linguistiche che dall’Università, la Corte di Appello di Firenze, riuniti i ricorsi, così provvedeva: rigettava le domande proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME e, per l’effetto, condannava le stesse alla restituzione in favore dell’Università degli Studi di Pisa delle somme percepite in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 808/2013, negli importi specificamente indicati in dispositivo, ordinando altresì la restituzione da parte dell’INPS in favore dell’Università di Pisa dei contributi corrisposti in esecuzione della medesima sentenza.
Proponevano ricorso, articolato in sette motivi ed assistito dal deposito di memoria, le collaboratrici linguistiche indicate in epigrafe.
Resisteva con controricorso l’Università di Pisa, depositando altresì memoria.
L’INPS depositava procura ai soli fini della partecipazione all’udienza pubblica, senza svolgere attività difensiva.
MOTIVI della DECISIONE
1. Preliminarmente va evidenziato che il Collegio che decide sul ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunziata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la cassazione della pronunzia, senza che sussista un obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando , atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3980 del 29/02/2016; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30646 del 2018; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 1542 del 25/01/2021). cassazione, il controricorso non è inammissibile per difetto dello postulandi
1.1. Del pari in via preliminare va altresì rilevato che, a differenza di quanto dedotto nelle memorie dai procuratori delle ricorrenti in ius che è, invece, correttamente conferito ad avvocato interno.
Sul punto il Collegio precisa che non intende affatto discostarsi dai principi anche di recente riaffermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 6635 del 12/03/2025, rv. 673940 – 01) sulla scorta dell’insegnamento di Cass. Sez. U., n. 24876/2017, rv. 645661-01.
In dette pronunzie si afferma che, ai sensi dell’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933 – come modificato dall’art. 11 della l. 3 aprile 1979,
n. 103 – la facoltà per le Università statali di derogare “in casi speciali” al “patrocinio autorizzato”, spettante per legge all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente (ossia del rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza (consiglio di amministrazione) per un controllo di legittimità, cosicché, in via generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal regolamento o dallo statuto dell’Università, fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria; tuttavia, nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell’art. 12 del r.d. n. 1592 del 1933, il rettore, quale presidente del consiglio d’amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal consiglio, così sanando l’originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del rettore, non seguito dal vaglio del consiglio, nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici parti nel medesimo giudizio, rendendo un simile conflitto di interessi – che deve essere non meramente ipotetico, ma reale e documentato -non ipotizzabile il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione. Tanto premesso, il Collegio rimarca che la fattispecie concreta qui all’attenzione è differente da quella esaminata nelle innanzi ricordate pronunzie di legittimità.
Nel caso qui in esame, infatti, la procura è stata conferita ad avvocato appartenente all’Avvocatura interna dell’ente.
Insomma, se è vero che la questione dello ius postulandi, quanto al conferimento della procura ad avvocati del libero foro, va risolta alla
luce dei principi innanzi enunziati dal giudice di legittimità, va verificata la tenuta di dette affermazioni con riguardo alla diversa ipotesi qui in rilievo in cui il conferimento dell’incarico è stato disposto in favore di avvocati appartenenti alla Avvocatura interna. Ebbene, osserva il Collegio, che, se è vero che detta ipotesi non è espressamente disciplinata dall’art. 43 del R.D. n. 1611 del 1933, il dato normativo di cui innanzi va riletto ed interpretato alla luce della complessiva evoluzione che, per quanto qui ci interessa, ha mutato la natura delle Università statali.
Nel segno della novella di cui all’art. 6 della l. n. 168 del 1989 le Università non sono più organi dello Stato, ma enti pubblici dotati di autonoma personalità giuridica, oltre che di autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, con ordinamento autonomo e proprio statuto e regolamento.
A detti enti si applica, quindi, l’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933 ovvero la disciplina relativa alle amministrazioni pubbliche non statali (irrilevante la mancata inclusione delle Università nell’elenco di cui al r.d. n. 779 del 1940, inclusione non contemplabile ratione temporis stante la natura di organi dello Stato).
Ne consegue che dopo la riforma di cui alla citata l. n. 168 del 1989, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato ex art. 1-11 del r.d. n. 1611 del 1933, ma quello autorizzato disciplinato, invece, dagli artt. 43-45 del r.d. n. 1611 del 1933, come modificati dalle novelle intervenute.
Ebbene, il più volte ricordato art. 43, nella versione frutto della novella ex art. 11, comma 1, l. n. 103 del 1979 che in particolare ha aggiunto il comma terzo, così dispone:
‘ L’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali di Amministrazioni pubbliche non statali ed Enti sovvenzionati,
sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che ne sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con Regio decreto. Le disposizioni e i provvedimenti anzidetti debbono essere promossi di concerto coi Ministri per la grazia e giustizia e per le finanze.
Qualora sia intervenuta l’autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni.
Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza.
Le disposizioni di cui ai precedenti commi sono estese agli enti regionali, previa deliberazione degli organi competenti’.
La disposizione, sicuramente applicabile al conferimento dell’incarico ad avvocati del libero foro, non chiarisce in alcun modo in che termini si ponga il patrocinio autorizzato nei casi in cui l’Università sia dotata di un apposito ufficio legale, al quale siano assegnati dipendenti iscritti nell’Albo Speciale assunti allo specifico scopo di assicurare le attività di consulenza giuridica e di difesa giudiziale nel datore di lavoro pubblico.
Nel contesto normativo innanzi richiamato non va affatto escluso che le Università – enti pubblici non statali dotati di personalità giuridica e, come si è già detto, di autonomia organizzativa, finanziaria, contabile, con propri statuti e regolamento – possano a monte, mediante atto organizzativo e regolamentare con cui l’ente istituisce e organizza il proprio ufficio legale, disciplinare le ipotesi nelle quali affidare l’incarico ai propri professionisti interni (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa in plurimi precedenti, sebbene con percorso motivazionale non
completamente sovrapponibile; fra tutti si veda Tar Sicilia Palermo sez. I n. 2056 del 2020 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Si tratta di una ipotesi, a ben vedere, che, valorizzando l’autonomia delle scelte discrezionali delle Università, si colloca nel solco e nel pieno rispetto della previsione del citato art. 43, perché fa discendere dall’atto organizzativo e regolamentare adottato ‘ in via generale’ al momento dell’istituzione dell’ufficio, quella scelta che, in caso di conferimento del potere ad avvocato del libero foro, va esplicitata con l’adozione della singola delibera, da sottoporre al successivo vaglio e controllo.
Questa è la fattispecie qui in rilievo, evidentemente diversa da quella del conferimento del mandato ad avvocati del libero foro, conferimento soggetto ai vincoli procedurali delineati dall’art. 43 cit. e rimarcati dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano ancora, tra le massimate, le già ricordate Cass. Sez. U. n. 6635 del 12/03/2025, rv. 673940 – 01, nonché Cass. Sez. U., n. 24876/2017, rv. 645661-01).
Insomma, qualora l’Università si doti di Avvocatura interna, è con l’atto organizzativo e regolamentare di istituzione che, a monte, vengono effettuate dai vertici dell’Università quelle scelte organizzative che, nel caso del conferimento del mandato all’avvocato del libero foro, devono necessariamente transitare per l’adozione dei provvedimenti e dei controlli di cui innanzi si è detto. Il principio enunciato non si pone in alcun modo in contrasto con quanto affermato da Cass. n. 12642/2021, perché in quel caso veniva in rilievo l’assunzione del patrocinio dell’Università da parte dell’Avvocatura dello Stato, che, secondo l’assunto del ricorrente, avrebbe richiesto, a seguito della presenza di un’avvocatura interna, un espresso conferimento del mandato dell’Università in favore dell’Avvocatura dello Stato.
Con quella pronuncia si è escluso che ‘ l’Università, seppure in condizione di avvalersi di dipendenti autorizzati all’esercizio della
professione legale, debba esplicitare le ragioni per le quali ritenga opportuno affidare la difesa all’Avvocatura, perché il potere di rappresentanza è conferito a quest’ultima dalla legge e la delibera motivata è richiesta solo qualora l’ente ritenga di dovere derogare al regime, per così dire, ordinario ‘ e tale principio è pienamente coerente con quanto sopra evidenziato in merito alla rilevanza dell’atto organizzativo generale di istituzione dell’ufficio legale, atto che non impedisce l’assunzione della difesa, nei casi in cui ciò sia ritenuto opportuno o necessario, da parte dell’Avvocatura statale (difesa che in tal caso sarà in ogni aspetto disciplinata dall’art. 43 del citato r.d.), ma rende non necessario far precedere il rilascio della procura dalle formalità prescritte dall’art. 43 nei casi in cui il potere venga conferito all’avvocatura interna, rispetto alla quale non si pongono, ovviamente, quelle esigenze anche di carattere finanziario sottese al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite.
Alla luce di dette considerazioni e ritenuto correttamente conferito lo ius postulandi, resta irrilevante l’avvenuta domiciliazione presso un avvocato del libero foro.
1.2. Con il primo motivo le collaboratrici esperte linguistiche, ex lettrici, deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 l. n. 167 del 2017, dell’art. 1, comma 305, l. n. 234 del 2021 e del decreto interministeriale n. 675 del 2019, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Sostengono che la decisione impugnata, affermando di applicare i principi contenuti nella pronunzia rescindente n. 20765 del 2018, ha riconosciuto il diritto delle ex lettrici a percepire le differenze retributive di cui all’art. 1 del d.l. 2 del 2004, salvo il riconoscimento del trattamento di miglior favore di cui al precedente giudicato, con congelamento di classi e scatti a far data dalla stipula del contratto di CEL.
Evidenziano di aver rappresentato nel corso del giudizio di riassunzione la rilevanza delle norme sopravvenute (art. 11 della l. n. 167 del 2017, decreto interministeriale del 16.8.2019 e art. 1, comma 305, della l. n. 234 del 2021) rispetto ai principi enunziati nella sentenza rescindente e sottolineano che la Corte di merito ne ha omesso ogni disamina. Rappresentano che è pendente una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano, ove la Commissione CE con atto di messa in mora del 23.9.2021 ha contestato al Governo italiano il mancato riconoscimento dei diritti maturati degli ex lettori, non avendo alcune Università italiane stipulato i contratti integrativi in violazione della previsione di cui all’art. 11 della l. n. 167 del 2017 e del sopraindicato decreto ministeriale. Insistono ancora che il legislatore italiano – a fronte della procedura di infrazione pendente – ha con l’art. 1, comma 305, l. n. 234 del 2022 modificato il citato art. 11, comma 2, della l. n. 167 del 2017 riconoscendo anche in assenza di stipula dei contratti integrativi di ateneo agli ex lettori il trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito, senza congelamento di classi e scatti, congelamento rivendicato dall’Università nel suo controricorso.
Sulla scorta delle novità normative innanzi ricordate – successive alla decisione n. 20765 del 2018 – le collaboratrici linguistiche sostengono che i principi di diritto affermati nella pronunzia rescindente non sarebbero vincolanti e che le disposizioni sopravvenute avrebbero riconosciuto il loro diritto al definitivo aggancio alla retribuzione dei ricercatori e, comunque, al riconoscimento degli incrementi contrattuali derivanti dall’anzianità anche in data successiva.
Al riguardo sollecitano (insistendo sulla richiesta anche in memoria) un rinvio della decisione in attesa della decisione della CGUE sulla procedura di infrazione promossa nei confronti dello Stato italiano.
1.3. Le questioni sottoposte al Collegio nel motivo sono in gran parte sovrapponibili a quelle già esaminate da questa S.C. nella pronunzia n. 11638/2024, alla cui motivazione integralmente si fa rinvio ex art. 118 disp. att. c.p.c. non essendo emerse ragioni per rimeditare i principi ivi affermati e sono tutte infondate.
1.4. Con la pronuncia citata si è rilevato che ‘ contrariamente a quanto opina la ricorrente, la legge n. 167/2017 non ha abrogato, infatti, il d.l. n. 2/2004 né la legge di interpretazione autentica ma ha solo previsto, come appresso meglio si dirà, uno stanziamento straordinario di fondi messo a disposizione delle Università per risolvere il contenzioso con gli ex lettori. L’art. 4 dello schema tipo di contratto integrativo allegato al decreto interministeriale richiamato non ha valore normativo e, apprezzato unitamente alla norma di legge (art. 11 legge n. 167/2017, cit.) che stanzia i relativi fondi, consente solo (nel rispetto del sistema delle fonti delineato dal d.lgs. n. 165/2001 al quale è riferibile la contrattazione che qui viene in rilievo seppure applicabile a un rapporto di diritto privato) di prevedere a livello di Ateneo un trattamento di miglior favore, fermo restando che, in difetto di tale trattamento più favorevole, il diritto soggettivo non può che essere quello previsto dalle fonti normative sulle quali questa Corte ha già ripetutamente pronunciato.
A riguardo, valgano le considerazioni già espresse da Cass., Sez. L, n. 20483/2023, secondo cui nel caso di specie la Corte di Giustizia ha sempre precisato che, in virtù del principio di non discriminazione, ai lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, deve essere assicurato il medesimo trattamento riservato, in situazioni analoghe, ai lavoratori di cittadinanza italiana, ed ha anche aggiunto che la Repubblica italiana non era stata obbligata «a identificare una categoria di lavoratori analoga agli ex lettori e ad equiparare completamente il trattamento riservato a questi ultimi a quello di cui beneficia la detta categoria»
(punto 37 della sentenza 18.6.2006 in causa C-119/04); ne deriva che l’unificazione, all’evolversi dei trattamenti della contrattazione collettiva, di quanto dovuto ai CEL e quanto dovuto ai CEL-ex lettori è del tutto legittima e conforme ai parametri imposti dalla Corte di Giustizia; la previsione di un assegno ad personam riassorbibile, al quale secondo l’ordinamento interno si fa ricorso in ogni ipotesi di modificazione oggettiva o soggettiva del rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, non viola gli obblighi UE né il principio della parità di trattamento; è poi da escludere che il trattamento retributivo che risulta dall’applicazione congiunta della contrattazione collettiva di comparto e del d.l. n. 2/2004, come interpretato dall’art. 26 della legge n. 240/2010, sia non proporzionato alla qualità e quantità del lavoro prestato’.
1 . 5. É evidente, allora, che costituisce presupposto erroneo quello da cui muovono le ex lettrici, collaboratrici linguistiche, nel motivo, ovvero l’equiparazione, o comunque l’assimilazione, della categoria dei collaboratori esperti linguistici al personale docente degli Atenei, assimilazione che va, invece, esclusa, oltre che in ragione della diversa natura dei rapporti (in un caso di diritto pubblico, nell’altro di diritto privato), in quanto sia l’art. 28 del d.P.R. n. 282/1980, sia l’art. 4 del d.l. n. 120/1995, nel prevedere, rispettivamente, l’assunzione di lettori di madre lingua straniera « in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti » e di CEL, per soddisfare « esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche », evidenziano una sostanziale diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti.
L’attività dei lettori e dei collaboratori linguistici, infatti, pur rientrando nella didattica in senso lato, si pone in funzione solo strumentale e di supporto, rispetto all’insegnamento universitario connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche. Detta diversità delle prestazioni a confronto trova conferma anche nelle
previsioni di cui al d.l. n. 2/2004 che alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito fa riferimento solo in via parametrica e prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello della categoria dei ricercatori confermati a tempo definito (200 ore).
1.6. Le brevi considerazioni innanzi svolte nel solco della già ricordata Cass. n. 11638/2024 portano ad escludere, conseguentemente, che si possa aderire all’istanza di rinvio della trattazione e in attesa degli sviluppi in ordine alla contrattazione integrativa di Ateneo, finalizzata anche a porre termine alla discriminazione nel trattamento economico degli ex lettori, denunciata con ‘parere motivato’ della Commissione Europea del 26.1.2023; il decidere non è infatti tale da poter incidere su trattamenti migliorativi che fossero in ipotesi riconosciuti successivamente in sede di contrattazione integrativa, mentre questa S.C. ritiene sia da escludere, per quanto sopra argomentato, l’esistenza di un trattamento di sfavore per i lettori o CEL, in esito all’integrale evoluzione normativa e giuridica di cui si è detto, tutto essendo stato alla fine riportato nell’alveo comune del diritto interno della contrattazione collettiva.
1.7. Del resto, proprio partendo da questi presupposti, la sentenza rescindente n. 20765/2018 aveva già evidenziato ( cfr . punto 15.8) che il quadro normativo delineato era rimasto immutato con l’entrata in vigore della l. n. 167 del 20.11.2017 e seguendo questa impostazione, il giudice del rinvio, richiamando il principio di diritto enunziato nella sentenza rescindente secondo cui -la conservazione del trattamento di miglior favore previsto dal d.l. n. 2 del 2004 opera nei limiti precisati dall’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010 sicché dalla data di sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico all’ex lettore va attribuita la differenza, a titolo di assegno personale, fra la retribuzione determinata ai sensi del d.l. n. 2 del 2004, eventualmente
maggiorata per effetto della clausola di salvaguardia, ed il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e decentrata, restando escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito ha deciso la controversia.
1.8. Nella sentenza qui impugnata è stato quindi escluso, in applicazione del sopraindicato principio di diritto, che la retribuzione degli ex lettori, divenuti collaboratori linguistici, possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito.
Tale valutazione è del tutto corretta, né il principio di diritto affermato nella pronunzia rescindente può essere superato facendo leva sulla legge 20.11.2017 n. 167 ( come si è detto già emanata al momento della pubblicazione della ordinanza rescindente) perché la legge in questione aveva previsto, all’art. 11, solo uno stanziamento straordinario di fondi, da utilizzare, previa adozione (con decreto ministeriale) di uno schema tipo di contratto, in sede di contrattazione collettiva integrativa di Ateneo, finalizzato al superamento del contenzioso in atto e a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle università statali italiane da parte degli ex lettori di lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell’articolo 28 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.
A tanto si aggiunge che anche l’art. 1, comma 305, della legge n. 234/2021, nell’apportare modifiche all’art. 11 legge n. 167/2017, cit., e i successivi decreti interministeriali richiamati non hanno parimenti incidenza diretta sul trattamento retributivo degli ex lettori divenuti CEL, rinviando anche i decreti de quibus ai contratti integrativi da stipularsi. Lo stesso art. 1 comma 3 lett. a) del decreto interministeriale n. 765, cit. prevede, d’altronde, che « la
somma sarà ripartita tra gli Atenei, in proporzione al numero di ex lettori in servizio al 31.12.2018, con riferimento alle università che entro il 31.10.2019 hanno adottato un contratto integrativo coerente con i contenuti dello schema-tipo allegato al presente decreto », il quale ultimo, a sua volta, stabilisce (art. 8, recante ‘condizione sospensiva’) che « l’efficacia del contratto integrativo è subordinata – e pertanto sospesa – sino alla sottoscrizione nelle sedi preposte di cui all’art. 2113, comma 4, del codice civile e all’acquisizione da parte dell’Ateneo, della rinuncia individuale da parte degli ex lettori interessati dall’applicazione del presente contratto collettivo integrativo agli atti e/o a ogni e qualsiasi azione giudiziaria » -già pendente o da instaurarsi -volta al riconoscimento « di un trattamento economico pari o superiore a quello previsto nel presente accordo, a fronte dell’applicazione delle condizioni ivi previste ».
Né, si evidenzia ancora, il quadro delineato risulta modificato dalle introduzioni, ad opera del d.l. n. 48 del 4 maggio del 2023, conv. con modif. con l. n. 85 del 2023, dei commi 2 e 3 nel tessuto normativo dell’art. 11 della l. n. 167 del 2017.
Conclusivamente, a differenza di quanto sostenuto nel motivo, la normativa innanzi ricordata non riconosce affatto alle ricorrenti in cassazione il diritto ad agganciare la loro progressione di carriera a quella dei ricercatori. Tutto resta rimesso ad atti successivi, nella fattispecie, non adottati.
1.9. Quello cui gli ex lettori hanno diritto è un assegno ad personam , non dissimile da quello garantito nell’impiego pubblico contrattualizzato in caso di mobilità o di modificazioni del rapporto di impiego e da quello che le parti collettive avevano previsto con l’art. 51 del c.c.n.l. 21.5.1996 per consentire ai collaboratori esperti linguistici assunti prima della stipula dello stesso contratto di conservare il trattamento più favorevole concordato a livello di Ateneo.
1.10. Il giudice di rinvio, in tale cornice normativa, si è uniformato al principio di diritto statuito in sede di legittimità, in quanto vincolato in ordine alle questioni già decise con la pronunzia rescindente, escludendo, con motivazione logica ed esauriente, che la disciplina invocata dalla ricorrente potesse immutare il quadro normativo e valere in termini di ius superveniens .
Non sono ravvisabili, dunque, i vizi denunciati nel motivo sotto l’aspetto della violazione di legge.
1.11. Nemmeno sussistono, quindi, sulla base della ricostruzione innanzi compiuta, i presupposti per un rinvio in attesa della definizione della procedura di infrazione.
Il secondo motivo denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
2.1. Le ricorrenti in cassazione evidenziano che l’efficacia vincolante della sentenza di legittimità nel giudizio di rinvio presuppone il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato enunziato il principio di diritto, venendo meno laddove la disciplina sia mutata.
2.2. Sulla scorta di tale premessa, richiamando la normativa già ricordata nel primo mezzo, le ricorrenti in cassazione, denunziano la violazione dell’art. 394 c.p.c. per non avere il giudice del rinvio tenuto conto dell’impatto della normativa sopravvenuta sul principio di diritto di cui alla lett. e) della sentenza rescindente.
La terza doglianza insiste anch’essa nella nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
3.1. Il motivo ruota intorno alla lamentata nullità della pronunzia impugnata per carenza di motivazione, con riguardo alla questione qui all’attenzione. Manca la motivazione – insistono le parti ricorrenti – perché nulla il giudice di appello ha osservato con riguardo alla procedura di contestazione della Commissione del
23.9.2021, né in relazione all’art. 1, comma 305, l. n. 234 del 2021 che ha modificato il più volte ricordato art. 11 della l. n. 167 del 2017, né sulla questione pregiudiziale sollevata in riassunzione (ovvero la mancata attuazione dell’art. 11 cit.).
L’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., è il tema posto nel quarto motivo.
4.1. Nel dettaglio, le ex lettrici, ricorrenti in cassazione, denunziano che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare gli effetti del decreto interministeriale del 16.8.2019 che espressamente ha riconosciuto ai lettori divenuti CEL il trattamento di ricercatore confermato a tempo definito con classi e scatti.
4.2. I motivi secondo, terzo e quarto possono essere esaminati congiuntamente, ruotando tutti intorno alla rilevanza, nella fattispecie qui all’attenzione, dello ius superveniens (e nello specifico delle norme indicate nel primo motivo), con conseguente superamento del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente n. 20765/2018 alla lett. e).
4.3. In disparte i profili di inammissibilità su cui pure si tornerà infra , i motivi sono infondati alla luce di quanto già esposto nei punti 1.5. et ss. Le considerazioni ivi svolte, infatti, consentono di escludere in radice che le novelle legislative integrino uno ius superveniens tale da comportare il superamento del principio di diritto affermato alla lettera e) della sentenza rescindente.
4.4. A tanto va aggiunto, per completezza e quanto al secondo motivo, che la Corte Territoriale ha vagliato ( cfr. pag. 12 della sentenza impugnata) l’impatto sulla fattispecie in esame dell’art. 11 della l. n. 167 del 2017 escludendolo completamente.
4.5. Del pari infondata è la terza doglianza, che ruota intorno alla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., che si configura nella sola ipotesi, senz’altro qui non configurabile, di carenza assoluta di motivazione, laddove, per converso, anche con richiamo alla
pronunzia rescindente, la sentenza impugnata ha motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto inapplicabile lo ius superveniens. 4.6. Il quarto motivo, infine, oltre che infondato per le ragioni indicate al punto 4.3., presenta anche profili di inammissibilità.
4.7. Si rileva, a riguardo, che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla legge n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (cfr., Cass., n. 2268 del 2022), non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’, quali quelle interpretative dedotte nel motivo in esame (gli effetti del decreto interministeriale del 16.8.2019 che espressamente avrebbe riconosciuto, nell’interpretazione offertane dalle parti ricorrenti in cassazione ai lettori divenuti CEL il trattamento di ricercatore confermato a tempo definito con classi e scatti). Tali aspetti risultano quindi irrilevanti, con conseguente inammissibilità della critica irritualmente formulata (Cass. n. 31332/2022).
Con il quinto motivo si denuncia, testualmente: « violazione art. 45 del TFUE e della sentenza della Corte di Giustizia del 26.6.2001 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.; questione pregiudiziale comunitaria »; la ricorrente, nell’ipotesi di applicazione del principio di diritto della pronuncia rescindente, chiede proporsi rinvio pregiudiziale e rileva che l’art. 26 comma 3 della legge n. 240/2010 si porrebbe in contrasto con l’art. 45 TFUE e con il principio espresso da Corte giust. 26.6.2001 (causa C-212/99), che escludono ogni forma di discriminazione sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri.
5.1. Il quinto motivo è anch’esso infondato.
5.2. Con l’art. 26, comma 3, della l. n. 240/2010 il legislatore ha chiarito la questione, obiettivamente incerta, del rapporto fra la previsione contenuta nel d.l. n. 2/2004 e la disciplina dettata dalla
contrattazione collettiva, a ciò autorizzata dal d.l. n. 120/1995, precisando che a far tempo dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica l’eventuale trattamento più favorevole viene conservato a titolo individuale nella misura corrispondente alla differenza fra quanto percepito a detta data come lettore di madrelingua straniera, ai sensi del richiamato d.l. n. 2/2004, e la retribuzione dovuta al collaboratore linguistico sulla base della contrattazione collettiva nazionale e decentrata (cfr. in tal senso sul punto, la stessa sentenza rescindente, ma anche Cass., Sez. L, n. 13886/2023).
La scelta del legislatore impedisce, quindi, che il passaggio dal lettorato alla collaborazione linguistica possa risolversi in una reformatio in peius del livello retributivo raggiunto, ribadendo la specificità propria del collaboratore linguistico, non equiparabile al docente, specificità che giustifica la differenziazione retributiva rispetto a quest’ultimo ed il conferimento del potere alle parti collettive di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della prestazione, a prescindere dal raffronto con il trattamento economico riservato al personale docente.
Le considerazioni svolte nel ricorso, invece, come già evidenziato, muovono dal presupposto del tutto erroneo dell’equiparazione o comunque dell’assimilazione della categoria dei collaboratori esperti linguistici al personale docente degli Atenei, equiparazione che, invece, va esclusa per tutte le ragioni già esposte al punto 1.5. da intendersi qui richiamate.
5.3. Non si ravvisano ragioni, pertanto, per disporre il rinvio della trattazione della presente causa in attesa degli sviluppi relativi alla contrattazione collettiva di Ateneo finalizzata anche a porre termine alla asserita discriminazione nel trattamento economico degli ex lettori denunziata con parere motivato della Commissione Europea del 26.1.2013.
Al riguardo basterà rimarcare, da un lato, che le questioni in discussione non sono infatti tali da poter incidere su trattamenti migliorativi in ipotesi riconosciuti successivamente in sede di contrattazione integrativa; dall’altro che si deve escludere, per quanto si è innanzi illustrato, l’esistenza di un trattamento di sfavore per i lettori o CEL in ragione della nazionalità, atteso che dall’evoluzione normativa e giuridica riportata in plurimi precedenti di questi Corte ai quali si rinvia (cfr. fra le tante Cass. n. 14108/2023 con richiami a precedenti conformi), emerge l’applicazione agli stessi dei medesimi principi e delle medesime regole dettate dal diritto interno e dalla contrattazione collettiva per i dipendenti, pubblici e privati, cittadini italiani.
5.4. La sentenza qui impugnata, facendo applicazione del principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente (principio che non può essere rimesso in discussione in questa sede) ha escluso che la retribuzione degli ex lettori, divenuti collaboratori linguistici, possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito.
Nè il principio di diritto, come già puntualmente osservato nell’esame del primo mezzo, può essere superato facendo leva sulla legge 20.11.2017 n. 167 (tra l’altro già emanata al momento della pubblicazione della pronuncia rescindente che espressamente la ricorda) per tutte le ragioni già espresse ai punti 1.8. e 1.9. da intendersi qui richiamati.
5.5. Quello cui gli ex lettori hanno diritto è un assegno ad personam, e questa Corte ha sul punto altresì precisato che non si ravvisa in tal caso alcuna violazione dei principi fissati dalla Corte di Giustizia perché, come hanno chiarito le Sezioni Unite con la sentenza n. 21972/2017, la garanzia della conservazione dei diritti maturati nella precedente fase del rapporto va limitata « a tutti quegli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità di servizio e
quindi, in sostanza, la classe di stipendio di riferimento, gli scatti biennali contrattualmente previsti, i parametri di calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) e con riferimento ai profili concernenti la contribuzione previdenziale ». La nozione di diritto quesito accolta dalle Sezioni Unite coincide con quella indicata dalla Corte di Lussemburgo, che con la sentenza 26.6.2001, in causa C -212/99, ha precisato che « se i lavoratori beneficiano in forza della legge n. 230 della ricostruzione della loro carriera per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali fin dalla data della loro prima assunzione, gli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, devono altresì beneficiare di una ricostruzione analoga con effetti a decorrere dalla data della loro prima assunzione » (punto 30).
5.6. Ecco che, garantita la ricostruzione della carriera nei termini che risultano dal combinato disposto del d.l. n. 2/2004 e della legge n. 240/2010, non è in alcun modo violato il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità perché, al contrario, il rispetto del divieto di reformatio in peius viene garantito con le stesse modalità attraverso le quali è assicurato, tanto nell’impiego pubblico quanto in quello privato, in ogni ipotesi in cui si discuta di modificazioni oggettive e soggettive del rapporto che implichino la conservazione del trattamento economico acquisito.
5.7. Come già affermato nella sentenza n. 11638/2024, più volte richiamata, non vi è nemmeno la necessità di disporre sul punto rinvio pregiudiziale, atteso che « il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un acte claire che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio
pregiudiziale » (Cass. n. 14828/2018 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Tale ipotesi ricorre nel caso di specie. La Corte di Giustizia nelle decisioni invocate dalla ricorrente, infatti, ha sempre precisato che in virtù del principio di non discriminazione ai lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, deve essere assicurato il medesimo trattamento riservato, in situazioni analoghe, ai lavoratori di cittadinanza italiana ed ha anche aggiunto che la Repubblica italiana non era obbligata « a identificare una categoria di lavoratori analoga agli ex lettori e a equiparare completamente il trattamento riservato a questi ultimi a quello di cui beneficia la detta categoria » (v. punto 37 della sentenza 18.6.2006 in causa C119/04).
5.8. A tanto va aggiunto, conclusivamente, che non esiste nel nostro ordinamento un principio generale in virtù del quale la retribuzione deve necessariamente essere commisurata all’anzianità. Non a caso gli scatti di anzianità, nel rapporto di impiego privato, hanno origine contrattuale e degli stessi, per costante orientamento espresso da questa Corte, non si tiene conto ai fini della determinazione giudiziale della retribuzione ex art. 36 Cost. ( cfr. fra le tante più recenti Cass. n. 944/2021). Nell’impiego pubblico contrattualizzato, all’esito della riformulazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, l’anzianità costituisce solo uno dei parametri utilizzabili nelle procedure selettive di progressione orizzontale, con la sola eccezione del comparto scuola che prevede un sistema di adeguamento automatico in ragione della durata del servizio.
Non integra, pertanto, alcuna discriminazione basata sulla nazionalità la circostanza che il legislatore e la contrattazione collettiva, alla quale rinvia la norma istitutiva dei CEL, non abbiano previsto un sistema di avanzamento automatico della retribuzione in ragione della anzianità di servizio.
L’articolazione secondo classi stipendiali e scatti di anzianità caratterizza il sistema retributivo del personale docente di diritto pubblico in servizio presso le Università, ma destituita di fondamento è la pretesa dei CEL di equiparazione agli stessi, non giustificata né dal diritto interno (per quanto sopra si è detto) né da quello Unionale, non avendo la Corte di Giustizia mai affermato che il legislatore italiano fosse tenuto ad equiparare gli ex lettori al personale docente delle Università.
5.9. Conclusivamente il mezzo va rigettato, senza che vi siano i presupposti per le ragioni innanzi esposte, per disporre il richiesto rinvio pregiudiziale.
La sesta doglianza lamenta la violazione da parte della sentenza impugnata dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
6.1. La sentenza impugnata – si argomenta nel mezzo – palesa un assoluto deficit della motivazione in riferimento alla CTU, limitandosi a riportare il quesito formulato e le conclusioni, senza tener conto delle osservazioni svolte all’elaborato peritale dal CTP. 6.2. La doglianza lamenta l’erroneità dell’elaborato per avere il CTU effettuato due conteggi, avendo considerato la retribuzione dei CEL con impegno orario sia a 385 che a 500 ore annue, laddove nel principio di diritto enunziato alla lett. d) della sentenza rescindente è ben chiarito che le ricorrenti dovessero conservare il trattamento economico di miglior favore che, nel caso di specie, si sostanzia nel riconoscimento giudiziale in virtù del giudicato caduto sulla sentenza del Tribunale di Pisa n. 1399 del 2002 del 100% del trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito in relazione all’impegno lavorativo di 385 ore annue. Vengono poi contestate ulteriori modalità di calcolo utilizzate dal CTU e ritenute erronee.
Il residuo censorio denunzia, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c.
7.1. Nel motivo le ricorrenti insistono, spendendo gli stessi argomenti già illustrati nel sesto motivo, che la decisione impugnata è erronea e viola il principio di diritto affermato alla lettera d) della sentenza rescindente, per non avere il CTU fatto salvo nel calcolo effettuato il trattamento di miglior favore delle odierne ricorrenti in cassazione.
7.2. Entrambi i motivi possono essere esaminati congiuntamente involgendo l’esame delle medesime questioni, ovvero la lamentata erroneità dei calcoli effettuati dal CTU.
7.3. L’esame delle due doglianze non supera il vaglio di ammissibilità, per violazione del principio di specificità, di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., perché nel corpo dei motivi non vengono riportati i passaggi salienti della consulenza tecnica, rispetto alla quale viene quindi operato un mero rinvio per relationem che ridonda di fatto nella sollecitazione rivolta alla Corte di un riesame di merito delle risultanze processuali. A tanto si aggiunge che l’esame della motivazione della sentenza impugnata sconfessa la doglianza contenuta nei due motivi.
7.4. Nella sentenza di appello qui impugnata, infatti, la Corte territoriale (attraverso le parole del CTU) dà conto che sono state effettuati due calcoli: il primo, che considera la retribuzione del CEL con impegno orario di 385 ore, corrispondenti al reale impegno lavorativo delle appellanti; il secondo, che considera la retribuzione del CEL con impegno orario annuale di 500 ore, evidenziando che tanto è stato fatto allo scopo di confrontare le due grandezze.
La sentenza di appello dà quindi anche conto, a differenza di quanto sembrano adombrare surrettiziamente i motivi, delle ragioni del doppio calcolo: determinare l’ammontare dell’assegno ad personam
attribuito alle odierne ricorrenti in cassazione al fine di verificarne poi l’assorbimento.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, nei rapporti tra la controricorrente Università e le parti ricorrenti, mentre nulla può essere riconosciuto in favore dell’INPS che ha solo depositato procura e non ha svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna le parti ricorrenti al pagamento in favore dell’Università di Pisa delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’8.5.2025.
La Presidente NOME COGNOME