Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 14179/2021 proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente –
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-resistente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Napoli n. 3583/2020 pubblicata il 3 dicembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 26 marzo 2015 presso il Tribunale di Napoli NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME premesso di essere dirigenti amministrativi di II fascia presso il Ministero della Giustizia, hanno chiesto la condanna della P.A. a corrispondere il conguaglio riguardante la retribuzione di risultato per gli anni 2003, 2004 e 2005, relativa agli anni 2002, 2003 e 2004.
Essi hanno evidenziato che:
il CCNL del 5 febbraio 2001 prevedeva che la retribuzione di risultato loro dovuta per anno non potesse essere inferiore al 20% del valore annuo della retribuzione di posizione percepita nei limiti delle risorse disponibili;
con accordo provvisorio del 16 febbraio 2005 la P.A. e le organizzazioni sindacali avevano concordato di corrispondere immediatamente ai dirigenti il menzionato 20% in via provvisoria e salvo conguaglio, da effettuarsi in sede di attribuzione definitiva, con la contrattazione integrativa;
l’accordo concluso in seguito in via definitiva il 19 aprile 2011 aveva individuato i criteri per il pagamento della retribuzione di risultato per gli anni dal 2006 al 2008, senza nulla prevedere per il triennio 2003-2005;
a loro avviso, il conguaglio spettante per il periodo dal 2003 al 2005 andava calcolato secondo i criteri dell’Accordo del 19 aprile 2011, che avrebbe reso liquido ed esigibile il credito.
Il Tribunale di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1890/2018, ha accolto il ricorso.
Il Ministero della Giustizia ha proposto appello che la Corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3583/2020, ha accolto.
I dipendenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi e hanno depositato memoria.
La P.A. ha depositato un atto di costituzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 342, comma 1, c.p.c. e 437 c.p.c. in quanto l’appello della P.A. sarebbe stato inammissibile, essendo fondato sulla riproposizione delle argomentazioni svolte in primo grado e non specifico.
La censura è inammissibile.
Infatti, la sentenza di appello è molto chiara nell’affermare che il gravame è fondato sull’affermazione dell’inapplicabilità dei criteri contenuti nell’accordo del 19 aprile 2011. Tali criteri sono, invero, posti a fondamento della domanda dei lavoratori e, quindi, l’appello, per essere ammissibile, doveva riguardare proprio questo aspetto.
Al contrario, è il motivo in esame eccessivamente generico, non avendo chiarito, nel dettaglio, quali aspetti della sentenza di primo grado avrebbero dovuto essere specificamente criticati e non lo sarebbero stati.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 1, lett. b), 35, 37 e 44, comma 3, CCNL personale dirigente area 1 del 5 aprile 2001.
Rappresentano che il loro diritto alla retribuzione di risultato troverebbe fondamento nell’art. 37 del CCNL richiamato. La contrattazione integrativa, in base agli artt. 4, comma 1, lett. b), e 44, comma 3, dello stesso CCNL, avrebbe dovuto individuare i criteri per la determinazione e l’erogazione annuale della retribuzione di risultato spettante ai dirigenti di second fascia.
Essi evidenziano che il motivo per il quale non sarebbero stati fissati all’epoca, per le annualità oggetto di causa, detti criteri, sarebbe stata la mancata verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti da ogni dirigente in relazione agli obiettivi assegnati.
La corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che ‘la semplice circostanza che le parti non abbiano inteso occuparsi della ulteriore determinazione della retribuzione di risultato…in epoca successiva all’accordo provvisorio risalente al 16 febbraio 2005 dimostra che quella che era stata in quella sede qualificata
come corresponsione provvisoria ha di fatto acquisito il carattere della definitività’.
Si tratterebbe di un assunto illegittimo che contraddirebbe la ratio della retribuzione di risultato, volta a premiare il merito e non suscettibile di corresponsione automatica, come si sarebbe ricavato dall’art. 44, comma 3, del richiamato CCNL.
In realtà, ad avviso dei ricorrenti, l’erogazione dell’indennità in via provvisoria nella misura del 20% non sarebbe assolutamente avvenuta sulla base degli obiettivi raggiunti.
Con il terzo motivo i ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 44, comma 3, CCNL 5 aprile 2001 e la violazione e falsa applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 ss. c.c., in relazione all’interpretazione degli accordi decentrati e dell’art. 2099 c.c.
Essi criticano l’affermazione della corte territoriale secondo la quale dalla semplice previsione di una retribuzione di risultato non sarebbe disceso un diritto soggettivo in capo al potenziale destinatario della stessa.
Sostengono che il giudice di appello avrebbe ben potuto utilizzare i criteri indicati nell’Accordo del 19 aprile 2011, trattandosi di un semplice accordo di amministrazione di secondo livello, nonostante esso facesse riferimento solo al triennio 2006/2008.
In particolare, l’accordo del 2011 ben avrebbe potuto assumere rilievo ai sensi dell’art. 1365 c.c., in applicazione del precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 7763 del 17 luglio 1995.
Lamentano, poi, l’erroneità delle considerazioni della Corte d’appello di Napoli, secondo cui la ‘corresponsione provvisoria e salvo conguaglio’ prevista dall’accordo del 16 febbraio 2005 sarebbe divenuta definitiva e tale intenzione delle parti sarebbe stata confermata dall’intesa del 20 luglio 2005.
Con il quarto motivo i ricorrenti rappresentano la violazione dell’art. 44, comma 1, CCNL 5 aprile 2001 e dell’art. 2099 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel contestare le conclusioni cui era giunta la consulenza
contabile eseguita. Si dolgono, poi, che il giudice di appello avrebbe accolto, a pag. 4 della sentenza, la richiesta di riduzione degli importi a loro spettanti avanzata dalla P.A.
Improprio sarebbe stato, altresì, il richiamo all’accordo del 20 luglio 2005, che non avrebbe potuto porsi in contrasto con la contrattazione collettiva nazionale, che imponeva di destinare almeno il 15% delle risorse di cui all’art. 42 per la retribuzione di risultato dei dirigenti di seconda fascia.
Con il quinto motivo i ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 44, comma 4, CCNL 5 aprile 2001, il quale prescrive che la componente di risultato non può essere inferiore al 20% del valore annuo della retribuzione di posizione percepita negli anni di riferimento 2003, 2004 e 2005.
Essi sostengono che avrebbero comunque diritto alla corresponsione, in via definitiva, della retribuzione di risultato, nei termini sopra indicati, questa volta calcolata, però, sulla base di una retribuzione di posizione rideterminata.
Le censure, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondate.
Sono inammissibili ove criticano l’accertamento di merito condotto dalla corte territoriale sulla indisponibilità del fondo, sul rispetto della percentuale prevista dal CCNL e sulla CTU.
Inoltre, lo sono quanto alla domanda di corresponsione, in via definitiva, della retribuzione di risultato, calcolata, però, sulla base di una retribuzione di posizione rideterminata, poiché i ricorrenti neppure hanno chiarito se vi sia in concreto un loro interesse a presentare una simile richiesta.
Parimenti inammissibile è la doglianza relativa all’interpretazione degli accordi decentrati, stante l’estrema genericità, la mancata trascrizione delle disposizioni più rilevanti e la circostanza che è contestato il significato dato a detti accordi dal giudice del merito, al quale è riservata l’individuazione della volontà delle parti ( cfr. fra le tante Cass. nn. 946 e 995 del 2021 nonché Cass. n. 28319 del 2017).
Identico esito ha la questione relativa al passaggio motivazionale riportato a pag. 4 della sentenza impugnata e menzionato nel ricorso, atteso che non costituisce ratio decidendi della decisione.
Le ulteriori considerazioni oggetto dell’atto d’impugnazione sono infondate.
L’art. 44 del CCNL per il quadriennio 1998-2001 ed il primo biennio economico 1998-1999 del personale dirigente dell’AREA 1 del 5 aprile 2001, intitolato Retribuzione di risultato dei dirigenti di seconda fascia 1, dispone che:
‘Al fine di sviluppare, all’interno delle amministrazioni, l’orientamento ai risultati anche attraverso la valorizzazione della quota della retribuzione accessoria ad essi legata, al finanziamento della retribuzione di risultato per tutti i dirigenti di seconda fascia sono destinate parte delle risorse complessive di cui all’art. 42, comunque in misura non inferiore al 15% del totale delle disponibilità.
Le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di risultato devono essere integralmente utilizzate nell’anno di riferimento. Ove ciò non sia possibile, le eventuali risorse non spese sono destinate al finanziamento della predetta retribuzione di risultato nell’anno successivo.
Le amministrazioni e gli enti definiscono i criteri per la determinazione e per l’erogazione annuale della retribuzione di risultato ai dirigenti di seconda fascia anche attraverso apposite previsioni nei contratti individuali di ciascun dirigente.
Nella definizione dei criteri di cui al comma 1, le amministrazioni e gli enti devono prevedere che la retribuzione di risultato possa essere erogata solo a seguito di preventiva, tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n.29/93, e della positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui all’art. 35.
L’importo annuo individuale della componente di risultato di cui al presente articolo non può in nessun caso essere inferiore al 20% del valore annuo della retribuzione di posizione in atto percepita nei limiti delle risorse disponibili, ivi comprese quelle derivanti dall’applicazione del principio dell’onnicomprensività’.
Il precedente art. 4, concernente la contrattazione collettiva integrativa a livello di Ministero (che qui rileva), invece, al comma 1, lett. B), sub b) e c), prescrive che:
‘La contrattazione integrativa si svolge sulle seguenti materie:
(…);
criteri generali per:
(…);
le modalità di determinazione dei valori retributivi collegati ai risultati e al raggiungimento degli obiettivi assegnati e alla realizzazione di specifici progetti;
l’attuazione della disciplina concernente la retribuzione direttamente collegata ai risultati e alla realizzazione di specifici progetti’.
Ciò posto, si osserva come, da quanto sopra, si evinca che:
la retribuzione di risultato può essere erogata solo a seguito di preventiva, tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993, e della positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui all’art. 35;
le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di risultato devono essere integralmente utilizzate nell’anno di riferimento; ove ciò non sia possibile, le eventuali risorse non spese sono destinate al finanziamento della predetta retribuzione di risultato nell’anno successivo;
la contrattazione integrativa si occupa delle modalità di determinazione dei valori retributivi collegati ai risultati e al raggiungimento degli obiettivi assegnati e dell’attuazione della disciplina concernente la retribuzione direttamente collegata ai risultati e alla realizzazione di specifici progetti.
Pertanto, deve ritenersi che i ricorrenti non abbiano diritto a quanto reclamato, se non altro perché, dagli atti di causa, non risulta quali fossero gli obiettivi per i quali hanno chiesto di essere pagati e, soprattutto, se li abbiano conseguiti e se la P.A. abbia certificato ciò.
Inoltre, deve evidenziarsi che, non essendo stata approvata la contrattazione integrativa necessaria per ripartire i fondi destinati a questa componente della retribuzione per il periodo dal 2003 al 2005, il diritto di credito vantato dai ricorrenti non può essere azionato in giudizio.
Indubbiamente, i ricorrenti hanno ragione nel sostenere che la retribuzione di risultato non possa essere corrisposta ‘a pioggia’.
Il pagamento, infatti, deve tenere conto degli obiettivi fissati e della loro concreta realizzazione.
In mancanza, nulla può essere dato e quel che è stato impropriamente versato deve essere reso alla P.A.
Quanto appena affermato chiarisce, quindi, come il versamento disposto, nella misura del 20% dell’ammontare della retribuzione di posizione individualmente riconosciuta a ogni dirigente, dall’accordo del 16 febbraio 2005 con riferimento alla retribuzione di risultato per gli anni 2003, 2004 e 2005, fosse ammissibile solo a condizione della sua provvisorietà, essendo suscettibile, in seguito, di essere integrato o reso indietro a seconda del conseguimento o meno del risultato prescritto.
D’altronde, la stessa corte territoriale ha individuato la ragione per la quale i criteri di riparto in questione non sono mai stati adottati definitivamente.
Infatti, ha accertato che l’accordo integrativo del 20 luglio 2005, pur occupandosi del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato, aveva utilizzato il residuo di detto fondo per aumentare la retribuzione di posizione dei dirigenti di seconda fascia, terza e quarta fascia, con la precisazione che ‘ogni ulteriore somma residua annualmente disponibile’ sarebbe stata destinata ‘ad incrementare le retribuzioni di posizione di seconda, terza e quarta fascia’. Nel fare ciò, ha pure precisato che le posizioni dirigenziali beneficiarie dell’aumento della retribuzione di posizione erano ‘oltretutto, occupate anche dagli odierni appellati’.
Da ciò si ricava che il successivo contratto integrativo del 19 aprile 2011 non poteva, ragionevolmente, riferirsi, nell’indicare i criteri da seguire per attribuire la retribuzione di risultato, alle annualità dal 2003 al 2005.
Innanzitutto, esso riguardava espressamente il periodo dal 2006 al 2008.
Inoltre, le parti contraenti ben erano a conoscenza che non vi erano più risorse impiegabili per la retribuzione di risultato del 2003, del 2004 e del 2005.
Quanto appena affermato rende priva di consistenza la menzione, nell’atto di impugnazione, del precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 7763 del 17 luglio 1995 e dell’art. 2099 c.c., che non possono venire in rilievo in presenza delle circostanze sopra riportate.
In realtà, i ricorrenti non potevano agire in sede giudiziaria per chiedere il pagamento della voce retributiva in questione.
Eventualmente, avrebbero potuto chiedere il risarcimento del danno patito per il ritardo della P .A. nel valutare il raggiungimento degli obiettivi e nel determinare i criteri di riparto dell’apposito fondo, lamentando l’illegittimità dell’accordo integrativo del 20 luglio 2005. In questo caso, però, avrebbero dovuto provare l’effettivo conseguimento dei detti obiettivi e, comunque, il giudice adito avrebbe dovuto verificare se le somme reclamate non fossero state ottenute dai lavoratori per un’altra causale.
Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘Il diritto a ricevere la retribuzione di risultato di cui all’art. 44 del CCNL per il quadriennio 1998-2001 ed il primo biennio economico 1998-1999 del personale dirigente dell’AREA 1 del 5 aprile 2001, sorge solo se vi sono state:
la tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993;
la positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui all’art. 35;
l’individuazione, in sede di contrattazione collettiva integrativa, delle modalità di determinazione dei valori retributivi collegati ai risultati e al raggiungimento degli obiettivi assegnati e alla realizzazione di specifici progetti;
l’attuazione, sempre in sede di contrattazione collettiva integrativa, della disciplina concernente la retribuzione direttamente collegata ai risultati e alla realizzazione di specifici progetti.
Qualora i presupposti sopra menzionati non si siano realizzati in conseguenza dell’inerzia prolungata e ingiustificata della P.A., il lavoratore non potrà chiedere direttamente il pagamento della retribuzione in questione, ma potrà domandare il risarcimento del danno eventualmente patito, l’ammontare del quale potrà essere determinato dal giudice anche in via equitativa, tenendo conto degli importi comunque complessivamente già ottenuti dall’interessato’.
Nessuna statuizione deve esservi in ordine alle spese, non avendo la P.A. svolto difese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4