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Retribuzione avvocati in house: stop da accordo

La Corte di Cassazione ha stabilito che la retribuzione degli avvocati in house, se derivante da atti unilaterali del datore di lavoro e non dal contratto individuale, può essere legittimamente modificata o soppressa da un accordo collettivo aziendale. Il caso riguardava un legale dipendente di una società di trasporti che si era visto interrompere il versamento del controvalore degli onorari professionali a seguito di un nuovo accordo sindacale. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che tali emolumenti non godevano della tutela del principio di irriducibilità della retribuzione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Retribuzione Avvocati in House: Quando un Accordo Collettivo Può Modificare il Compenso?

La questione della retribuzione degli avvocati in house è spesso al centro di dibattiti complessi, specialmente quando si intersecano pattuizioni individuali, prassi aziendali e contrattazione collettiva. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su un punto specifico: un accordo collettivo aziendale può legittimamente sopprimere un trattamento economico non previsto dal contratto individuale ma erogato per anni in base a decisioni unilaterali del datore di lavoro? La risposta della Suprema Corte è affermativa e merita un’analisi approfondita.

I Fatti: Una Lunga Storia di Emolumenti e Trasformazioni Societarie

Il caso nasce dal ricorso di un avvocato dipendente di una grande società di trasporto pubblico. Per decenni, a partire da una delibera del 1988 della società originaria, ai legali interni era stato riconosciuto il diritto a percepire il controvalore degli onorari e delle competenze versate dalle controparti soccombenti in giudizio. Questo trattamento era proseguito anche attraverso una serie di trasformazioni societarie, fusioni e incorporazioni, venendo confermato da successivi provvedimenti degli amministratori.

Nel 2011, tuttavia, l’azienda, a seguito della stipula di un nuovo accordo collettivo aziendale volto a razionalizzare i costi e ad “azzerare” i trattamenti economici individuali non derivanti dalla contrattazione collettiva, ha cessato di corrispondere tali somme. I legali hanno quindi agito in giudizio per ottenere il pagamento degli importi non percepiti, sostenendo che tale emolumento fosse ormai parte integrante del loro contratto individuale o, in subordine, costituisse un uso aziendale consolidato.

La Decisione della Corte: La Prevalenza dell’Accordo Collettivo

La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha rigettato il ricorso dell’avvocato. I giudici hanno stabilito che il trattamento economico in questione non era mai entrato a far parte del contratto individuale di lavoro, né poteva qualificarsi come un uso aziendale. La sua fonte era da rinvenirsi esclusivamente in una serie di atti unilaterali del datore di lavoro.

Di conseguenza, la Corte ha concluso che un contratto collettivo aziendale successivo poteva legittimamente intervenire per modificare in pejus (cioè in senso peggiorativo) tale trattamento, fino a disporne la completa eliminazione. La decisione si fonda su una distinzione netta tra le fonti che regolano il rapporto di lavoro e la loro diversa forza vincolante.

Le Motivazioni: Analisi della Natura del Trattamento Economico

La Distinzione Cruciale: Atto Unilaterale vs. Contratto Individuale

Il cuore della motivazione risiede nella natura giuridica dell’emolumento. La Corte ha evidenziato che le delibere aziendali che avevano introdotto e confermato il pagamento degli onorari non erano il risultato di una pattuizione con i singoli avvocati. Non si trattava di un’accettazione di una loro proposta, ma di una decisione autonoma e unilaterale dell’organo amministrativo. Tale attribuzione economica, pertanto, non si era mai inserita nel sinallagma del contratto individuale di lavoro. Allo stesso modo, è stata esclusa la configurabilità di un uso aziendale, poiché l’erogazione era sempre dipesa da specifiche delibere formali.

L’Interpretazione dell’Accordo Collettivo e la retribuzione degli avvocati in house

La Corte ha poi analizzato il testo dell’accordo collettivo del 2011, che esprimeva la “chiara volontà delle parti sociali di procedere all’immediata eliminazione delle indennità e trattamenti non previsti dalla contrattazione collettiva”. L’obiettivo era quello di “azzerare” i trattamenti economici individuali non derivanti da fonti collettive, nell’ambito di un più ampio piano di risanamento e trasparenza retributiva. Poiché l’emolumento rivendicato rientrava pienamente in questa categoria, la sua soppressione da parte dell’azienda è stata ritenuta una corretta esecuzione dell’accordo sindacale.

L’Inapplicabilità del Principio di Irriducibilità della Retribuzione

Infine, la Cassazione ha chiarito perché in questo caso non fosse applicabile il principio di irriducibilità della retribuzione sancito dall’art. 2103 c.c. Tale principio tutela la retribuzione concordata al momento dell’assunzione o pattuita successivamente a livello individuale. Non si estende, invece, a quegli elementi retributivi che, come nel caso di specie, derivano da fonti diverse, quali atti unilaterali e discrezionali del datore di lavoro, che possono essere legittimamente revocati o modificati, specialmente attraverso lo strumento della contrattazione collettiva.

Le Conclusioni: Implicazioni per i Legali d’Azienda

Questa ordinanza offre un’importante lezione sulla gerarchia delle fonti nel rapporto di lavoro subordinato. Sottolinea che non tutti i benefici economici erogati con continuità dal datore di lavoro acquisiscono la stessa stabilità e tutela. I trattamenti che non sono cristallizzati nel contratto individuale o che non discendono da un consolidato uso aziendale sono vulnerabili a modifiche, anche peggiorative, operate dalla contrattazione collettiva. Per gli avvocati in house, ciò significa che la sicurezza e la stabilità della propria retribuzione dipendono in modo cruciale dalla fonte giuridica di ogni sua componente, con una netta prevalenza delle pattuizioni individuali e collettive sugli atti unilaterali dell’azienda.

Un’azienda può ridurre un elemento della retribuzione erogato per anni?
Sì, può farlo se tale elemento non deriva dal contratto individuale di lavoro o da un uso aziendale, ma da un atto unilaterale del datore di lavoro. In questo caso, un successivo accordo collettivo aziendale può legittimamente modificarlo o sopprimerlo.

Il principio di irriducibilità della retribuzione è sempre valido?
No. Secondo la Corte, tale principio, stabilito dall’art. 2103 c.c., protegge la retribuzione concordata nel contratto individuale. Non si applica agli emolumenti che hanno origine da fonti diverse, come le delibere unilaterali dell’azienda, che non sono entrate a far parte del contratto.

Qual è la differenza tra un atto unilaterale del datore di lavoro e un uso aziendale?
Un atto unilaterale è una decisione formale e discrezionale presa dagli organi aziendali (es. una delibera). Un uso aziendale, invece, è una prassi costante e generalizzata che, pur non essendo formalizzata, viene percepita come un obbligo dal datore di lavoro e genera un diritto per i dipendenti. La Corte ha ritenuto che nel caso specifico si trattasse di atti unilaterali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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