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Retribuzione di posizione: la Cassazione decide

Un ex dirigente di un ente locale si è opposto alla richiesta di restituzione di una parte della retribuzione di posizione, ritenuta illegittima dal Comune. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dirigente, confermando la giurisdizione del giudice ordinario e l’obbligo di restituire le somme. La Corte ha chiarito che la nullità delle delibere che assegnano una retribuzione non conforme alla contrattazione collettiva impone la restituzione, e che tale controversia rientra nel rapporto di lavoro e non nella giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Retribuzione di Posizione: Quando il Dirigente Pubblico Deve Restituire le Somme?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel pubblico impiego: la retribuzione di posizione e i casi in cui essa, se erogata illegittimamente, deve essere restituita. La decisione chiarisce importanti aspetti sulla giurisdizione competente e sui principi che regolano il trattamento economico dei dirigenti pubblici, rafforzando il principio di legalità che governa l’azione della Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Restituzione del Comune

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo emesso da un Comune nei confronti di un suo ex dirigente a tempo determinato. L’ente locale richiedeva la restituzione di una parte della retribuzione di posizione percepita dal dirigente negli anni precedenti, sostenendo che fosse stata erogata in misura superiore a quanto dovuto e in assenza dei presupposti di legge, come la mancata costituzione del fondo per la dirigenza e l’assenza di un contratto integrativo decentrato.

Il dirigente si opponeva alla richiesta, sollevando in primo luogo una questione di giurisdizione: a suo avviso, la controversia doveva essere decisa dalla Corte dei conti, trattandosi di un potenziale danno erariale. Nel merito, chiedeva la revoca del decreto. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione al Comune, affermando la giurisdizione del giudice ordinario e confermando l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite. Il dirigente, non soddisfatto, ricorreva in Cassazione.

La Questione della Retribuzione di Posizione e la Giurisdizione

Uno dei punti centrali del ricorso del dirigente riguardava, ancora una volta, la giurisdizione. Egli sosteneva che la pretesa del Comune avesse natura risarcitoria per danno erariale, di competenza esclusiva della magistratura contabile.

La Corte di Cassazione ha respinto con fermezza questa tesi. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: nel pubblico impiego privatizzato, l’azione con cui l’ente datore di lavoro chiede la restituzione di somme retributive non dovute (la cosiddetta ripetizione di indebito) rientra pienamente nella giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro. Questa azione, infatti, non riguarda un danno all’erario in senso lato, ma attiene direttamente al rapporto di lavoro e all’adempimento delle obbligazioni contrattuali. L’azione per danno erariale è un’azione distinta, con finalità e presupposti diversi, e non esclude quella che l’Amministrazione può intraprendere davanti al giudice del lavoro per recuperare un pagamento privo di titolo.

L’Illegittimità della Retribuzione e l’Inapplicabilità dell’Art. 2126 c.c.

Un altro motivo di ricorso si basava sull’articolo 2126 del codice civile, che garantisce al lavoratore il diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa di fatto prestata, anche in caso di nullità del contratto. Il dirigente sosteneva che, avendo comunque lavorato, non dovesse restituire nulla.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto al ricorrente. La Corte ha precisato che la tutela dell’art. 2126 c.c. non si applica quando l’illegittimità non riguarda l’intero rapporto di lavoro, ma solo un aumento della retribuzione di posizione non giustificato da una prestazione lavorativa “radicalmente diversa”. In questo caso, il dirigente aveva svolto le sue normali funzioni; l’irregolarità consisteva solo nell’aver percepito un compenso accessorio superiore a quello dovuto secondo la contrattazione collettiva. Pertanto, la parte di retribuzione erogata senza una valida causa giuridica doveva essere restituita.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su alcuni pilastri fondamentali. In primo luogo, ha sottolineato che il trattamento economico dei dirigenti pubblici è interamente disciplinato dai contratti collettivi. Qualsiasi atto unilaterale dell’amministrazione (come una determina dirigenziale) che stabilisca una retribuzione in contrasto con la contrattazione collettiva è affetto da nullità. Questa nullità comporta, per la Pubblica Amministrazione, il dovere di agire per ripristinare la legalità violata, anche attraverso la richiesta di restituzione delle somme. In secondo luogo, la Corte ha validato l’utilizzo, da parte dei giudici di merito, di relazioni del Ministero dell’Economia e della Corte dei conti come “prove atipiche”. Sebbene non costituiscano prova legale, tali documenti possono essere liberamente valutati dal giudice per formare il proprio convincimento, a patto di fornire una motivazione adeguata. Infine, la Corte ha respinto le censure di carattere procedurale, ritenendo che i giudici dei gradi precedenti avessero correttamente esaminato la domanda del Comune, che era appunto un’azione di ripetizione di indebito basata sulla mancanza di titolo della retribuzione erogata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza il principio di stretta legalità che deve governare la determinazione della retribuzione di posizione e, più in generale, dei trattamenti economici nel pubblico impiego. La decisione conferma che spetta al giudice ordinario del lavoro risolvere le controversie sulla restituzione di somme indebitamente percepite dai dipendenti pubblici. Viene inoltre chiarito che il dirigente non può trattenere emolumenti accessori erogati in violazione delle norme e della contrattazione collettiva, poiché l’atto che li dispone è nullo e l’amministrazione ha il dovere di recuperare quanto versato senza una valida causa giuridica.

A quale giudice spetta decidere sulla restituzione della retribuzione di posizione pagata in eccesso a un dirigente pubblico?
Alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro. La controversia riguarda l’adempimento di obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro privatizzato (restituzione di un pagamento non dovuto) e non un’azione per danno erariale, che è di competenza della Corte dei conti.

Un dirigente pubblico può trattenere la retribuzione di posizione percepita se le delibere di assegnazione sono dichiarate nulle?
No. Secondo la Corte, la tutela prevista dall’art. 2126 del codice civile non si applica quando l’illegittimità riguarda solo un aumento della retribuzione per il medesimo incarico, senza che vi sia stata una prestazione lavorativa radicalmente diversa. La parte di retribuzione erogata senza un valido titolo legale deve essere restituita.

Le relazioni del Ministero o della Corte dei conti possono essere usate come prova in un processo civile?
Sì. La Cassazione ha confermato che, pur non essendo “prove legali”, tali documenti costituiscono “prove atipiche”. Il giudice può legittimamente porle a base del proprio convincimento, a condizione che ne fornisca adeguata motivazione e le valuti criticamente insieme alle altre risultanze processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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