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Retribuzione di risultato: quando è un diritto?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21769/2025, ha stabilito che la retribuzione di risultato per i dirigenti pubblici non è un diritto automatico. L’erogazione è subordinata a precise condizioni: la fissazione di obiettivi, la verifica del loro raggiungimento e la definizione dei criteri di riparto tramite contrattazione integrativa. Nel caso esaminato, alcuni dirigenti ministeriali si sono visti negare il conguaglio richiesto perché questi presupposti non erano stati soddisfatti, con i fondi destinati a tale scopo che erano stati utilizzati per altri fini. La Corte ha chiarito che, in caso di inerzia della P.A., il lavoratore non può chiedere il pagamento diretto ma può agire per il risarcimento del danno.

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Retribuzione di Risultato: Non un Automatismo ma un Diritto Condizionato

La retribuzione di risultato nel pubblico impiego rappresenta uno strumento fondamentale per valorizzare il merito e l’efficienza. Tuttavia, il suo riconoscimento non è automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha delineato con chiarezza i presupposti necessari affinché questo diritto possa sorgere, distinguendo nettamente la richiesta di pagamento diretto da quella di risarcimento del danno per inerzia della Pubblica Amministrazione. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Conguaglio

Un gruppo di dirigenti amministrativi di un Ministero aveva citato in giudizio la propria amministrazione per ottenere il pagamento di un conguaglio sulla retribuzione di risultato per gli anni dal 2003 al 2005. I dirigenti sostenevano che un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) prevedeva che tale componente retributiva non potesse essere inferiore al 20% della retribuzione di posizione.

Nel 2005, un accordo provvisorio aveva concesso loro tale 20% “salvo conguaglio”, da definire successivamente tramite la contrattazione integrativa. Tuttavia, un accordo definitivo del 2011 aveva stabilito i criteri solo per gli anni successivi (2006-2008), lasciando un vuoto normativo per il triennio in questione. I lavoratori, quindi, chiedevano che i criteri del 2011 venissero applicati retroattivamente per calcolare il saldo a loro dovuto.

Mentre il Tribunale di primo grado aveva accolto la loro richiesta, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte sulla retribuzione di risultato

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei dirigenti, confermando la sentenza d’appello. Ha stabilito un principio di diritto molto chiaro: il diritto a percepire la retribuzione di risultato non è un diritto soggettivo che sorge automaticamente dalla legge o dal CCNL, ma è condizionato al verificarsi di una serie di presupposti specifici e necessari. In assenza di tali presupposti, il lavoratore non può agire in giudizio per ottenerne il pagamento diretto.

Le Motivazioni: I Presupposti Indispensabili per il Diritto

La Corte ha spiegato che la retribuzione di risultato è intrinsecamente legata a una valutazione del merito e non può essere erogata “a pioggia”, ovvero in modo indiscriminato a tutti. Perché il diritto sorga, devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

1. Determinazione degli Obiettivi: L’amministrazione deve definire in modo tempestivo gli obiettivi annuali che i dirigenti devono raggiungere.
2. Verifica e Certificazione: Deve esserci una verifica positiva e una certificazione ufficiale dei risultati di gestione effettivamente conseguiti in coerenza con gli obiettivi assegnati.
3. Contrattazione Integrativa: È indispensabile un accordo collettivo integrativo che individui le modalità specifiche per determinare i valori retributivi da collegare ai risultati.
4. Attuazione della Disciplina: La disciplina definita dalla contrattazione integrativa deve essere concretamente attuata.

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che questi passaggi non erano mai stati completati per gli anni 2003-2005. Anzi, è emerso che un accordo integrativo del 2005 aveva utilizzato le risorse residue del fondo (destinato sia alla retribuzione di posizione che a quella di risultato) per aumentare la sola retribuzione di posizione dei dirigenti. Di fatto, non esistevano più le risorse economiche per finanziare la retribuzione di risultato per quel triennio, motivo per cui la contrattazione successiva non se ne era occupata.

Le Conclusioni: Diritto al Pagamento vs. Risarcimento del Danno

La pronuncia chiarisce un aspetto cruciale: cosa può fare il lavoratore se la Pubblica Amministrazione è inadempiente e non attiva le procedure per definire obiettivi e criteri? Secondo la Corte, il dipendente non può chiedere al giudice di sostituirsi all’amministrazione e condannarla al pagamento diretto. Può, invece, agire per il risarcimento del danno derivante dall’inerzia ingiustificata della P.A. In tal caso, però, spetterebbe al lavoratore l’onere di provare l’effettivo conseguimento degli obiettivi (anche se non formalmente assegnati) e il danno subito. Si tratta di un’azione legale diversa e con un onere probatorio più complesso rispetto alla semplice richiesta di pagamento.

Il diritto alla retribuzione di risultato per un dipendente pubblico è automatico?
No, non è un diritto automatico. La Corte di Cassazione ha stabilito che sorge solo se sono state realizzate quattro condizioni: la tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, la positiva verifica e certificazione dei risultati, l’individuazione delle modalità di calcolo tramite contrattazione collettiva integrativa e l’attuazione di tale disciplina.

Cosa succede se la Pubblica Amministrazione non definisce i criteri per l’erogazione della retribuzione di risultato?
Il lavoratore non può chiedere direttamente al giudice il pagamento della retribuzione. Può, tuttavia, domandare il risarcimento del danno patito a causa dell’inerzia prolungata e ingiustificata dell’amministrazione, ma dovrà provare di aver raggiunto gli obiettivi e di aver subito un danno.

Un accordo provvisorio che eroga una parte della retribuzione di risultato diventa definitivo se non seguono accordi successivi?
No. Secondo la Corte, un pagamento effettuato in via provvisoria e “salvo conguaglio” mantiene la sua natura provvisoria. Se i presupposti per il calcolo definitivo (come la contrattazione integrativa) non si realizzano, non sorge alcun diritto a un’ulteriore somma a titolo di conguaglio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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