Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8210 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8210 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26313-2020 proposto da:
NOME, domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, MONTALDO INDIRIZZO, domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore , rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonché contro
Oggetto
PROPRIETÀ
Retratto agrario
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/10/2023
Adunanza camerale
COGNOME NOME, COGNOME NOME, in proprio e in qualità di eredi di NOME COGNOME, domiciliate presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentate e difese da ll’ AVV_NOTAIO;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 660/2019 della Corte d’appello di Genova, depositata il 10/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/10/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 660/19, del 10 maggio 2019, della Corte d’appello di Genova, che in parziale accoglimento del gravame esperito da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza n. 3037/15, del 23 ottobre 2015, del Tribunale di Genova -ha respinto, in riforma della pronuncia del primo giudice, la domanda di retratto agrario del COGNOME, confermando, invece, il rigetto della riconvenzionale già proposta dagli allora appellanti.
Riferisce, in punto di fatto, il COGNOME di essere comproprietario di un fondo rustico sito in Sant’Olcese, dal medesimo coltivato, da oltre vent’anni, ad uso vigneto, orto e frutteto, più un piccolo allevamento di pollame ed ovini. Avendo appreso che i proprietari del fondo confinante –NOME COGNOME e NOME COGNOME -avevano venduto, ai predetti COGNOME e COGNOME, alcuni mappali finitimi al suo terreno, senza però effettuare la ‘ denuntiatio ‘ nei suoi confronti (per consentirgli l’esercizio del diritto di prelazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 e dell’art. 8 della
legge 26 maggio 1965, n. 590) , l’odierno ricorrente adiva l’autorità giudiziaria, affinché fosse riconosciuto il suo diritto di retratto.
Costituitisi in giudizio, il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE -oltre a contestare la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per l’accoglimento della pretesa attorea -chiedevano, in via riconvenzionale, il risarcimento di tutti ‘i danni a vario titolo subiti e subendi in conseguenza della proposizione della domanda’ avversaria, nonché, in via subordinata, il rimborso delle spese asseritamente sostenute.
Accolta, in prime cure, la domanda principale, respinta invece la riconvenzionale, su gravame del COGNOME e della COGNOME (al quale si limitavano ad aderire NOME COGNOME e NOME COGNOME), il giudice di appello escludeva la sussistenza delle condizi oni per l’esercizio del diritto di retratto, esito raggiunto ‘solo sulla base’ sottolinea il ricorrente -‘dell’affermata natura non agricola del fondo oggetto di giudizio’.
Avverso la sentenza della Corte genovese ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, svolgendo -come detto -due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione delle normative di cui alla legge 26 maggio 1965, n. 590, specie in riferimento all’art. 8, e alla legge 14 agosto 1971, n. 817, specie in riferimento all’art. 7, o ltre che della normativa di cui al decreto ministeriale del 2 aprile 1968, n. 1444, con particolare riferimento agli artt. 2 e 7.
È lamentata, altresì, violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di pianificazione urbanistica vigenti ‘ pro tempore ‘ nel territorio del Comune di Sant’Olcese, con particolare riferimento
agli artt. 8, 13 e 15 delle norme tecniche di attuazione e agli artt. 3 e 10 delle norme di disciplina paesistica, oltre che dell’art. 2697 cod. civ.
Assume il ricorrente che alla stregua della disciplina normativa testé richiamata -e in conformità con gli indirizzi interpretativi espressi da questa Corte in ordine, in particolare, alla portata degli artt. 8 della legge n. 590 del 1965 e 7 della legge n. 817 del 1971 -debbono ritenersi esclusi dalla prelazione agraria solo i terreni la cui destinazione sia da considerare urbana, in contrapposizione a quella agricola, atteso che, una volta assegnata ad una certa zona un’edificabilità maggiore di quella considerata normale per le zone agricole e non vincolata alle esigenze dell’agricoltura, si è per ciò stesso in presenza di una zona sottratta al retratto in favore dei coltivatori diretti.
In contrasto, dunque, con le disposizioni sopra richiamate, e con l’interpretazione che di quelle legislative -è accolta dalla giurisprudenza di legittimità, si porrebbe la sentenza impugnata, in ragione delle circostanze, tutte incontestate, emerse all ‘esito dell’istruttoria.
Richiama il ricorrente -innanzitutto -il contenuto degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Sant’Olcese, visto che essi qualificano, espressamente e ripetutamente, entrambe le zone in cui è ubicato il fondo oggetto di causa come ‘aree agricole’. Essi, inoltre, quanto in particolare alla zona CE, non solo impongono, quale indice di fabbricabilità fondiario, il parametro ‘if ꞊ 0,03 mc/mq’ (ossia, proprio quello prescritto dall’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968 per le ‘zone territoriali omogenee desi nate ad usi agricoli’), ma prevedono pure ulteriori pesanti limitazioni per poter fruire di tale indice, già di per sé tipico di zona destinata ad uso agricolo.
Ulteriori elementi istruttori, che confermerebbero -evidenzia il ricorrente -la natura agricola del fondo oggetto di compravendita, sono costituiti:
-dal provvedimento di diniego, emesso dal Comune di Sant’Olcese, del permesso a costruire sul fondo ‘ de quo ‘;
-dalla sentenza con cui il TAR per la Liguria ha confermato la legittimità di detto provvedimento;
-dalla CTU espletata in corso di causa, secondo cui ‘i terreni oggetto di prelazione possiedono indiscutibilmente «vocazioni agrarie»’;
-dalle risultanze emerse a seguito delle informazioni fornite dal predetto Comune, all’esito dell’incombente ex art. 213 cod. proc. civ.
Ciò premesso, nonché rammentato il principio secondo cui la prova che il fondo rustico sia destinato ad utilizzazione edilizia è a carico del convenuto nel giudizio di retratto, costituendo fatto impeditivo del diritto fatto valere in giudizio, il ricorrente evidenzia come dagli atti di causa non fosse emerso ‘il benché minimo elemento istruttorio in grado di avallare lontanamente’ la conclusione raggiunta dalla Corte territoriale.
Erronee risulterebbero, inoltre, talune affermazioni da essa compiute, non rilevando affatto che per le zone EPB sia previsto un indice di fabbricabilità fondiario minore di quello della zona CE, visto che la sola circostanza rilevante è la sussistenza di una ‘edificabilità maggiore di quella considerata normale per le zone agricole’, nella specie, come detto, da escludersi, visto che per la zona CE è previsto un ‘if ꞊ 0,03 mc/mq’.
3.2. Il secondo motivo, proposto in via subordinata, denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, comma 1, 92, comma 2, e
112 cod. proc. civ., e del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Si censura la sentenza impugnata per aver posto interamente a carico dell’appellata e nella misura, definita dal ricorrente ‘solenne’, di ben € 70.000,00 le spese di lite. In particolare, si addebita alla Corte genovese di non aver tenuto conto sia della reciproca soccombenza delle parti, stante la confermata reiezione della domanda riconvenzionale, riproposta dagli appellanti e specificamente rigettata dal giudice di seconde cure, sia della situazione di oggettiva incertezza e complessità delle questioni trattate (confermata dagli esiti diametralmente opposti dei due gradi del giudizio), da apprezzare alla stregua di giusto motivo di compensazione, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 77 del 2018.
Si duole, infine, il ricorrente dell’erronea quantificazione delle spese in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, essendosi costoro limitati ad aderire al gravame del COGNOME e della COGNOME.
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con due distinti controricorsi, da un lato il COGNOME e la COGNOME, dall’altro il COGNOME e la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di memoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso va rigettato.
8.1. Il primo motivo risulta, sotto più aspetti, inammissibile.
8.1.1. Esso, in primo luogo, omette di indicare le affermazioni della sentenza impugnata che intende sottoporre a critica, omissione tanto più censurabile ove si consideri che la motivazione presente nella sentenza impugnata si articola dalla pag. 14 alla pag. 20, trovando svolgimento in una serie di argomenti, sviluppati anche attraverso richiami alla giurisprudenza di questa Corte. L ‘illustrazione del motivo, però, manca di discutere questi ultimi, nonché il tessuto argomentativo della Corte territoriale, così risolvendosi in una sorta di inammissibile a delega, a questo giudice di legittimità, a stabilire se le considerazioni svolte in ricorso possano, in qualche modo, correlarsi in senso critico alla motivazione contestata.
Inoltre, il presente motivo manca di effettuare il necessario confronto tra le norme che si assumono violate (o meglio, tra il contenuto precettivo dei loro enunciati) e le parti della sentenza impugnata che si assumono in contrasto con esse, risultando, così, privo di specificità.
Difatti, ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura’, non solo ‘di indic are le norme di legge di cui intende lamentare la violazione’, ma anche ‘di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi
demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).
D’altra parte, e conclusivamente, il motivo si risolve in un tentativo di mera rivisitazione del giudizio di fatto, dato che i ricorrenti, in definitiva, lamentano che la Corte genovese avrebbe qualificato il fondo oggetto di compravendita come non agricolo, in assenza del ‘benché minimo elemento istruttorio in grado di avallare lontanamente’ tale conclusione.
Si tratta, dunque, di censura inammissibile, non prospettando un vizio riconducibile a quello di violazione di legge, se è vero che esso ‘consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 65254902). Ne consegue, quindi, che il ‘discrimine tra l ‘ ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa’ (così, in motivaz ione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442). Evenienza,
quest’ultima, che ricorre nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, dichiaratamente, un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie.
8.2. Il secondo motivo non è fondato.
8.2.1. Difatti, in tema di spese processuali, questa Corte ha ripetutamente affermato che ‘ la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l ‘ eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione ‘ ( Cass. Sez. 6-3, ord. 26 aprile 2019, n. 11329, Rv. 653610-01; Cass. Sez. Un., sent. 15 luglio 2005, n. 14989, Rv. 582306-01), principio che trova applicazione anche in caso di compensazione disposta per soccombenza reciproca (Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613, Rv. 645187-01).
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché a NOME COGNOME e NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate -per i primi, come per le seconde -in complessivi € 3.0 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della