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Retratto agrario: quando il fondo non è agricolo?

Un coltivatore diretto si vede negare il diritto di retratto agrario su un fondo confinante. La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito, stabilendo che un’elevata potenzialità edificatoria, anche se in ‘zona agricola’, può escludere la natura agricola del terreno. Il ricorso viene dichiarato inammissibile perché mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Retratto agrario: quando la destinazione urbanistica esclude il diritto

Il diritto di prelazione e il conseguente retratto agrario sono strumenti fondamentali per favorire l’accorpamento dei fondi agricoli e la continuità dell’impresa coltivatrice. Tuttavia, la loro applicazione non è automatica e dipende strettamente dalla natura del terreno oggetto di compravendita. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: un fondo, pur se classificato come ‘agricolo’ dagli strumenti urbanistici, può perdere tale caratteristica ai fini del retratto se possiede una concreta e significativa vocazione edilizia.

I fatti del caso

Un coltivatore diretto, comproprietario di un fondo rustico coltivato da oltre vent’anni, veniva a sapere che i proprietari di alcuni terreni confinanti li avevano venduti a terzi senza prima notificargli la proposta di vendita, violando così il suo diritto di prelazione. Di conseguenza, il coltivatore agiva in giudizio per esercitare il diritto di retratto agrario, ossia per riscattare i fondi acquistandoli allo stesso prezzo pagato dai compratori.

Inizialmente il Tribunale accoglieva la sua domanda. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, respingendo la richiesta del coltivatore sulla base di un’unica, decisiva valutazione: il fondo compravenduto non aveva natura agricola, bensì una vocazione edificatoria che lo sottraeva alla disciplina del retratto.

I motivi del ricorso e il concetto di retratto agrario

Il coltivatore presentava ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su due motivi principali.

Il primo motivo contestava la valutazione della Corte d’Appello, sostenendo una violazione delle leggi sul retratto agrario. Secondo il ricorrente, il terreno era inequivocabilmente agricolo, come dimostrato da:
– La classificazione come ‘area agricola’ negli strumenti urbanistici del Comune.
– Un indice di fabbricabilità molto basso (0,03 mc/mq), tipico delle zone agricole.
– Un diniego di permesso a costruire precedentemente emesso dal Comune e confermato dal TAR.
– Le conclusioni di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) che riconoscevano al fondo ‘indiscutibili vocazioni agrarie’.

Il secondo motivo, presentato in via subordinata, criticava la pesante condanna alle spese legali, sostenendo che si sarebbe dovuta disporre una compensazione per la reciproca soccombenza (anche la domanda riconvenzionale degli acquirenti era stata respinta) e per l’oggettiva complessità della questione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello e condannando il coltivatore a rifondere le spese legali.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fornito motivazioni distinte per ciascuno dei due motivi di ricorso.

Inammissibilità del primo motivo: non si possono rivalutare i fatti in Cassazione

La Corte ha dichiarato il primo motivo inammissibile per una ragione prettamente processuale. Il ricorrente, pur lamentando una ‘violazione di legge’, in realtà non criticava un’errata interpretazione di una norma, ma contestava la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello. Egli sosteneva che il giudice di secondo grado avesse concluso per la natura non agricola del fondo ‘in assenza del benché minimo elemento istruttorio’.

Questa, secondo la Cassazione, è una censura che attiene al merito della decisione e alla valutazione delle prove, un’attività che è preclusa al giudice di legittimità. La Corte Suprema non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono riesaminare le prove e i fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. Il ricorso, invece, si risolveva in un ‘tentativo di mera rivisitazione del giudizio di fatto’, chiedendo alla Cassazione un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, compito che non le spetta.

Infondatezza del secondo motivo: la discrezionalità del giudice sulle spese

Anche il secondo motivo, relativo alle spese di lite, è stato respinto. La Corte ha ribadito il suo orientamento costante secondo cui la regolamentazione delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Quest’ultimo non è tenuto a motivare specificamente perché non abbia disposto la compensazione delle spese, anche in presenza di una soccombenza reciproca. La sua decisione può essere censurata in Cassazione solo in caso di una motivazione completamente assente o manifestamente illogica, circostanza non verificatasi nel caso di specie.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche.

In primo luogo, ribadisce che la qualificazione di un terreno come ‘agricolo’ ai fini del retratto agrario non dipende solo dal nome formale attribuito dagli strumenti urbanistici (‘nomen iuris’). Ciò che conta è la destinazione effettiva e la sua potenziale vocazione economica. Un’edificabilità superiore a quella funzionale alle sole esigenze dell’agricoltura può essere sufficiente a escludere il diritto di prelazione e retratto, poiché segnala un interesse economico (speculativo-edilizio) prevalente su quello agricolo.

In secondo luogo, sottolinea la rigorosità dei requisiti per adire la Corte di Cassazione. Non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione delle prove fatta dal giudice d’appello. È necessario dimostrare che il giudice ha commesso un errore nell’interpretare o applicare una norma di legge, mantenendo una netta distinzione tra la critica sulla ‘questione di fatto’ e quella sulla ‘questione di diritto’.

Un terreno classificato come ‘zona agricola’ nel piano regolatore dà sempre diritto al retratto agrario?
No, la classificazione formale non è sufficiente. Secondo la Corte, se il terreno ha una potenzialità edificatoria concreta e superiore a quella considerata normale per le zone agricole, può perdere la sua natura agricola ai fini del retratto, anche se formalmente inserito in ‘zona agricola’.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove compiuta dal giudice d’appello?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o le prove del caso. Il ricorso è ammissibile solo se si denuncia un errore del giudice nell’interpretazione o applicazione di una norma di legge (violazione di legge), non un presunto errore nella valutazione del materiale probatorio.

La condanna al pagamento di tutte le spese legali può essere contestata se anche la controparte ha perso su una sua domanda (soccombenza reciproca)?
Generalmente no. La decisione su come ripartire o compensare le spese legali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questa scelta non può essere censurata in Cassazione per il semplice fatto che il giudice non ha optato per la compensazione, ma solo in caso di una motivazione completamente assente o illogica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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