Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1222 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1222 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale di Forlì, che aveva accolto il ricorso dei dirigenti non medici del SSN indicati in epigrafe (dirigenti psicologi), condannando l’Azienda USL al pagamento delle differenze rivendicate sulla retribuzione di risultato, conseguenti alla quantificazione del relativo fondo, asseritamente errata.
La Corte territoriale ha rilevato che pur avendo la stessa Azienda Sanitaria Locale contestato nell’ an e nel quantum il diritto azionato, aveva prodotto un documento dal quale si desumeva che tutti i dirigenti psicologi avevano percepito dal 2006 al 2010 la retribuzione di risultato.
Il giudice di appello, richiamato la sentenza di questa Corte n. 18463/2012 che aveva confermato un precedente della medesima Corte territoriale pronunciata in fattispecie analoga, ha ritenuto che la quantificazione del fondo per la retribuzione di risultato non potesse tenere conto della contrattazione decentrata regionale e dovesse essere effettuata solo valorizzando le quote storiche spettanti, ossia l’ammontare del fondo cosiddetto virtuale.
A fronte del riconoscimento della retribuzione di risultato nella misura di cui alla tabella prodotta dalla stessa Azienda USL nel giudizio di primo grado, escludeva la sussistenza di ragioni per un’erogazione differenziata della misura del premio.
Avverso tale sentenza l’Azienda USL di Bologna ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
NOME COGNOME oltre a resistere con controricorso, ha proposto ricorso incidentale illustrato da memoria; gli altri dirigenti non medici hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sull’eccezione di decadenza dei dipendenti dai loro oneri probatori riguardanti le modalità di distribuzione del Fondo relativo alla retribuzione di risultato; violazione ed errata applicazione dell’art. 2967 cod. civ. e dell’art. 191 ss. cod. proc. civ.; omessa ed errata applicazione delle previsioni del contratto collettivo aziendale in ordine alla distribuzione del medesimo Fondo, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale non ha pronunciato in ordine alla dedotta insussistenza di allegazione e di prova dell’importo che sarebbe spettato agli appellati sulla base della corretta quantificazione del fondo ed in applicazione dei criteri di distribuzione del fondo individuati dal contratto collettivo decentrato; evidenzia l’erronea valorizzazione del documento prodotto dall’azienda, non potendo ricavarsi dal medesimo alcun elemento idoneo a colmare la lacuna probatoria.
Deduce che il CTU ha disatteso i criteri di distribuzione individuati dal contratto collettivo decentrato, nonostante le osservazioni del consulente tecnico di parte, lamentando che era stato autorizzato ad acquisire documentazione relativa a circostanze non allegate dalle controparti.
Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
Al di là delle modalità di formulazione, è innanzitutto inammissibile la censura relativa alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non essendo il vizio
di omessa pronuncia configurabile su questioni processuali (Cass. n. 10422/2019; Cass. n. 1876/2018 e Cass. n. 1701/2009).
Inoltre il motivo difetta del requisito prescritto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., in quanto non trascrive né localizza l’atto di appello, gli atti delle controparti e il verbale contenente il quesito al CTU.
Deve in proposito rammentarsi che l’onere della parte di indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure nell’ambito dell’affermata necessità di non intendere il principio di autosufficienza del ricorso in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza C.E.D.U. Succi e altri c. Italia del 28.10.2021 (Cass. SU n. 8950/2022).
Il motivo prospetta, inoltre, una diversa valutazione delle risultanze processuali, sollecitando espressamente un giudizio di merito.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
In ordine alla quantificazione dell’importo spettante, la Corte territoriale si è pronunciata, avendo ritenuto che le differenze sulla retribuzione di risultato spettanti agli appellati dovessero essere computate sulla base di quanto riconosciuto nella tabella prodotta dall’Azienda USL, e di quanto spettante.
3. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art.61, comma 2, lett.a) del CCNL di comparto 1994-1997, come interpretato dall’accordo del 7.12.2001, dell’art.8, comma 3, legge n.537/1993 e dell’art. 1362 cod. civ., anche in relazione all’art.2, comma 3, d.l. n.333/1992, conv. dalla l. n. 359/1992, e dell’art.7, comma 4, d.l. n. 384/92,
conv. dalla legge n. 438/92, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che il C.C.N.L. di comparto richiama il d.P.R. 384/1990, il quale a sua volta rinvia al d.P.R. 270/1987, che fa riferimento all’accordo decentrato al livello regionale per la quantificazione del fondo.
Richiamando l’accordo di interpretazione autentica sottoscritto dall’ARAN nel 2001, critica la sentenza impugnata per avere escluso la competenza della contrattazione decentrata regionale in ordine alla determinazione del fondo di risultato.
4. Il motivo è fondato.
Va innanzitutto evidenziato che le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 30222/2017 hanno espresso il principio di diritto secondo cui «’per quote storiche spettanti’ di cui all’art. 61, comma 2, CCNL 1994/97 relativo alla dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del SSNN del 5.12.1996 si intendono quelle determinate secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 384/1990 sulla base del valore unitario del plus orario determinato ex art. 61 comma settimo, moltiplicato per il numero massimo delle ore di plus orario consentito (ex art. 61 comma secondo) e per le unità di personale impegnato nell’attività incentivata: la riduzione del 30% prevista dall’art. 8 L. 1993 si deve applicare una volta determinata la quota massima spendibile ricostruita alla luce dei criteri prima indicati»; hanno dunque superato l’orientamento espresso da Cass. n. 24248/2007, Cass. n. 3304/2012 e Cass. n. 18463/2012, secondo cui le parti collettive avrebbero inteso riferirsi al fondo cosiddetto ‘virtuale’, ossia quantificato ai sensi degli artt. 57 e 58 del d.p.r. n. 384 del 1990, a prescindere dai limiti massimi di plus orario e dal numero dei dirigenti in servizio nell’anno di riferimento,
La successiva ordinanza n. 3134/2019 di questa Corte ha poi circoscritto la valenza degli accordi regionali volti alla rideterminazione del Fondo per la retribuzione di risultato precisando che: a) occorre limitare l’applicazione degli accordi regionali sino al 30 giugno 1997 e soltanto ai dirigenti sanitari ancora governati dal vecchio regime dell’incentivazione al plus orario ; b) oltre i suddetti
limiti temporali e soggettivi occorre applicare la pertinente normativa statale sulla retribuzione di risultato facendo riferimento alla ‘quota massima spendibile’, determinata secondo i criteri stabiliti dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30222 del 2017.
Tali principi sono stati rimeditati dalla sentenza di questa Corte n. 9319 del 2021, la quale dopo un’attenta ricostruzione della disciplina dei fondi di produttività sul rilievo fondamentale che il nuovo fondo per la retribuzione di risultato è determinato in un importo pari alla somma dei precedenti fondi di produttività, ha in sintesi evidenziato che dalla norma di interpretazione autentica risulta che le ‘quote storiche’ non fanno riferimento a quanto ‘speso’ dalle Aziende nell’anno 1993 e che la ‘quota storica’ dell’ex gruppo B non deve essere determinata in misura astratta, ma secondo il criterio del ‘massimo spendibile’ (come risulta dalla pronuncia delle Sezioni Unite, restando aperta la diversa questione della rilevanza degli accordi regionali intervenuti, negli anni 1990/1993, a ridurre l’importo del fondo.
Con specifico riferimento all’incidenza degli accordi regionali ha rilevato che la norma contrattuale utilizza la espressione ‘quote storiche’, definite dall’accordo di interpretazione autentica del 12 luglio 2001 come quote «originariamente determinate ai sensi degli articoli 57 e seguenti del DPR 384/1990, applicati immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato», con tecnica regolativa già utilizzata dalle leggi intervenute a contenere l’importo dei fondi dopo il d.P.R. n. 384 del 1990 (art. 2, comma 3, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. con modif. dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonché art. 8, comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537), assumendo come riferimento il monte in precedenza ‘stanziato’ in ciascuna azienda nell’anno 1991 ai fini del pagamento dell’emolumento.
Ha inoltre rimarcato che con la medesima tecnica il c.c.n.l. 1994/1997 ha inteso fare riferimento a quanto assegnato a ciascun gruppo di personale sotto il profilo ‘storico’ e, dunque, anche in attuazione degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda prima della applicazione dell’art. 61, mentre una diversa interpretazione comporterebbe che, in applicazione dell’art. 61 del c.c.n.l. 1994/1997, si dovrebbe procedere, ora per allora, ad un nuovo calcolo delle
somme da destinare ai fondi di cui agli artt. 57 e ss. del d.P.R. n. 384 del 1990, con recupero ex post delle economie sino ad allora realizzate (effetto che è stato escluso dalle parti collettive appunto con il prevedere il riferimento alle quote ‘storiche’).
Ha, poi, valorizzato l’interpretazione autentica da cui risulta, in premessa, il riferimento delle parti collettive «all’accordo decentrato ed alle clausole ivi previste, vigente nell’azienda immediatamente prima dell’applicazione dell’articolo 61 del CCNL»; evidenziando il dato testuale del dispositivo, secondo cui le quote storiche spettanti sono le quote «originariamente determinate ai sensi degli articoli 57 e seguenti DPR 384/1990, applicati prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato»; ha pertanto ritenuto che il riferimento è dunque all’applicazione degli artt. 57 e ss. del d.P.R. n. 384 del 1990 avvenuta immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema.
Ha conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: «Con riferimento alla formazione del fondo per la retribuzione di risultato, di cui all’articolo 61, comma due, lettera a) CCNL dell’area della dirigenza sanitaria, tecnica, professionale, amministrativa del Comparto Sanità, per quote storiche spettanti a ciascun ruolo si intendono quelle determinate sulla base degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda immediatamente prima dell’applicazione del suddetto articolo 61».
Questa Corte ha dato continuità a tale principio con la sentenza n. 18379/2023, evidenziando che nella richiamata decisione delle Sezioni Unite non è stata affrontata la specifica questione della rilevanza degli accordi regionali (come correttamente evidenziato nella citata pronuncia n. 9319 del 2021 e come emerge dal quesito sottoposto al Supremo Consesso, chiamato a dirimere il differente aspetto della perimetrazione del fondo alla quota ‘spendibile’, in luogo di ‘virtuale’), e che non era dunque prospettabile il censurato contrasto con il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite.
E’ stata inoltre esclusa la violazione dell’art. 61 del c.c.n.l. secondo l’accordo di interpretazione autentica; si è in particolare evidenziato quanto annotato nella pronuncia n. 9319 del 2021: «A volere attribuire rilevanza all’accordo di interpretazione autentica, esso deporrebbe, anzi, in senso opposto. Nella
premessa, infatti, detto accordo fa salve le pattuizioni decentrate nel frattempo intervenute, nei seguenti termini: ‘che, pertanto, le parti ritengono che nel ricorso in atto si debba fare soprattutto riferimento all’accordo decentrato ed alle clausole ivi previste, vigente nell’azienda immediatamente prima dell’applicazione dell’art. 61 del CCNL’», e si è pertanto ritenuto che le parti sociali abbiano piuttosto inteso richiamare la valenza degli accordi decentrati vigenti prima del nuovo sistema.
E’ stata parimenti esclusa la violazione dell’esclusiva competenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro (e conseguente inapplicabilità degli accordi regionali), sul rilievo (pure espresso nella decisione cui si intende dare continuità) che trattasi di contrattazione decentrata che non riguardava i dirigenti già passati al regime della retribuzione di risultato – né si era svolta in epoca successiva al 30 giugno 1997- ma che era intervenuta nel regime pubblicistico, in epoca anteriore al c.c.n.l. 1994/1997, cui occorre tenere conto per determinare i fondi per l’anno 1993 ai sensi del d.P.R. n. 384 del 1990, ai quali rinvia l’art. 61, comma 2, lett. a), del c.c.n.l. 1994/1997.
Si è pertanto rilevato che l’interpretazione già espressa da questa Corte nella sentenza n. 9319 del 2021 in ordine alla rilevanza degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda immediatamente prima dell’applicazione dell’art. 61 in commento non si pone in contrasto con l’accordo di interpretazione autentica, ma risulta anzi avallata dalla lettera del citato accordo e pienamente in linea con il precedente di questa Corte a Sezioni Unite nella parte in cui si è inteso ribadire, sul piano letterale oltre che logico, l’opzione ermeneutica per cui «le parti sociali fossero ben consapevoli che il passaggio ad un diverso criterio di valorizzazione della produttività, anche per i dirigenti non medici, non avrebbe comportato un aggravio di spesa poiché il nuovo fondo si sarebbe determinato in base alle quote storiche a loro volta determinate nel rispetto dei limiti e dei massimali previsti».
Si è dunque ritenuto che l’uso della locuzione ‘quote storiche spettanti’ siccome ‘originariamente determinate’ ai sensi degli artt. 57 e seguenti del d.P.R. n. 384 del 1990, applicati immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato, e il richiamo alla decurtazione di cui alla legge n. 537 del 1993, confortano l’assunto che le parti sociali intendevano
perseguire l’obiettivo fondamentale della riduzione dell’impatto economico della promozione della produttività della dirigenza sanitaria, a ciò conseguendo che il fondamentale obiettivo del contenimento della spesa pubblica per il personale corrobora ulteriormente l’interpretazione che attribuisce rilievo agli accordi regionali intervenuti immediatamente prima dell’attuazione della riforma, per rispettare i tetti previsti nella determinazione delle quote storiche e assicurare le necessarie coperture di spesa.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto superati i meccanismi di determinazione dell’entità dei fondi attraverso il rinvio alla contrattazione decentrata regionale ed ha escluso la competenza della contrattazione decentrata regionale in materia di determinazione dell’entità dei fondi di incentivazione della produttività spettanti ai dipendenti delle Aziende USL, non si è attenuta a tali principi e va pertanto cassata sul punto.
Il terzo motivo del ricorso principale denuncia l ‘omessa ed errata applicazione delle norme di legge in materia di distribuzione della retribuzione di risultato, nonché omessa ed errata applicazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 165/2001.
Critica la sentenza impugnata per avere effettuato una «distribuzione a pioggia» delle maggiori somme sulla base della CTU, senza considerare la disciplina dettata dalla disposizione richiamata in merito al trattamento accessorio della dirigenza.
Il ricorso incidentale con un unico motivo denuncia la v iolazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omesso esame e pronuncia sull’appello incidentale proposto da NOME COGNOME in ordine alla quantificazione delle differenze retributive spettanti.
Deduce di avere evidenziato gli errori in cui era incorso il CTU, il quale incorrendo in errori materiali, le aveva riconosciuto per l’anno 2009 una cifra pari a quella attribuita ai colleghi che avevano prestato servizio solo per tre mesi e non aveva cont eggiato l’anno 2010, a fronte dei 12 mesi di servizio prestati dalla COGNOME nel 2009 e nel 2010.
8 . A fronte dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, il terzo motivo del ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale devono ritenersi assorbiti.
In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, va dichiarato inammissibile il primo e vanno assorbiti il terzo motivo del ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale ; la sentenza impugnata deve essere, dunque, cassata in relazione al ricorso ed al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto enunciati nelle richiamate pronunce e qui ribaditi e provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Non sussistono per il ricorso principale, in quanto accolto, e per quello incidentale, dichiarato assorbito, le condizioni processuali richieste d all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 ai fini del raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il primo motivo e assorbiti il terzo motivo del ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale ; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 7 dicembre 2023.
La Presidente NOME COGNOME