Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15956 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15956 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19900-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE MESSINA, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
RETRIBUZIONE PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.19900/2020
COGNOME
Rep.
Ud.07/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 628/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 06/12/2019 R.G.N. 774/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Messina, la signora NOME COGNOME insieme ad altra dipendente rimasta contumace in grado di appello e acquiescente alla sentenza di primo grado, chiedeva la condanna della ASP Messina al conferimento di un incarico dirigenziale di rilevante professionalità ed al pagamento della retribuzione di posizione aziendale in relazione alle mansioni dirigenziali effettivamente svolte sin dalla data di assunzione. In subordine, chiedeva la condanna al risarcimento del danno derivante dal mancato conferimento dell’incarico.
Il tribunale riconosceva il diritto alla retribuzione di posizione aziendale variabile, sebbene nei limiti dell’accertata parziale prescrizione, ritenendo che le ricorrenti avessero diritto all’erogazione della retribuzione di posizione connessa all’incarico dirigenziale di rilevante professionalità concretamente svolto da ciascuna sin dalla data di assunzione, sebbene l’incarico fosse stato formalmente attribuito in ritardo e ciò sia sulla base dell’articolo 52 del CCNL di settore del 5 dicembre 1996, sia con riferimento al regolamento allegato all’atto aziendale approvato con delibere numero 5949 del 2002 e numero 4263 del 2003.
La Corte di appello di Messina in parziale riforma della sentenza appellata rigettava la domanda di
corresponsione della retribuzione di posizione compensando fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ad avviso della Corte territoriale non era sufficiente che l’ente avesse provveduto ad istituire la posizione dirigenziale ai fini dell’accoglimento della domanda, perché la graduazione delle funzioni dirigenziali, come disciplinata dalla contrattazione collettiva di area, costituisce atto di macro organizzazione, nel caso di specie carente. Se pure, infatti, già negli anni 2002, 2006, 2007, 2009 erano stati adottati gli atti di graduazione e pesatura degli incarichi dirigenziali professionali previsti dall ‘art. 27, comma 1, lett. C) del c.c.n.l. 8 giugno 2000, tuttavia gli atti macro organizzativi necessari alla graduazione delle funzioni dirigenziali, seppur avviati, non erano giunti al completamento dell’iter procedurale in conseguenza delle vicende riguardanti il mutamento dei vertici aziendali e lo stato di commissariamento aziendale. Conseguentemente, la Corte di merito non riconosceva la retribuzione di posizione nella sua componente variabile dipendente dall’atto di graduazione delle funzioni esercitate.
Avverso tale sentenza la signora COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, resistito da controricorso dell’amministrazione.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c. per motivazione apparente nonché dell’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio
oggetto di discussione fra le parti costituito dal regolamento di graduazione delle funzioni, in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 4 e 5 c.p.c.
La corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto non sussistere il diritto alla retribuzione di posizione variabile aziendale sebbene l’amministrazione avesse adottato sin dal 2002 il Regolamento di graduazione delle funzioni.
1.1. Il motivo è infondato.
Va premesso che con la locuzione motivazione apparente si fa riferimento ad ogni caso in cui la motivazione ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. n. 22232/2016; Cass. N. 16595/2019).
Ciò premesso, non si può non rilevare come il percorso logico argomentativo della Corte di appello sia stato ampiamente rappresentato in motivazione, nella misura in cui ha ritenuto non sussistente nel caso concreto l’atto di macro organizzazione di graduazione delle funzioni dirigenziali, il cui iter procedurale, sebbene avviato, non era giunto a completamento con la formalizzazione dell’incarico dirigenziale medesimo alla ricorrente.
Conseguentemente, è da ritenersi insussistente il vizio motivazione apparente come eccepito dalla ricorrente in quanto la stessa integra i requisiti richiesti dall’art. 111 Cost. in termini di c.d. ‘minimo costituzionale’, che, in
ipotesi, determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c..
Per quanto concerne, poi, la contestazione di omesso esame di fatto decisivo ex art 360 comma 1, n. 5 c.p.c. valga quanto segue.
Va premesso che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, oppure mere deduzioni difensive. (Cass. n. 22397/2019; Cass. n. 26305/2018).
Conseguentemente, è da ritenersi tale profilo di censura inammissibile non potendo ricondursi un Regolamento aziendale al paradigma di fatto storico/naturalistico di cui il giudice avrebbe omesso l’esame.
Ad ogni buon conto, la corte territoriale non ha omesso di valutare il Regolamento aziendale n. 5948/2002, ma ha ritenuto lo stesso insufficiente a riconoscere la retribuzione di posizione variabile in assenza del provvedimento formale di incarico dirigenziale.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia: vizio della sentenza ex articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.violazione e falsa applicazione degli articoli 15 e 15 ter D.Lgs. n. 502/1992, dell’articolo 13 D.Lgs. n. 229/1999, dell’articolo 19 D.Lgs. n. 165/2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 52 CCNL 5/12/1996 area dirigenza medica e veterinaria, dell’art. 6 CCNL 17/10/2008 area
dirigenza medica e veterinaria, dell’art. 13 CCNL 19982001 area 1 Dirigenza (aziende/ministeri), dell’art. 26 CCNL 20/12/2001 dirigenza (CNEL)- Diritto all’incarico. Le disposizioni soprarichiamate non lascerebbero spazio in ordine alla sussistenza del diritto ad un incarico del dirigente cui corrisponderebbe il dovere di conferimento da parte delle Aziende. Pertanto, anche qualora l’iter organizzativo non si fosse concluso l’inadempimento dell’azienda nell’operare alle prescrizioni di legge dalle norme della contrattazione collettiva non poteva far venir meno il diritto dei lavoratori al conferimento dell’incarico e dall’ottenimento del correlato trattamento economico. L’eventuale mancata emanazione dell’atto aziendale regolante l’organizzazione e il funzionamento delle unità operative ed il regolamento di graduazione delle funzioni non fa venir meno il diritto dei dirigenti al conferimento dell’incarico.
2.1. Il motivo di ricorso è infondato, intendendosi qui dare continuità a quanto già statuito da questa Corte in casi del tutto analoghi al presente (Cass. nn. 11574/2023; 11575/2023; 21544/2024; Cass. n. 1478/2024).
In tali pronunce -alle cui più ampie motivazioni si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. è stato affermato il seguente principio di diritto: «l’attribuzione ai dirigenti medici del Sistema Sanitario Nazionale che abbiano superato, con valutazione positiva del collegio tecnico, il quinquennio di attività, di un incarico di direzione di una struttura semplice o di un incarico di alta professionalità, consulenza, studio, ricerca, ispettivo, di verifica e controllo, secondo la contrattazione collettiva di tempo in
tempo vigente, è condizionato dall’esistenza di posti disponibili, secondo l’assetto organizzativo dell’ente quale fissato dall’atto aziendale, nonché della copertura finanziaria, e richiede inoltre il previo superamento delle forme di selezione regolate dalla contrattazione collettiva stessa».
Nel caso qui in esame, la pretesa automaticità dell’incarico (rectius: dei compensi aggiuntivi collegati all’incarico) è limitata al tipo di incarico previsto dall’art. 27, comma 1, lett. c), del CCNL 8.6.2000 («incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo»), ma il principio di diritto affermato riguarda anche siffatta pretesa (oltre a quella di conferimento di un incarico di direzione di struttura semplice).
È stato quindi osservato che «l’art. 15 -ter del d. lgs. n. 165/2001 prevede che gli incarichi medico-dirigenziali siano attribuiti ‘compatibilmente con le risorse finanziarie a tal fine disponibili e nei limiti del numero degli incarichi e delle strutture stabiliti nell’atto aziendale di cui all’articolo 3, comma 1bis’» e che «ciò esclude evitando anche irrazionali irrigidimenti organizzativi -che il numero degli incarichi sia necessariamente pari a quello dei medici valutati positivamente dopo il quinquennio, perché tutto dipende evidentemente dalle disponibilità finanziarie e dalle scelte organizzative -di merito -della P.A. di riferimento».
Inoltre, «la contrattazione collettiva nel regolare, come prevede la legge (art. 15, co. 1, seconda parte d.lgs. 502/1992) le modalità di conferimento degli incarichi, stabilisce (art. 28 CCNL 2000) che si proceda alla scelta
con atto scritto e motivato, sulla base di una rosa di idonei e previa fissazione aziendale di criteri e di procedure per l’affidamento (cui nel CCNL 19.12.2019 si aggiunge anche un avviso di selezione interna), il che è palesemente in contrasto con un’att ribuzione a tutti, al quinquennio, sempre e comunque, di uno di quegli incarichi».
Non rimane che ribadire che «il disconoscimento del diritto esclude ogni fondamento alla pretesa risarcitoria per il fatto in sé del mancato conferimento di quella tipologia di incarico» (Cass. n. 11574/2023 cit.). Sulla scorta dei precedenti soprariportati, è evidente la insussistenza di un c.d. diritto perfetto al conferimento dell’incarico dirigenziale e al correlativo trattamento economico.
Tale conclusione comporta la infondatezza anche del terzo motivo con cui la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, nn 3 e 4 c.p.c.. Violazione dell’art. 112 c.p.c.. Omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno e di richiamo del CTU. diritto all’incarico non può che comportare la insussistenza
3.1. Ed invero la non configurabilità di un neppure in ipotesi di un diritto di natura risarcitoria.
Nessun danno ha pertanto subito la ricorrente cui sono state riconosciute le retribuzioni quale dirigente nella parte fissa e nella parte variabile minima.
Con il quarto ed ultimo motivo si lamenta il vizio della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.motivazione apparente ed incomprensibile-omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn . 4 e 5 c.p.c..
4.1. Tale censura si sovrappone sostanzialmente a quella contenuta nel primo motivo di ricorso cui si rinvia per le motivazioni in termini di infondatezza ed inammissibilità. 5. In conclusione, il ricorso va respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza che si liquidano come in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della