Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9617 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9617 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 26017/2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
INPS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché
Comunità montana del Fortore Molisano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Campobasso n. 65/2020 pubblicata il 22 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Campobasso, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 1° ottobre 2019, ha rigettato il ricorso con il quale NOME COGNOME aveva impugnato il provvedimento dell’INPS di liquidazione del TFS, deducendo che la somma dovuta andava calcolata sulla base della retribuzione contributiva degli ultimi 12 anni, comprensiva della retribuzione di posizione, di parte di quella di anzianità e della 13ma, e di un’anzianità di servizio di 37 anni e 4 mesi.
La ricorrente aveva chiesto, quindi, la condanna dell’INPS a pagare quanto non versato e quella della Comunità montana del Fortore Molisano (da ora solo la Comunità) a corrispondere la retribuzione di dicembre 2012, la 13ma, il saldo della retribuzione di risultato e le mensilità da gennaio ad aprile 2013.
Per l’esattezza, il Tribunale di Campobasso ha dichiarato inammissibili la domanda relativa alle differenze retributive, già trattata in precedente giudizio, e quella concernente il TFS, che non poteva essere azionata nei confronti dell’INPS .
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Campobasso, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 65/2020, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Le Amministrazioni intimate si sono difese ciascuna con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 411 della legge n. 152 del 1968 e dell’art. 36 CCNL 10 aprile 1996 del personale con qualifica dirigenziale del comparto Regioni ed Enti locali in
quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la retribuzione di posizione dagli importi di cui tenere conto per determinare la base contributiva del TFS.
Sostiene che il giudice di appello non avrebbe considerato che la retribuzione di posizione sarebbe stata prevista dagli artt. 33 e 36 del citato CCNL e inclusa nel trattamento fondamentale, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Pertanto, avrebbe dovuto essere considerata utile ai fini previdenziali.
A questa conclusione si sarebbe dovuti giungere anche alla luce delle circolari dell’INPDAP.
In realtà, la giurisprudenza per la quale l’indennità premio servizio avrebbe dovuto essere computata solo sul t abellare e non sull’indennità di posizione organizzativa si sarebbe formata solo con riferimento alla posizione del personale non dirigente delle amministrazioni locali.
La censura è infondata.
La giurisprudenza ha già chiarito che, ai fini della determinazione dell’indennità premio di fine servizio per i dipendenti degli enti locali, non deve tenersi conto della retribuzione di posizione, neanche ove tale emolumento integri parte fissa del globale trattamento retributivo del lavoratore, giacché l’indennità per le funzioni dirigenziali non rientra fra gli emolumenti specificamente indicati dall’art. 11, comma 5, della legge n. 152 del 1968, né può considerarsi come componente dello stipendio nel senso adoperato da tale norma (Cass., n. 30993/2019).
Infatti, questa Suprema Corte ha affermato ( ex aliis , Cass., n. 27547/2020; Cass., n. 1156/2017; Cass., n. 18999/2010; Cass. n. 15906/2004; Cass., n. 9901/2003; Cass. n. 681/2003; Cass., SU, n. 3673/1997) che la retribuzione contributiva, alla quale per i dipendenti degli enti locali (tale è l ‘ odierna ricorrente) si commisura, a norma dell ‘ art. 4 della legge n. 152 del 1968, l ‘ indennità premio di servizio, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall ‘ art. 11, comma 5, della legge citata; si tratta di una elencazione tassativa e nella quale la dizione ‘ stipendio o salario ‘ richiede una interpretazione restrittiva, limitata alle sole sue componenti oggetto di specifica
menzione, come gli aumenti periodici, la tredicesima mensilità e il valore degli assegni in natura; per l ‘ effetto, sempre alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del premio di fine servizio non si tiene conto dell ‘ indennità per le funzioni dirigenziali (o retribuzione di posizione), anche ove – in ipotesi – integri parte fissa del globale trattamento retributivo del lavoratore, giacché l ‘ indennità per le funzioni dirigenziali non rientra fra gli emolumenti specificamente indicati dalla norma e non può considerarsi come componente dello stipendio nel senso adoperato dalla citata norma di previsione.
Questa giurisprudenza si occupa specificamente della posizione dei dirigenti.
Nessun pregio ha la menzione, nel ricorso, di Cass., n. 4978/2018, decisione che è giunta a conclusioni opposte rispetto a quelle ipotizzate dalla ricorrente.
Infatti, la S.C. ha ribadito che è consolidato, anche con riferimento ai dipendenti degli enti locali, l’orientamento della Sezione Lavoro della Corte (Cass., n. 18999/2010; Cass., n. 3833/2012; Cass., n. 10160/2001; Cass., n. 681/2003; Cass., n. 9901/2003), secondo il quale la retribuzione contributiva alla quale si commisura la indennità premio di servizio, a norma dell’art. 4 della legge 8 n. 152 del 1968 è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, comma 5, legge citata, la cui elencazione ha carattere tassativo e il riferimento della quale allo stipendio o salario richiede una interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come esclusivi componenti di tale voce, degli aumenti periodici della tredicesima mensilità e del valore degli asse gni in natura. Quanto all’inserimento, all’art. 49 del CCNL del 14 settembre 2000, della retribuzione di posizione tra gli emolumenti utili ai fini della base di calcolo del trattamento di fine rapporto, deve osservarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che i contratti collettivi, salvo che non siano a tanto abilitati da specifiche disposizioni di legge, non possono in alcun modo disporre o comunque modificare i rapporti previdenziali, distinti dai rapporti di lavoro, intercorrenti tra soggetti diversi e disciplinati da norme legali inderogabili (Cass, n. 1063/2008).
La Suprema Corte ha anche rilevato che l’art. 2 della legge n. 335 del 1995 ha previsto che ‘per i lavoratori assunti dal 1.1.1996 alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del decreto legislativo 3.2.1993 n. 29,
i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 c.c. in materia di trattamento di fine rapporto’ (comma 5); ‘la contrattazione collettiva nazionale, in conformità alle disposizioni del titolo III del decreto legislativo 3.2.1993 n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, definisce, nell ‘ ambito dei singoli comparti, entro il 30 novembre 1995, le modalità di attuazione di quanto previsto dal comma 5, con riferimento ai conseguenti adeguamenti della struttura retributiva e contributiva del personale di cui al medesimo comma (comma 6)’; la contrattazione collettiva nazionale, nell’ambito dei singoli comparti, definisce, altresì, ai sensi del comma 6, le modalità per l’applicazione, nei confronti dei lavoratori già occupati alla data del 31.12.1995, della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto’ (comma 7). Pertanto, solo per i lavoratori assunti a partire dal 1 gennaio 1996 è previsto che i trattamenti di fine servizio siano regolati secondo le disposizioni del codice civile, con conseguente superamento della struttura previdenziale dei trattamenti contemplati dalla disciplina pubblicistica; per contro, in relazione ai lavoratori già in servizio al 31.12.1995 (fra i quali va compreso la ricorrente) è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina e la nuova regolamentazione della materia, destinata a superare la previgente disciplina (ex art. 72, comma 3, d.lgs. n. 29 del 1993, ora trasfuso nell’art. 69, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001) va riferita ad un intervento di modifica complessivo del quadro normativo e non a meri interventi specifici su alcuni punti, quali l’inclusione di specifiche voci retributive nel calcolo del trattamento di fine servizio. Ne consegue che la indennità di posizione, pur ricompresa dalla contrattazione collettiva nella struttura della retribuzione, non va computata nella liquidazione della indennità premio di servizio, in quanto voce non indicata da l detto comma 5 dell’art. 11.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per assenza di valida motivazione.
La censura è inammissibile, avendo la corte territoriale chiaramente enunciato le ragioni del suo convincimento, citando, altresì, il consolidato orientamento della Suprema Corte in materia.
3) Con il terzo motivo la ricorrente contesta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e 152 bis disp. att., come modificati dalla legge n. 263 del 2005 e dalla legge n. 69 del 2009, e dell’art. 112 c.p.c., in quanto la corte territoriale avrebbe dovuto compensare le spese di lite di primo grado, sussistendo gravi e eccezionali ragioni di opportunità.
La censura è inammissibile, avendo il Tribunale di Campobasso applicato la normativa in tema di soccombenza. Peraltro, non è censurabile, in sede di legittimità, la scelta del giudice del merito di non compensare le spese di causa.
Infatti, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., n. 24502/2017).
4) Il ricorso è rigettato, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘ Ai fini della determinazione del trattamento di fine servizio dei dirigenti degli enti locali, non deve tenersi conto della retribuzione di posizione, neanche ove tale emolumento integri parte fissa del globale trattamento retributivo del lavoratore e, in particolare, sia inserito dalla contrattazione collettiva nella struttura della retribuzione, giacché l ‘ indennità per le funzioni dirigenziali non rientra fra gli emolumenti specificamente indicati dall’art. 11, comma 5, della legge n. 152 del 1968, né può considerarsi come componente dello stipendio nel senso adoperato da questa norma ‘.
‘Solo per i lavoratori assunti a partire dal 1° gennaio 1996 è previsto che i trattamenti di fine servizio siano regolati secondo le disposizioni del Codice civile (art. 2120 c.c.), con conseguente superamento della struttura previdenziale dei trattamenti contemplati dalla disciplina pubblicistica; per contro, in relazione ai lavoratori già in servizio al 31 dicembre 1995, è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna delle Amministrazioni controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, in € 4.000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 6 marzo