Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16182 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16182 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27729/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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ricorrente – contro
NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOMECOGNOME domiciliato all’indirizzo Pece del difensore.
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contro
ricorrenti – nonché
contro
COGNOME, COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME domiciliati all’indirizzo Pec del difensore.
–
contro
ricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di COGNOME
n. 532/2020 depositata il 24/09/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
Palazzo Felice, COGNOME, Palazzo Gaetano e Palazzo Salvatore impugnavano la sentenza del 26 giugno 2013 con cui il Tribunale di Enna -provvedendo su un giudizio introdotto nel 1997 -aveva accolto la domanda di retratto agrario contro di loro intentata da COGNOME NOME, affermando ‘la sostituzione ex tunc del retraente COGNOME nella posizione giuridica degli acquirenti della nuda proprietà, Palazzo Gaetano e Palazzo Salvatore, e dell’usufrutto, Palazzo Felice e COGNOME, in seno al contratto di compravendita tra questi ultimi ed i venditori COGNOME NOME e NOMECOGNOME
Si costituivano, resistendo, i coniugi COGNOME NOME e NOME NOME; si costituivano, altresì, i venditori COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo la riforma della gravata sentenza nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto di prelazione in capo a COGNOME NOME.
1.2. Con sentenza n. 532 del 24 settembre 2020 la Corte d’Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di riscatto agrario avanzata da COGNOME NOME e NOME NOME nei confronti di INDIRIZZO, COGNOME Vita, INDIRIZZO e INDIRIZZO.
In particolare, la corte di merito rilevava: a) che in tema di retratto agrario, al fine di dimostrare la mancata vendita di terreni agricoli nel biennio precedente, è priva di qualsiasi efficacia probatoria la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà; b) che la circostanza della mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente è stata oggetto di indagine da parte del c.t.u. nominato dal giudice di primo grado, che ‘nel conferirgli l’incarico, ha debordato da quelle che erano le richieste avanzate dalla parte attrice con la memoria depositata il 15/12/1999 ai sensi dell’art 184 c.p.c. nel testo allora vigente’ (v. p. 10 sentenza); c) che, in ultima analisi, il retraente non aveva pertanto assolto all’onere della prova di ‘una condizione essenziale ai fini dell’accoglimento della domanda di riscatto: la mancata alienazione di fondi rustici nel biennio precedente alla vendita’ (v. p. 11 sentenza), evidenziando che a tal fine non era certo sufficiente la produzione in giudizio della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e che, per altro verso, sebbene la circostanza fosse stata oggetto di consulenza tecnica disposta in prime cure, in tal modo il primo giudice non l’aveva tenuta in considerazione ed avrebbe ‘ha debordato da quelle che erano le richieste avanzate dalla parte attrice’ con la propria memoria ex art. 184 cod. proc. civ. nel testo allora vigente.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e NOME proponevano ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resistevano con controricorso INDIRIZZO, COGNOME Vita, INDIRIZZO e INDIRIZZO, mentre rimanevano intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME
La trattazione del ricorso veniva fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ. per il giorno 20 novembre 2023.
Il Pubblico Ministero non depositava conclusioni.
I ricorrenti depositavano memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 7125 del 2024, la Corte, rilevata la mancanza di prova della notificazione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME nei cui confronti sussiste litisconsorzio necessario processuale, ordinava la rinnovazione della notificazione nei loro confronti, che veniva eseguita.
NOME e NOME COGNOME si sono costituiti, resistendo, con controricorso.
Ne è seguita la fissazione dell’odierna nuova trattazione, rispetto alla quale il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni, né le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 5, legge 590/1965, dell’art. 7 legge 817/1971 e dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 101, 115, 116, 167 e 194 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4 cod. proc. civ. Nullità della sentenza per violazione delle norme processuali sulla prova’.
Lamentano che, erroneamente, la corte di merito non ha ritenuto sufficiente, ai fini della prova della mancata vendita di fondi nel biennio precedente, la produzione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Deducono che il COGNOME aveva prodotto documentazione – la dichiarazione sostitutiva di notorietà – che la Suprema Corte di Cassazione, con innumerevoli pronunce, aveva invece sempre ritenuto essere idonea ad attestare la mancata vendita di terreni nei due anni precedenti, ed aveva altresì provato, a mezzo testi, di avere sempre coltivato tutti i propri terreni e dunque di non averli venduti.
1.1. Il motivo è inammissibile, per le seguenti ragioni.
In primo luogo, ex art. 360bis n. 1 cod. proc. civ., perché sostiene l’efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in contrasto con l’opposto consolidato
orientamento di questa Suprema Corte, senza che dal ricorso emergano elementi tali da determinarne il mutamento.
Premesso infatti che ‘In tema di prelazione agraria, la mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente costituisce condizione per l’insorgenza del diritto di prelazione e di riscatto in capo al coltivatore diretto proprietario del fondo confinante, sicché chi esercita il relativo diritto, salvo espresso riconoscimento della controparte, deve dimostrarne la sussistenza, senza che la prova sia territorialmente delimitata e senza che rilevi il carattere di fatto negativo della stessa, il quale comporta solo la necessità di allegare fatti positivi contrari, la cui acquisizione può avvenire anche con testi e presunzioni, ivi compresi i certificati rilasciati dalla Conservatoria dei Registri Immobiliari e le visure richieste agli uffici territoriali della Agenzia delle Entrate’ (v. Cass., 11/10/2023, n. 28415; Cass., 24/10/2008, n. 25742), è, per altro verso, orientamento costante di questa Corte, cui si intende qui dare continuità, quello secondo cui in materia di prova civile, ‘La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prevista dall’art. 4 della legge n. 15/68 ha attitudine certificativa e probatoria fino a contraria risultanza nei confronti della P.A. ed in determinate attività o procedure amministrative; ma, in difetto di diversa, specifica, previsione di legge, nessun valore probatorio, neanche indiziario, può essere ad essa attribuito nel giudizio civile caratterizzato dal principio dell’onere della prova, atteso che la parte non può derivare elementi di prova a proprio favore, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 cod. civ., da proprie dichiarazioni’ (v. Cass., 16/05/2001, n. 6742, proprio in tema di prova della mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente per un importo superiore a lire mille ai fini dell’insorgenza del diritto di prelazione agraria; Cass., 07/04/2004, n. 7299; Cass., 22/06/2007, n. 14590).
1.2. In secondo luogo, l’evocazione dell’art. 115 cod. proc. civ. sotto il profilo della mancanza di contestazione specifica, risulta inammissibile per la mancanza di individuazione dell’atteggiamento di mancata contestazione ed anche dei fatti specifici che ne sarebbero stati oggetto, di talché il ricorrente incorre in manifesta violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ.
Con riferimento a quest’ultima norma o ccorre infatti ribadire (v. già anche Cass., 12/01/2024, n. 1352) che la prescrizione da essa dettata , risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 20/02/2003, n. 2602). La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata -in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 -con legge 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955). Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che il requisito di contenuto-forma in questione è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte e segnatamente all’esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti» (Cass. Sez. U. 10/09/2019, n. 22575; Id. 16/05/2013, n. 11826).
Mette conto, altresì, ancora una volta rammentare che la Corte europea, con la sua sentenza 15 settembre 2016, in causa RAGIONE_SOCIALE c/ Italia (i cui principi sono stati ribaditi nella recente sentenza, depositata il 31 marzo 2021, nel caso COGNOME c. Russia), ha riaffermato -perfino riconoscendo l’astratta ammissibilità del pure abrogato sistema del c.d. «filtro a quesiti» per l’accesso in cassazione -il basilare principio della piena legittimità di un sistema anche rigoroso di requisiti formali per l’accesso al giudizio di legittimità e per la redazione dei ricorsi introduttivi: il quale non solo non viola l’art. 6 CEDU, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benché non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; solo dovendo la compresente esigenza di tutela del diritto del singolo trovare un contemperamento, così che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati (così, in motivazione, Cass. n. 26936 del 2016).
1.2.1. A tale contesto ermeneutico di riferimento non apporta significative novità la pronuncia della Corte Edu 28/10/2021, RAGIONE_SOCIALE: questa richiama anzi espressamente, confermandone i principi, tra le altre, la propria sentenza 15/09/2016, RAGIONE_SOCIALE
Essa ha bensì riscontrato la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione con riferimento ad uno dei tre casi al suo esame (nel quale venivano in rilievo i diversi requisiti di ammissibilità di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 366 cod. proc. civ.), ma ciò ha fatto considerando, all’esito di un esame in punto di fatto degli atti ivi considerati, non certo che quei requisiti rispondessero di per sé e in astratto a inammissibile formalismo fine a sé stesso ma che nel caso in esame, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte
di Cassazione, fossero stati in realtà rispettati (e, peraltro, lo si nota sommessamente, vi sarebbe da interrogarsi sul se la censura effettuata dalla CEDU non fosse in realtà prospettabile con il rimedio interno dell’art. 391 -bis cod. proc. civ.). Quel che dunque è stata in quella sede censurata è la concreta applicazione delle formalità previste dall’ordinamento nazionale, che occorre osservare all’atto della proposizione del ricorso, in quanto nel caso esaminato ritenuta (l’applicazione, non le formalità) in contrasto con il diritto di accesso ad un tribunale perché di fatto ispirata ad eccessivo formalismo e tale, dunque, da impedire il pur possibile esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato.
1.3. Infine, anche là dove lamenta che la corte di merito non ha considerato le risultanze della prova testimoniale, il ricorrente nuovamente incorre in patente violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., dato che non dice se, dove e quando abbia argomentato sulla base di queste risultanze probatorie, tenuto conto che della prova testimoniale, per come invocata nel motivo, l’impugnata sentenza non fa menzione alcuna.
Come questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare, ‘Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la
sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.’ (tra le tante, v. di recente Cass., 22 aprile 2022, n. 12910).
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, legge n. 590 del 1965 e 7 legge n. 817 del 1971 e degli artt. 315, 116 e 157 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ. per essersi la Corte d’appello di Caltanissetta: a) astenuta dal vagliare gli atti istruttori di causa ed omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio (la CTU comunque acquisita agli atti e le altre risultanze istruttorie); b) violazione falsa applicazione dell’art. 157 cod. proc. civ., avendo dichiarato la nullità della CTU in atti; c) omesso esame della prova testi relativa alla continuata coltivazione dei suoi terreni e della mancata vendita di terreni, risultando così la pronuncia impugnata incoerente ed incompatibile con la piattaforma documentale, certificativa e presuntiva acquisita in corso di giudizio’.
2.1. Il motivo è fondato e va accolto.
Dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte di merito ha espressamente affermato che l’avere il primo giudice disposto la c.t.u. oltre le richieste della parte integrava una ‘nullità assoluta’ rilevabile ex officio dal giudice.
Ma una siffatta affermazione è priva di pregio, oltre che generica, quando dice che il giudice avrebbe debordato dalla richiesta di cui alla memoria di cui all’art. 184 cod. proc. civ. vigente ratione temporis .
Anche a voler condividere l’assunto per cui il giudice di primo grado, nel disporre la c.t.u., sia andato oltre i limiti del suo
potere officioso, va ricordato il principio di diritto costantemente posto da questa Suprema Corte, secondo cui, di fronte alla formulazione di un quesito al c.t.u. su cui non è d’accordo, la parte deve eccepire la nullità in via immediata.
Premesso infatti che ‘In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio’ (v. Cass., Sez. Un., 01/02/2022, n. 3086), questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che l’accertamento svolto dal c.t.u. che debordi dai predetti limiti costituisce violazione del contraddittorio delle parti ed è fonte di nullità relativa, rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso (v. Cass., Sez. Un., 01/02/2022, n. 3086).
Pertanto, nel caso di specie, l’ ipotetica indebita estensione del quesito peritale al fatto, principale, della mancata alienazione dei fondi rustici nel biennio precedente, avrebbe dovuto essere contestata dalla parte interessata nella sua prima difesa successiva (v. anche Cass., Sez. Un., n. 5624 del 2022: ‘Le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano
all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio’).
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ. sull’onere delle spese di giudizio’.
Richiedono ‘in conseguenza dell’auspicato accoglimento del presente ricorso’ che tutte le spese processuali vengano poste a carico solidale delle controparti COGNOME
3.1. Il terzo motivo va assorbito, in disparte il pur non marginale rilievo per cui postula la caducazione della statuizione sulle spese come conseguenza dell’auspicato accoglimento dei motivi precedenti e si risolve pertanto in un inammissibile ‘non motivo’. L’effetto postulato sarebbe stato garantito dal primo comma dell’art. 336 c.p.c.
In conclusione, il primo motivo è inammissibile, il secondo va accolto, il terzo resta assorbito.
L’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in altra sezione e comunque in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in altra sezione e comunque in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il giorno 11 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME