Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6422 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6422 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data RAGIONE_SOCIALEzione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24576-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALEINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2447/2023 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 10/07/2023 R.G.N. 1916/2020;
Oggetto
Avvocati dipendenti da società c.d. in house Retribuzione
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME e COGNOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 710/2020, che pure aveva respinto le domande degli stessi volte all’accertamento del loro diritto al controvalore degli onorari incassati da RAGIONE_SOCIALE e la condanna della società convenuta al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di € 133.202,33 relativa al periodo 1° maggio 2011 -17 settembre 2017.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che gli attori, nel ricorso introduttivo di primo grado, avevano allegato: a) di essere avvocati alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, provenienti da RAGIONE_SOCIALE e, prima ancora, da RAGIONE_SOCIALE; b) che con deliberazione 326/1988 RAGIONE_SOCIALE, corrispondendo a loro richiesta, aveva stabilito di attribuire agli avvocati del proprio ufficio legale le somme versate dalle controparti a titolo di onorari e competenze; c) che nell’aprile 2000 il RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo succeduto ad COGNOME, si scindeva in due società, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in seguito diventata RAGIONE_SOCIALE e che, a seguito della scissione, essi transitavano alle dipendenze di COGNOME, seguitando a svolgere le stesse mansioni e continuando a percepire il predetto emolumento, confermato con provvedimento n. 112 del 2007 dell’amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE; d) che successivamente, con atto di fusione del 12.12.2009, RAGIONE_SOCIALE, unitamente a RAGIONE_SOCIALE, si fondeva per
incorporazione in RAGIONE_SOCIALE e, a seguito del subentro, i ricorrenti erano confermati nel loro ruolo di avvocati interni di RAGIONE_SOCIALE e seguitavano a percepire il controvalore degli onorari; e) che, con provvedimento n. 15172 del 28.1.2011 l’amministratore del egato di RAGIONE_SOCIALE riconosceva ai soli legali provenienti dall’avvocatura di RAGIONE_SOCIALERO. il diritto al pagamento di competente ed onorari introitati dall’RAGIONE_SOCIALE; f) che, tuttavia, dall’aprile 2011 l’RAGIONE_SOCIALE aveva cessato ogni versamento relativo a competente ed onorari introitati; g) che, a seguito della presentazione, in data 17.9.2017, della richiesta di ammissione al concordato preventivo, era emerso che RAGIONE_SOCIALE, pur non avendo corrisposto ai ricorrenti, nel periodo, le competente e gli onorari, aveva comunque accantonato le somme introitate a tale titolo che, all’epoca, erano pari ad € 399.607,00.
Dopo aver dato conto della posizione assunta in giudizio dalla convenuta e di quanto considerato e deciso dal primo giudice, la Corte esaminava e disattendeva i nove motivi d’appello dei due avvocati dipendenti della società.
Avverso tale decisione solo COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1324, 1334, 2077 e 2103 Cod. Civ. (art. 360, n. 3 Cod. Proc. Civ.)’, ‘in quanto l’impugnata sentenza ha ritenuto che il contratto collettivo
RAGIONE_SOCIALEle potesse sopprimere il trattamento retributivo reclamato dal ricorrente unicamente perché non derivante da contratto individuale, così violando il principio per il quale anche gli atti unilaterali producono effetti obbligatori tra le parti, al pari dei contratto, sia il principio di irriducibilità della retribuzione individualmente attribuito, ad opera della contrattazione collettiva’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. Cod. Civ., nell’interpretazione dell’accordo collettivo RAGIONE_SOCIALEle del 30 novembre 2011 (art. 360, n. 3 Cod. Proc. Civ.)’, .
I due motivi, in quanto strettamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
Rileva il Collegio che la Corte territoriale aveva considerato: a) che l’attribuzione agli avvocati RAGIONE_SOCIALEli delle somme recuperate da terzi, a titolo di competenze ed onorari, era stato oggetto della deliberazione RAGIONE_SOCIALE n. 326 del 25.3.1988, adottata quando RAGIONE_SOCIALE non era una società commerciale, ma un’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; b) che dalla lettura di detta deliberazione emergeva pianamente che la
stessa non era stata adottata per aderire alle richieste avanzate singolarmente dai propri legali, come dedotto dagli allora appellanti (richieste, infatti, nemmeno ivi menzionate), bensì per adeguarsi alla tradizione normativa facente capo all’Avvocatura Generale dello Stato, delle avvocature degli enti pubblici e di quelle comunali; c) che RAGIONE_SOCIALE, quindi, aveva disposto unilateralmente l’attribuzione economica in favore degli avvocati RAGIONE_SOCIALEli che, contrariamente a quanto asserito dagli allora appellanti, non integrava una pattuizione aggiuntiva del contratto individuale di lavoro; d) che le deliberazioni succedutesi nel tempo, per confermare l’attribuzione (la deliberazione n. 112/2007 di RAGIONE_SOCIALE e quella di RAGIONE_SOCIALE del 28.1.2011, n. 15172), dimostravano in maniera non equivoca l’inesistenza di una pattuizione inseritasi nei c ontratti individuali di lavoro degli appellanti e confermavano, invece, la natura di mera attribuzione economica unilaterale disposta dal datore di lavoro; e) che, per le ragioni esposte, non sussisteva l’uso RAGIONE_SOCIALEle, in proposito allegato in subordine dagli impugnanti, e che, seppure fosse esistito, comunque il contratto collettivo RAGIONE_SOCIALEle del 30 novembre 2011 (fatto valere dalla convenuta e già valorizzato dal primo giudice) lo avrebbe legittimamente inciso disponendone la revoca; f) che, rispetto alle deliberazioni adottate da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che gli appellanti richiamavano alla stregua di disposizioni amministrative da cui sarebbe insorto il loro diritto, anzitutto Cass. n. 17941/2006, invocata dagli stessi, si riferiva ad una fattispecie di pubblico impiego, mentre nel caso di specie era sicuro che, con le successive fusioni e trasformazioni, gli allora appellanti erano dipendenti di una società privata, seppure di proprietà RAGIONE_SOCIALE, e il loro rapporto di lavoro, tranne che le speciali disposizioni contenute nel d.lgs. n. 175/2016, era
interamente regolato dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sul lavoro subordinato nell’impresa; g) che, in tale contesto privatistico, era legittimo che un contratto collettivo RAGIONE_SOCIALEle possa modificare in pejus il trattamento economico dei dipendenti eliminando benefici non insorti in forza del contratto individuale, bensì sulla base di attribuzioni individualmente ed unilateralmente effettuate dall’organo amministrativo di vertice dell’impresa; h) che, pertanto , l’RAGIONE_SOCIALE, con l’eliminazione di tale trattamento accessorio, aveva operato nel pieno rispetto dell’accordo collettivo del 30.9.2011, la cui possibilità e capacità di incidere sul trattamento stesso non poteva essere messa in dubbio.
Ciò premesso, osserva il Collegio che la massima parte delle considerazioni testé riassunte (che esprimono la ratio decidendi della Corte di merito in rapporto ai molteplici motivi d’appello all’epoca formulati) non è attualmente censurata in questa sede di legittimità, ma in certo senso il ricorrente ne prende spunto, segnatamente nel primo motivo di ricorso.
5.1. Più nello specifico, si è visto che la Corte d’appello , nel disattendere le principali doglianze degli allora appellanti, aveva a più riprese evidenziato che i trattamenti retributivi rivendicati dagli stessi erano derivati, non da pattuizioni che si fossero aggiunte al contratto individuale di lavoro di ognuno di essi (come da loro sostenuto, in via principale soprattutto sulla base dell’originaria deliberazione RAGIONE_SOCIALE n. 326/1988, secondo loro emanata su loro richieste) oppure da un uso RAGIONE_SOCIALEle (come dedotto in subordine dagli stessi), bensì da attribuzioni individualmente ed unilateralmente effettuate dall’organo di vertice dell’impresa (ormai di natura privatistica).
Ebbene, traendo argomento segnatamente da quest’ultima conclusione raggiunta dalla Corte distrettuale l’attuale ricorrente ora sostiene la tesi che appunto degli atti unilaterali, vale a dire, sempre le tre deliberazioni pure considerate dai giudici di merito (cfr. pagg. 8-9 del ricorso), sarebbero come tali la fonte diretta del diritto da lui rivendicato; tesi in precedenza non fatta valere in questi termini giuridici dal ricorrente.
6.1. Questa attuale prospettazione è sostenuta in base anzitutto all’art. 1173 c.c., norma in tema di ‘Fonti delle obbligazioni’, che quando, con clausola generale, si riferisce anche ad ‘ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico’, non contempla certamente in modo espresso le deliberazioni degli organi di vertice di una società.
E già la Corte di merito aveva evidenziato che, nella specie, si trattasse sì di società c.d. in house, ma cui si applicano ‘le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato’ (cfr. ora l’art. 1, comma 3, d.lgs. n. 175/2016, salve le deroghe previste nel medesimo decreto).
6.2. Del resto, il ricorrente non indica la specifica norma avente valore e forza di legge in base alla quale dovrebbe ritenersi che delibere di tale natura privatistica possano rientrare tra gli atti come tali fonti di obbligazioni.
Detta norma, ovviamente, non può essere l’art. 1334 c.c., che si limita a stabilire che: ‘Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati’, ma di certo non sancisce di per sé che l’effetto sia sempre di natura obbligatoria per chi emette l’atto unilaterale ove tale effetto non sia già previsto per tale atto; né
può essere l’art. 1324 c.c., pure richiamato dal ricorrente, disposizione che, ‘salve diverse disposizioni di legge’, e nei limiti di compatibilità, estende ‘le norme che regolano i contratti’ agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’. Ma tale estensione no n può far sì che qualsiasi atto unilaterale sia produttivo di obbligazioni (ex art. 1987 c.c. anche ‘La promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge’).
6.3. Opportunamente, allora, la Corte territoriale aveva sottolineato che l’originaria delibera n. 326/1988 da RAGIONE_SOCIALE ‘non era stata adottata per aderire alle richieste avanzate singolarmente dai propri legali ‘ (v. in extenso § 2.1. dell’impugnata sentenza).
Invero, solo ove tanto fosse invece avvenuto, sarebbe stato sostenibile che l’attribuzione delle somme recuperate da terzi, a titolo di competenze ed onorari, rifletteva una pattuizione di natura contrattuale, integratasi in forza di un meccanismo analogo a quello della proposta (dei lavoratori interessati, in forma di richiesta) e dell’accettazione (da parte dell’allora RAGIONE_SOCIALE, mediante la deliberazione), e così entrata a far parte del contratto individuale di lavoro di ognuno degli avvocati interessati.
6.4. Per altro verso, questa Corte di legittimità in passato aveva affermato che l’erogazione di un emolumento nel corso del rapporto di lavoro, quando non sia imposta dalla legge, dal contratto o da pattuizioni individuali, indipendentemente dalla sua denominazione, deve considerarsi come facente parte della retribuzione, se assuma i caratteri di predeterminazione, stabilità e di coerente continuità, estendendosi alla generalità dei dipendenti; ma tanto sul rilievo che si tratti di compenso
riconosciuto dall’uso RAGIONE_SOCIALEle (cfr. ex multis Cass. n. 1693/2003; Cass. n. 3220/1988).
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte distrettuale ha argomentatamente escluso che in proposito si fosse integrato un uso RAGIONE_SOCIALEle (peraltro, confermando che, anche in tale ipotesi, l’accordo del 30.11.2011, in quanto contratto collettivo RAGIONE_SOCIALEle, poteva legittimamente disporre la revoca del trattamento in questione; v. in extenso § 3.1. della sua sentenza).
E tali statuizioni non hanno formato oggetto di censure in questa sede di legittimità.
Nello sviluppo del primo motivo il ricorrente sottolinea che nella parte motiva della delibera dell’A.D. di RAGIONE_SOCIALE n. 15172/2011 si era parlato a proposito dell’attribuzione in questione di ‘diritto acquisito’.
7.1. Trattasi, però, di rilievo fattuale, che non può essere preso in considerazione in questa sede di legittimità, che, peraltro, non risulta trattato nell’impugnata sentenza e che non risulta dedotto che fosse compreso nei pur molteplici motivi d’appello esaminati dalla Corte territoriale.
7.2. Del resto, l’opinione giuridica che l’organo deliberante si fosse formata circa la natura dell’attribuzione in questione quale ‘diritto quesito’ non sarebbe ovviamente vincolante e, soprattutto, non toglie che la delibera del 2011, come le due precedenti, aveva natura di atto unilaterale della datrice di lavoro non produttiva di proprio obbligo e del correlativo diritto dell’attuale ricorrente.
Non è pertinente, ancora, da parte del ricorrente il richiamo al principio di irriducibilità della retribuzione.
Secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte (anche di recente confermata: cfr. nella motivazione Cass. n. 26320/2024), infatti, tale principio, dettato dall’art. 2103 c.c., implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto (cfr. ex plurimis Cass. n. 4055/2008; n. 19092/2017; n. 23205/2023).
8.1. Nel caso in esame, invece, il trattamento retributivo di cui si discute non rientrava nella retribuzione concordata al momento dell’assunzione (né dipendeva da successiva pattuizione tra le parti del rapporto, o da uso RAGIONE_SOCIALEle, oppure ancora da disposizione collettiva di qualsiasi livello).
Quanto, poi, alla questione dell’interpretazione delle norme dell’accordo del 30.11.2011 che il ricorrente pone già nell’ambito del primo motivo ed ex professo nel secondo, si osserva quanto segue.
9.1. La Corte distrettuale, nel respingere il quinto motivo d’appello, concernente appunto tale questione, ha ritenuto infondata la tesi dell’allora appellante che detto accordo ‘avrebbe contenuto un’affermazione programmatica che avrebbe potuto trovare attuazione solamente in occasione di eventuali aumenti tabellari, passaggi di categoria, scatti di anzianità, ecc.’.
Dopo aver riportato il tenore testuale dell’accordo in parte qua , ha considerato che: ‘Dal tenore delle suddette clausole
risulta, quindi, la chiara volontà delle parti sociali di procedere all’immediata eliminazione delle indennità e trattamenti non previsti dalla contrattazione collettiva, ciò nello spirito collaborativo di attuazione del Piano industriale 2011-2015 di RAGIONE_SOCIALE La previsione dell’assorbimento dei trattamenti individuali in sede di aumenti salariali è prevista solamente a titolo esemplificativo e, comunque, si presta ai trattamenti erogati mensilmente in misura fissa in busta paga, e non a quelli oggetto del presente giudizio calcolati trimestralmente in misura variabile sulla base di somme versate all’RAGIONE_SOCIALE dalle controparti, a seguito di apposito procedimento destinato sceverare le somme di competenza del datore di lavoro da quelle corrisposte ai legali. Per questi ultimi l’unico modo di agire, in esecuzione dell’accordo, è quello adottato da RAGIONE_SOCIALE, cioè l’eliminazione dell’attribuzione’.
9.2. Ritiene il Collegio che tale linea interpretativa dell’accordo del 30.11.2011 nella parte che qui rileva sia condivisibile, perché non offende alcuno dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e segg. c.c.
9.3. In particolare, in ossequio a quanto previsto anzitutto dall’art. 1362, comma primo, c.c. (a termini del quale: ‘Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole’), ma anche al canone dell’interpretazione complessiva delle clausole ex art. 1363 c.c., la Corte esattamente ha fatto riferimento allo ‘spirito collaborativo di attuazione del Piano industriale 20112015 di RAGIONE_SOCIALE‘.
Infatti, detto Piano Industriale è a più riprese menzionato nelle premesse dell’accordo stesso, ‘premesse e considerazioni’ che, a loro volta, a termini dell’art. 1 dell’accordo stesso
costituivano ‘parte integrante del presente accordo che costituisce un corpo normativo unico’. Ivi perciò le parti dell’accordo collettivo RAGIONE_SOCIALEle avevano esplicitato anche la natura ‘normativa’ di tale contratto.
9.4. Nota inoltre il Collegio che le specifiche previsioni da considerare si collocano nella lettera a) dell’art. 2 dell’accordo che, sotto la rubrica ‘Politiche Retributive’, disciplina la prima materia che le parti collettive avevano inteso ‘regolamentare’.
Ebbene, il primo alinea di tale lett. a) recita: .
Nei commi seguenti si legge: .
9.5. Osserva allora il Collegio che la clausola di cui al terzo comma, alla quale ha fatto capo la Corte di merito, è senz’altro riferibile all’emolumento di cui è causa che, per quanto sin qui detto, rientrava tra i ‘ trattamenti economici individuali non derivanti da contrattazione collettiva ‘, perché dipendeva da sempre (per la precisione, dal 1988) solo e soltanto da atti unilaterali ad personam adottati dalle datrici di lavoro nel tempo succedutesi (vale a dire, dalle più volte richiamate delibere dei loro organi di vertice).
9.6. A livello strettamente letterale, poi, sul rilievo del ricorrente circa il termine ‘obiettivo’, che lo stesso intende come ‘scopo’, ‘fine’ o ‘meta’ da raggiungere, prevalgono due notazioni: l’uso del verbo ‘concordano’ al modo indicativo presente, sig nificativo di un’attuale ed immediata condivisione delle parti collettive sul punto disciplinato, e l’adozione retorica, ma significativa del verbo ‘azzerare’ (tra virgolette già nel testo), che rende del tutto chiara l’intenzione delle parti di eliminare subito tal genere di trattamenti individuali. Tanto, peraltro, risponde evidentemente ai ‘principi di rigore,
trasparenza e coerenza’, premessi al primo alinea, perché proprio ‘trattamenti individuali non derivanti dalla contrattazione collettiva’ possono integrare privilegi o comunque condizioni di miglior favore poco ‘trasparenti’.
9.7. Quanto alla variazione lessicale tra la ‘ revoca ‘ di cui si parla a proposito dell’orario c.d. ‘fiduciario’ e il concordare sull’obiettivo di ‘azzerare’ i trattamenti economici individuali non derivanti da contrattazione collettiva, essa depone in senso esattamente opposto a quello perorato dal ricorrente.
Nel primo caso, infatti, rispetto a profili di matrice contrattual-collettiva aveva senso tecnico-giuridico che il contrarius actus fosse una revoca, parimenti di natura contrattuale collettiva.
Nel caso, invece, dei ‘ trattamenti economici individuali non derivanti da contrattazione collettiva’ non si potevano revocare atti che non avevano origine collettiva e/o natura contrattuale e obbligatoria.
9.8. Che la norma non rivestisse carattere meramente programmatico o obbligatorio (rispetto alle sole parti del contratto RAGIONE_SOCIALEle) è, poi, riprovato da una serie di ulteriori rilievi.
Le parti collettive , infatti, condivisero ‘l’opportunità di avviare un confronto tecnico’ solo in relazione al ‘riordino degli strumenti economici collettivi di secondo livello, anche di natura premiale’, ma il trattamento in questione non rientrava tra gli ‘strumenti economici collettivi di secondo livello’, non avendo matrice collettiva e contrattuale in assoluto.
Analogamente, nell’ultima clausola della lett. a) un ulteriore confronto delle parti era previsto solo per ‘il riconoscimento di elementi legati alla peculiarità della prestazione e/o di particolari meriti del dipendente’; il che, a sua volta, era coerente con l’intento di far sì che eventuali trattamenti individuali, subito azzerati se ‘non derivanti dalla contrattazione collettiva’, d’ora innanzi passassero dal filtro del confronto sindacale a livello RAGIONE_SOCIALEle.
Nulla del genere, invece, era pattuito per i ‘trattamenti economici individuali non derivanti da contrattazione collettiva ‘.
9.9. In ordine, poi, al quarto comma della lett. a), restano condivisibili le osservazioni della Corte territoriale, perché, da un lato, l’assorbimento ivi prefigurato era solo una delle modalità, che, a livello esemplificativo (ma non esaustivo), poteva essere adottata, e, dall’altro, la cadenza (trimestrale) della quantificazione del trattamento di cui è causa e la sua variabilità mal si prestavano alla tecnica dell’assorbimento (appropriata alle ‘classiche’ voci retributive indicate).
9.10. Il ricorrente si riferisce, altresì, alle ‘ Norme finali e transitorie’ nel punto in cui è scritto che: ‘ Le disposizioni contenute nei punti 2 e 3 lett. d) troveranno immediata applicazione, tuttavia il presente accordo avrà integrale decorrenza a valle del processo di assessment che dovrà terminare entro il mese di aprile 2012. Al termine del suddetto proces so l’Azienda fornirà relativa ed adeguata informativa alle Organizzazioni Sindacali ‘.
Ma non possono condividersi le conseguenze che il ricorrente vorrebbe desumere da tali previsioni collettive di diritto intertemporale.
Esse, infatti, a pag. 14 del testo dell’accordo, si collocano nella parte sub lett. c) dell’art. 2 dell’accordo circa i ‘Quadri di Posizione’ (lettera in cui sono presenti i punti 2 e 3 d) richiamati).
Del resto, il testo dell’accordo dopo quelle previsioni prosegue con altri ben 7 articoli (dal n. 3 al n. 10).
E le norme in tema di ‘Politiche Retributive’ sub lett. a) dell’art. 2 almeno quanto al comma secondo (sulla revoca dell’orario c.d. ‘fiduciario’) e quanto al terzo comma (circa l’azzeramento dei ‘trattamenti economici individuali non derivanti dalla contr attazione collettiva’) erano immediatamente efficaci ed autosufficienti.
In definitiva, la disciplina transitoria richiamata dal ricorrente non era riferibile all’intero accordo e comunque alle disposizioni collettive che qui rilevano.
9.11. Infondatamente, inoltre, il ricorrente opina violato l’art. 1362, secondo comma, c.c. perché sin dall’aprile 2011 l’RAGIONE_SOCIALE aveva cessato ogni versamento relativo a competenze ed onorari introitati, quindi anteriormente all’accordo del 30 novembre 2011.
Infatti, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo tenuto dalle parti anche successivo alla stipula è solo quello di cui siano stati partecipi entrambi i contraenti, non potendo la comune intenzione delle parti emergere dall’iniziativa unilaterale di una di esse, corrispondente ai suoi personali disegni (v. ex plurimis Cass. n. 25090/2020; n. 21244/2019).
A tacer d’altro, quindi, la mera cessazione di fatto dell’erogazione dall’aprile 2011, essendo riconducibile solo alla parte datoriale, al pari degli altri ‘comportamenti’ attribuiti dal ricorrente alla controparte, pure successivi all’accordo (v. pagg. 19-22 del ricorso), non può assumere il rilievo esegetico sostenuto dal ricorrente, tanto più che le parti dell’accordo collettivo RAGIONE_SOCIALEle concordarono, pochi mesi dopo quella cessazione, proprio nel senso dell’eliminazione del trattamento di cui è causa.
9.12. Alla stregua di tutti i superiori rilievi neanche può trovare spazio di applicazione al caso il principio di ‘conservazione del contratto’ ex art. 1367 c.c.
Invero, già il concorrente uso dei principali criteri ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. conduce a ritenere incensurabile la conclusione già tratta dalla Corte territoriale nel senso che la volontà delle parti sociali era di procedere al l’immediata eliminazione di trattamenti non previsti dalla contrattazione collettiva, come quello che ci occupa, sicché altrettanto correttamente la stessa Corte ha concluso che alla datrice di lavoro non restava che, in esecuzione dell’accordo, eliminare l’attribuzione, peraltro già cessata di fatto in precedenza.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev ‘ essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 17.12.2024.
Il Presidente
NOME COGNOME