Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11726 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11726 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9776-2022 proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE TOSCANA NORD OVEST, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente principale e controricorrente incidentale contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME
Oggetto
Dirigenza non medica del S.S.N.
Fondo per la retribuzione di risultato
Giudizio di rinvio
R.G.N.9776/2022
COGNOME
Rep.
Ud.19/02/2025
CC
NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti e ricorrenti incidentali -nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 36/2022 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 24/02/2022 R.G.N. 144/2019 più 1; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza n. 3134/2019, depositata il 1° febbraio 2019, questa Corte ha accolto i ricorsi, poi riuniti, proposti dagli attuali ricorrenti incidentali, tutti appartenenti alla dirigenza sanitaria non medica del Servizio Sanitario Nazionale, i quali avevano convenuto in giudizio l ‘Azienda USL 1 di Massa e Carrara chiedendo la rideterminazione del Fondo per la retribuzione di risultato disciplinato dall’art. 61 del C.C.N.L. 5 dicembre 1996 e la conseguente condanna dell’Azienda al pagamento dei maggiori importi agli stessi spettanti a titolo di retribuzione di risultato per il periodo 2000/2007, rispetto al quale non era maturata la prescrizione.
L a Corte d’appello di Genova, confermando la sentenza di prime cure, aveva ritenuto infondate le domande e rigettato gli appelli, perché correttamente la AUSL aveva quantificato il fondo tenendo conto delle quote storiche, da intendere come compensi spettanti non già come somme erogate, in conformità a quanto indicato nel verbale di interpretazione autentica del 12
luglio 2001 intervenuto fra l’ARAN e le organizzazioni sindacali, firmatarie del C.C.N.L. Altrettanto correttamente, ad avviso del giudice del merito, l’azienda aveva tenuto conto degli abbattimenti disposti dagli accordi regionali, in base ai quali i fondi erano stati determinati prima del passaggio al nuovo sistema premiale, non rilevando che la valorizzazione di detti accordi potesse determinare una differenza di trattamento per il personale dipendente da aziende diverse.
3. La pronuncia rescindente, per quel che in questa sede rileva, nell’accogliere i ricorsi dei dirigenti sanitari non medici ha richiamato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 30222 del 15 dicembre 2017, secondo cui la quota storica da destinare al personale dirigente non medico non deve essere quella risultante dalla virtuale parificazione al personale medico, bensì deve essere determinata tenendo conto dei tetti fissati dagli artt. 61 e 62 del d.P.R. n. 384 del 1990, ossia dei limiti posti al cosiddetto plus orario delle singole categorie.
H a poi aggiunto, sempre valorizzando l’arresto delle Sezioni Unite, che solo fino al 30 giugno 1997 era stato consentito alle Aziende di applicare il precedente regime, che comportava anche la piena efficacia degli accordi decentrati raggiunti a livello regionale, mentre a partire da detta data, poiché la competenza in tema di determinazione del trattamento economico dei dipendenti pubblici è stata attribuita alla contrattazione collettiva nazionale, prevalente sulla potestà legislativa delle Regioni, di detti accordi non si poteva tenere conto, con la conseguenza che il fondo doveva essere determinato alla luce dei criteri indicati dal C.C.N.L., come interpretato dalle parti collettive e dalle Sezioni Unite, senza operare abbattimenti derivanti da intese regionali o locali.
4. Con sentenza n. 36/2022, depositata il 24 febbraio 2022, la Corte d’appello di Genova ha definito il giudizio di rinvio, tempestivamente riassunto, con separati ricorsi poi riuniti, da NOME COGNOME e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, e, richiamati i principi di diritto enunciati dalla pronuncia cassatoria, ha condannato la Asl al pagamento degli importi indicati in dispositivo per ciascun appellante, tratti dalla consulenza tecnica disposta, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria.
L a Corte territoriale ha evidenziato che all’ausiliare era stato chiesto di quantificare la quota spettante al personale dirigente non medico sulla base dei tetti fissati dagli artt. 61 e 62 del d.P.R. 384 del 1990, senza tener conto degli accordi regionali, e di determinare le eventuali spettanze di ciascun dirigente «tenendo conto delle date di assunzione e cessazione dal servizio di ciascuno di essi, detratto il percepito nello stesso titolo». H a precisato che l’unica contestazione mossa all’elaborato pe ritale era quella inerente alla valorizzazione, ai fini del calcolo del valore dell’ora di plus orario, della deliberazione n. 1211 del 27 giugno 1997 che, secondo quanto affermato dagli originari ricorrenti, non provava che l’azienda avesse tenuto conto del numero dei dirigenti effettivamente in servizio, numero che rilevava ai fini della determinazione delle quote massime di plus orario. Ha ritenuto che il criterio di calcolo, che valorizzava la citata delibera, era stato concordato con entrambi i consulenti di parte e da ciò derivava la tardività della contestazione, tra l’altro neppure fondata , poiché non emergeva che l’azienda non avesse tenuto conto, nel quantificare il valore unitario, del numero dei dirigenti assunti. I nfine il giudice d’appello ha evidenziato che successivamente alla pubblicazione della pronuncia rescindente la Corte di
cassazione, con sentenza n. 12426/2021, aveva affermato di non condividere il principio di diritto enunciato da Cass. n. 3134/2019 ed era pervenuta a diverse conclusioni quanto all’incidenza degli accordi regionali . Ha escluso, in ragione dei limiti e dell’oggetto del giudizio di rinvio, che di detta decisione si potesse tenere conto quanto alla pronuncia da rendere sulla fondatezza delle originarie domande e l’ha valorizzata solo per giustificare la compensazione integrale delle spese di tutti i gradi del giudizio.
P er la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda Unità Sanitaria Locale Toscana Nord Ovest, succeduta per fusione alla cessata Azienda USL n. 1 di Massa Carrara, sulla base di due motivi, illustrati da memoria, ai quali hanno opposto difese i litisconsorti indicati in epigrafe, i quali hanno notificato controricorso e proposto ricorso incidentale affidato a tre censure. A l ricorso incidentale l’Azienda ha replicato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. C on il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. nonché dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001, il ricorso principale denuncia testualmente «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 384 c.p.c. in relazione agli artt. 2, 45, 49, 63 d.lgs. 165/2001 tenuto conto anche di quanto previsto dall’art. 64 d.lgs. n. 165/2001…. Violazione e falsa applicazione dell’art. 61 del C.C.N.L. Sanità del 5 dicembre 1996, come interpretato nell’accordo di interpretazione autentica concluso tra l’ARAN e le OO.SS. in data 12 luglio 2001, in relazione agli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ. con conseguente violazione e falsa applicazione degli
artt. 57 e ss. del d.P.R. n. 384 del 1990 nonché dell’art. 67 del d.P.R. n. 270 del 1987 e violazione dell’art. 40, comma 3, e 49, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001». L ‘azienda addebita alla Corte territoriale di avere omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio e di avere erroneamente affermato che, pur a fronte della sopravvenienza di Cass. n. 12426 del 2021, pronunciata sempre nei confronti della AUSL n. 1 di Massa e Carrara, non erano state formulate domande, istanze o eccezioni. Al contrario, il giudice del rinvio era stato espressamente sollecitato a rimeditare il principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente, alla luce della successiva pronuncia della Corte di legittimità.
Deduce, poi, che in tema di impiego pubblico contrattualizzato alla Corte di cassazione è affidata la funzione di assicurare l’unitarietà dell’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, validi erga omnes , e, trascritte in ricorso le disposizioni del decreto legislativo richiamato in rubrica, sostiene, in sintesi, che alla pronuncia resa dal giudice della nomofilachia va riconosciuta la medesima efficacia dell ‘ interpretazione autentica disciplinata dall’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001, con la conseguenza che ai fini dell’individuazione dei limiti del giudizio di rinvio, la pronuncia sopravvenuta, che proietta i propri effetti oltre il singolo processo, deve essere equiparata alla sopravvenienza normativa o alla dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Richiama la ricostruzione del quadro legislativo e contrattuale contenuta nella motivazione della citata Cass. n. 12426 del 2021 e sostiene che sulla base dei principi enunciati da quest’ultima decisione, da ritenere prevalenti su quelli della sentenza rescindente, le domande dovevano essere rigettate, perché correttamente la Asl aveva determinato il fondo sulla base delle quote storiche risultanti dall’applicazione degli accordi regionali .
1.2. Con la seconda critica del ricorso principale è denunciata la violazione dell’art. 22, comma 36 della legge n. 724/1994 e dell’art. 16, comma 6, della legge 30.12.1991 n. 412 e la ricorrente addebita alla sentenza gravata di avere violato il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria e interessi, che si applica agli emolumenti di natura retributiva spettanti ai dipendenti pubblici.
2.1. Il ricorso incidentale denuncia, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. e addebita alla sentenza gravata di avere motivato la pronuncia di compensazione valorizzando il contrasto fra le pronunce della Corte di Cassazione che, ad avviso dei ricorrenti, non poteva essere apprezzato perché la norma fa esclusivo riferimento alla novità della questione trattata ed al mutamento della giurisprudenza, al quale non è equiparabile il contrasto. 2.2. La seconda critica del ricorso incidentale, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere omesso la Corte territoriale di pronunciare su tutta la domanda proposta dagli originari ricorrenti i quali non si erano limitati a chiedere la condanna dell’azienda al pagamento delle differenze maturate sulla retribuzione di risultato, ma avevano sollecitato anche una «sentenza accertativa e dichiarativa sul loro diritto a vedersi ‘calcolato’ questo ‘premio di risultato’ secondo le precise regole indicate in ricorso». Sostengono i ricorrenti incidentali che la domanda era stata formulata nei termini indicati negli atti introduttivi perché il loro interesse era quello di ottenere, oltre alla condanna al pagamento delle differenze già maturate, anche un accertamento che «avrebbe costituito per loro un diritto stipite valevole… per tutti gli anni successivi a quelli della prima loro richiesta».
2.3. Con il terzo motivo il ricorso incidentale deduce, ex art. 360 nn. 4 e 5 cod. proc. civ., violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e addebita al giudice del rinvio di avere erroneamente disatteso la contestazione mossa all’elaborato peritale che andava, invece, accolta, in quanto lo stesso consulente tecnico aveva riconosciuto che ai fini della determinazione del fondo occorreva quantificare il numero dei dirigenti in servizio e, pertanto, rilevante era il documento che provava l’erroneità dell’elenco fornito dalla Asl .
Il primo motivo del ricorso principale presenta profili di inammissibilità ed è per il resto infondato.
Inammissibile è la denuncia del vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio perché il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis , è ravvisabile solo qualora il giudice, nel pronunciare sulla domanda o sull’eccezione, ometta di esaminare un fatto storico decisivo ai fini di causa, sicché non è ravvisabile qualora l’attività omessa si riferisca non al fatto, ma alla domanda o all’ecc ezione. I n tal caso si ravvisa, eventualmente, un’omessa pronuncia, che deve essere denunciata nei modi e nelle forme indicate da Cass. S.U. n. 17931/2013 secondo cui se, da un lato, non è necessario che il motivo richiami il n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., dall’altro è comunque requisito imprescindibile di ammissibilità che il ricorrente faccia univoco riferimento alla nullità della sentenza impugnata, derivata dalla violazione del principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
Si deve, poi, aggiungere che il giudice del rinvio, pur affermando che non erano state formulate domande o eccezioni, ha comunque valutato l’incidenza del diverso orientamento
espresso da questa Corte successivamente alla sentenza rescindente e, da un lato, ha escluso che potesse essere rimesso in discussione il principio di diritto enunciato dalla pronuncia cassatoria, dall’altro ha valorizzato il mutamento di giurisprudenza pe r giustificare l’integrale compensazione delle spese dell’intero processo .
3.2. Sul punto la sentenza impugnata non merita censura perché la stessa si è attenuta all’orientamento , consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui dall’irretrattabilità del principio di diritto enunciato nel medesimo processo, affermata dagli artt. 384, comma 2, e 393 cod. proc. civ., discende che l’efficacia vincolante per il giudice del rinvio, estesa anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno, viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens, tanto che la stessa Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 35974/2023 che, fra le tante decisioni richiamate al punto 7.1., rinvia anche a Cass. n. 27155/2017, la quale specifica che la Corte di legittimità nel medesimo caso deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, e a Cass. n. 1163/2017, secondo cui non rileva neppure l’intervento delle Sezioni Unite, a composizione di un contrasto di giurisprudenza).
3.3. Si tratta di principi che non subiscono deroghe allorquando vengano in rilievo pronunce in tema di impiego pubblico contrattualizzato e che non possono essere superati facendo leva sulla riserva alla contrattazione collettiva dell’attribuzione di trattamenti economici, sul principio di parità di trattamento, sul procedimento disciplinato dall’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001 che, tra l’altro, non risulta essere stato attivato nella fattispecie . N essuna delle disposizioni citate dall’Azienda ricorrente fa eccezione a quelle processuali dettate dagli artt. 384 e 393 cod. proc. civ., sulle quali si fonda l’irretrattabilità del principio di diritto enunciato dalla sentenza cassatoria, irretrattabilità che opera nel processo al quale la pronuncia si riferisce e non si estende ad altre controversie aventi il medesimo oggetto, al pari del meccanismo descritto dall’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001, secondo cui la pronuncia in tema di interpretazione del contratto collettivo resa dalla Corte di Cassazione è vincolante, e conserva i suoi effetti anche in caso di estinzione, solo limitatamente al procedimento al quale la stessa si riferisce, ma non impedisce un’interpretazione difforme da parte del giudice de l merito ( che dovrà in tal caso attivare il procedimento disciplinato dal citato art. 64) e della stessa Corte di Cassazione, alla quale non è preclusa la rimeditazione dell’interpretazione data ( art. 64, commi 4 e 7).
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto di non potersi discostare dal principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente, anche se difforme dall’orientamento, opposto, poi consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità (alle pronunce nn. 9319 e 12426 del 2021 è stata poi data continuità da Cass. n. 18379/2023 e da Cass. n. 1238/2024).
4. È, invece, fondato il secondo motivo del ricorso principale perché ha errato la Corte territoriale nel riconoscere sulle somme liquidate interessi legali e rivalutazione monetaria.
L ‘art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 ha esteso l’ambito di applicazione dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 ( secondo cui L’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito) agli « emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza » e la disposizione è stata dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi, con sentenza n. 459 del 2 novembre 2000, solo limitatamente alle parole « e privati », sul rilievo che le ragioni di contenimento della spesa pubblica, nelle quali è stata rinvenuta la giustificazione dell’intervento normativo, non sono evidentemente riferibili ai crediti di lavoro derivanti da rapporti di diritto privato.
Il divieto di cumulo, pertanto, è operante ogniqualvolta sia pubblico il datore di lavoro, anche a prescindere dalla natura del rapporto contrattuale instaurato (Cass. n. 4705/2011; Cass. n. 535/2013; Cass. n. 20765/2018; Cass. n. 18897/2019; Cass. n. 28498/2019 che hanno ritenuto applicabile il divieto anche ai rapporti di diritto privato delle amministrazioni pubbliche sottratti all’applicazione del d.lgs. n. 165/2001), sicché non c’è dubbio che il divieto operi per i debiti retributivi delle ASL, tanto più che queste ultime, seppure dotate di autonomia imprenditoriale e disciplinate da atto aziendale di diritto privato ( art. 3 del d.lgs. n. 502/1992 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo), sono espressamente incluse fra le pubbliche
amministrazioni alle quali si applica il d.lgs. n. 165/2001 ( art.
1, comma 2).
P assando all’esame del ricorso incidentale va detto che il primo motivo muove dal presupposto erroneo che sia applicabile alla fattispecie l’art. 92 cod. proc. civ. nel testo attualmente vigente mentre si discute di giudizio instaurato in primo grado antecedentemente alle modifiche apportate dalla legge n. 69/2009.
In ogni caso per escludere la fondatezza dello stesso è sufficiente richiamare la motivazione della sentenza n. 77 del 2018 con la quale la Corte Costituzionale, nel dichiarare la parziale incostituzionalità del riformulato art. 92, ha precisato che la ratio che sta alla base della previsione secondo cui la compensazione può essere disposta in caso di mutamento della giurisprudenza « può rinvenirsi anche in altre analoghe fattispecie di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti: tra le più evidenti, una norma di interpretazione autentica o più in generale uno ius superveniens, soprattutto se nella forma di norma con efficacia retroattiva; o una pronuncia di questa Corte, in particolare se di illegittimità costituzionale; o una decisione di una Corte europea; o una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea; o altre analoghe sopravvenienze. Le quali tutte, ove concernenti una “questione dirimente” al fine della decisione della controversia, sono connotate da pari “gravità” ed “eccezionalità”, ma non sono iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate: necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia. ».
La motivazione addotta dal giudice del merito a fondamento della disposta compensazione non è né illogica né in contrasto
con la disciplina normativa ( che all’epoca dell’instaurazione del giudizio consentiva la compensazione in presenza di giusti motivi), avendo valorizzato oltre alla controvertibilità della questione (le modalità di costituzione del fondo per la retribuzione di risultato hanno dato luogo, pur dopo l’interpretazione autentica ad opera delle parti collettive, all’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, tra l’altro non risolutivo di tutti gli aspetti problematici), i diversi orientamenti espressi sul tema dalla giurisprudenza di legittimità.
Il sindacato di questa Corte non può spingersi oltre giacché, una volta rispettato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa ed escluso che la compensazione sia stata disposta oltre i limiti fissati dal legislatore, la scelta resta riservata al giudice del merito.
Parimenti infondato è il secondo motivo del ricorso incidentale.
Nessuna omessa pronuncia è addebitabile alla Corte territoriale, che ha provveduto sulla domanda proposta dagli originari ricorrenti di condanna al pagamento delle differenze retributive maturate sulla retribuzione di risultato e nell’accogliere la stessa ha accertato quanto richiesto dalla parte, ossia l’errore commesso al momento della costituzione del fondo.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, hanno osservato che allorquando, come nella fattispecie, il dipendente pubblico agisca in giudizio per rivendicare differenze retributive che discendono dalla non corretta costituzione dei fondi dai quali la Pubblica Amministrazione deve attingere le risorse, la domanda «se ha come presupposto la verifica incidentale dell’obbligo di ridefinizione dei fondi contrattuali aziendali del personale non dirigente, accertamento incidentale
consentito al giudice ordinario, si sostanzia tuttavia nella richiesta di pagamento di differenze retributive nella forma della distribuzione dei residui dei fondi richiamati in causa» ( Cass. S.U. n. 33365/2022).
N on si è, dunque, in presenza di due distinte domande, l’una di accertamento sulle modalità di costituzione del fondo e l’altra di condanna al pagamento, bensì di un’unica domanda volta a far valere il diritto soggettivo a percepire la retribuzione in misura maggiore rispetto a quanto liquidato dal datore, domanda rispetto alla quale l’accertamento richiesto altro non è se non uno degli elementi costitutivi del diritto patrimoniale fatto valere.
Né si può sostenere, come fanno i ricorrenti incidentali nello sviluppo argomentativo del motivo, che l’accertamento autonomo era stato richiesto perché doveva costituire ‘un diritto stipite valevole per tutti gli anni successivi a quelli di questa loro pri ma richiesta’ . In disparte ogni considerazione sulla ammissibilità di siffatta domanda, risulta evidente dalla sola lettura delle conclusioni dei ricorsi e degli atti di appello che nessuna pronuncia era stata sollecitata per il periodo successivo a quello oggetto di causa, sicché anche sotto tale profilo la censura risulta essere manifestamente infondata.
Il terzo motivo è inammissibile per plurime ragioni concorrenti.
I ricorrenti incidentali pretendono di ricondurre al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. l’omesso esame , non di un fatto storico decisivo, bensì di un documento che, tra l’altro , la Corte d’appello ha valutato ritenendo che dallo stesso non discendesse l’inattendibilità dei conteggi elaborati dal CTU perché dalla delibera del 1997, utilizzata per la quantificazione del plus
orario, non si poteva desumere che l’Azienda non avesse tenuto conto del numero effettivo dei dirigenti in servizio.
I l motivo, nel denunciare la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., nella sostanza prospetta un diverso apprezzamento delle risultanze processuali e sollecita un giudizio di merito, non consentito in sede di legittimità. È consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui una censura relativa all’errata applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può essere formulata per lamentare un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice d’appello, perché la violazione può essere ravvisata solo qualora il ricorrente alleghi che siano state poste a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o che il giudice abbia disatteso delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. fra le più recenti Cass. n. 18092/2020; Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 23940/2017, Cass. n. 27000/2016). È stato anche affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che la censura di violazione delle norme processuali predette non può legittimare una “trasformazione” in error in procedendo del precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica”, vizio non più denunciabile in sede di legittimità (Cass. n. 23940/2017) e ciò perché, all’esito delle modifiche apportate al codice di rito dal d.l. n. 83/2012, «il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante» ( Cass. n. 11892/2016 e negli stessi termini Cass. n. 23153/2018).
7.1. Alle considerazioni che precedono si deve aggiungere che la sentenza impugnata è fondata su una duplice ratio decidendi perché il giudice d’appello ha anche aggiunto che la contestazione, sollevata dal difensore degli appellanti solo in sede di discussione finale, era stata proposta sebbene nel corso delle operazioni peritali i consulenti tecnici di parte avessero concordato con il CTU sulla metodologia di calcolo (che valorizzava, appunto, il valore unitario del plus orario stabilito nella delibera del 1997), e l’ha, perciò, ritenuta inammissibile perché tardiva. Questa autonoma ratio decidendi , da sola sufficiente a sorreggere il decisum , non è stata oggetto di alcuna specifica censura, sicché trova applicazione l’orientamento secondo cui, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata ( cfr. fra le più recenti Cass. n. 15399/2018).
In via conclusiva merita accoglimento il solo secondo motivo del ricorso principale e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ. con la condanna della ASL a corrispondere sulle somme liquidate a titolo di differenze sulla retribuzione di risultato la maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria.
La pronuncia nel merito, seppure limitata al solo capo inerente agli accessori del credito, comporta che questa Corte è tenuta a statuire anche sul regolamento delle spese di lite dell’intero processo. La complessità della questione giuridica e la presenza di orientamenti difformi espressi dalla giurisprudenza non solo di merito ma anche di legittimità giustificano una pronuncia di integrale compensazione.
Non ricorrono, quanto alla ricorrente principale, le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, per il raddoppio del contributo unificato, delle quali si deve, invece, dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, in relazione al ricorso incidentale, integralmente respinto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo motivo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e, decidendo nel merito sul capo cassato, condanna la Azienda Unità Sanitaria Locale Toscana Nord Ovest a corrispondere sugli importi liquidati in favore di ciascun dirigente la maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria.
Compensa integralmente fra le parti le spese dell’intero processo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione