Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3010 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3010  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 16566/22 proposto da:
-) NOME ,  domiciliato ex  lege all’indirizzo  PEC  del  proprio difensore, difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) RAGIONE_SOCIALE ,  in  persona  del  legale  rappresentante pro tempore ,  domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore ,  difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nonché
-) RAGIONE_SOCIALE; NOME; NOME;
– intimati – avverso la  sentenza  della  Corte  d’appello  di Venezia  11  maggio  2022  n. 1049;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 dicembre 2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
 NOME  COGNOME  nel  2006  stipulò  con  la  società  RAGIONE_SOCIALE ( olim , RAGIONE_SOCIALE) un  contratto di assicurazione multirischio. Oggetto  di  copertura  erano  i  danni  da  incendio  di  un  immobile  e  la responsabilità civile derivante dalla proprietà del medesimo immobile.
Oggetto:
assicurazione danni -reticenze  dell’assicurato -conoscenza da parte dell’assicuratore -presupposti.
Deceduto  NOME,  i  suoi  eredi  continuarono  a  versare  il  premio periodico, e l’assicuratore ad incassarlo.
Il 18 luglio 2014 un incendio distrusse l’immobile descritto in polizza (un capannone) e vari automezzi di proprietà di terzi custoditi al suo interno. Gli  eredi  di  NOME  (NOME  COGNOME,  NOME,  NOME e NOME COGNOME) nel 2017 convennero dinanzi al Tribunale di Padova:
la RAGIONE_SOCIALE;
i proprietari dei beni custoditi nel capannone e danneggiati dall’incendio ( COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME NOME COGNOME);
 quelli,  tra  gli  assicuratori  dei  suddetti  danneggiati,  che  avendo risarcito i propri assicurati avevano manifestato la volontà di surrogarsi nei confronti degli eredi di NOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE).
Gli attori chiesero che la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata sia ad indennizzarli  dei danni  causati  dall’incendio ;  sia  a  manlevarli  dalle  pretese  risarcitorie  dei terzi  danneggiati  e  dalle  pretese  surrogatorie  degli  assicuratori  di  questi ultimi.
La società RAGIONE_SOCIALE si costituì eccependo, per quanto qui ancora rileva:
 che  il  contratto  era stato  stipulato  con  tale  ‘RAGIONE_SOCIALE‘,  da intendersi quale imprenditore commerciale; che nondimeno era emerso che
NOME  non  era  un  imprenditore  commerciale;  che  pertanto  il contratto  doveva  intendersi  stipulato  con  NOME  quale  persona fisica, e si era sciolto per effetto della morte del contraente;
che NOME non era il proprietario, ma solo l’usufruttuario del capannone descritto nel contratto; pertanto, con la sua morte l’usufrutto era cessato e ‘nessun fenomeno successorio ‘ si era verificato in favore degli eredi;
che NOME COGNOME al momento  della  stipula aveva taciuto circostanze rilevanti ed incidenti sul rischio: in particolare aveva riferito che il capannone descritto nel contratto fosse destinato all’attività di rivendita di autoveicoli,  mentre  in  realtà  era  utilizzato  come  deposito  a  pagamento  di veicoli (in particolare, autocaravan ) di proprietà di terzi;
 che  l’attività  di  locazione  di  aree  per  il  deposito  di  automezzi veniva  svolta  in  spregio  di  tutte  le  norme  di  settore  dettate  per  la prevenzione degli incendi;
che se al momento della stipula avesse conosciuto tali circostanze, avrebbe rifiutato di concludere il contratto.
Si costituirono alcuni tra gli altri convenuti persone fisiche, nonché la RAGIONE_SOCIALE e  la  RAGIONE_SOCIALE,  formulando  varie  domande  nei  confronti  della  AXA  e  degli attori che in questa sede non vengono in rilievo.
Il Tribunale di Padova, con sentenza non definitiva 24.12.2019 n. 2215, rigettò la domanda attorea nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e dispose con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l’esame delle ulteriori domande.
Il Tribunale ritenne che la polizza stipulata da NOME fosse cessata per effetto della morte di questi.
La  sentenza  fu  appellata  da  tre  soltanto  degli  originari  attori  (NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME).
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 11.5.2022 n. 1049, rigettò la domanda, ma con diversa motivazione.
Ritenne  che  il  contratto  di  assicurazione  non  potesse  dirsi  cessato  in conseguenza della morte di NOME. Ritenne nondimeno che gli attori non avessero diritto all’indennizzo perché:
-)  né  NOME,  né  i  suoi  successori,  avevano  mai  riferito all’assicuratore che l’immobile assicurato era privo di dotazioni antincendio, nonostante  ‘ il  modulo  predisp osto  dall’assic uratore prevedeva  l’onere  a carico  del  contraente  di  specificare  quali  fossero  le  reali  condizioni  del capannone da assicurare’ ;
-) l’omissione fu commessa quanto meno con colpa grave;
-) la AXA venne a conoscenza del reale stato di cose solo in occasione del  sopralluogo  eseguito  dal  perito  da  essa  incaricato,  avvenuto  cinque giorni dopo l’incendio;
-) inoltre l’attività dell’assicurato descritta nella polizza (‘ concessionaria di auto e camper’ ) era risultata difforme e meno rischiosa di quella concretamente svolta (locazione a terzi di aree per il posteggio di autocaravan ).
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dal solo NOME COGNOME, con ricorso fondato su tre motivi.
La RAGIONE_SOCIALE  ha  resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato.
Ambo le parti costituite hanno depositato memoria.
Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all’art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Preliminarmente  rileva  il  Collegio  che  il  ricorrente  ha  espressamente dichiarato (p. 15 del ricorso) di avere transatto la lite con le società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, alle quali per questa ragione non è stato notificato il ricorso.
Ancora in via preliminare, rileva il Collegio che è superfluo esaminare la fondatezza  dell’eccezione  di  nullità  della  notifica  del  ricorso  a  NOME, sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE nella propria memoria.
Infatti i tre originari attori, comproprietari dell’immobile danneggiato, sono titolari di posizioni scindibili, né NOME COGNOME ha mai dichiarato di voler proporre l’impugnazione nell’interesse della comunione pro indiviso .
Da ciò consegue che qualsiasi eventuale nullità della notifica del ricorso a NOME NOME: a) non ne impone la rinnovazione, ex art. 291 c.p.c.; b) non avrebbe altro effetto che la formazione del giudicato nei suoi confronti, che  la  RAGIONE_SOCIALE  non  ha  interesse  a  contrastare. Di  qui  l’irrilevanza  dell’esame dell’eccezione suddetta.
Analoga  considerazione  quanto  alla  scindibilità  delle  cause  con  le  altre chiamate in causa, qui non coinvolte, consente di qualificare idoneamente instaurato il contraddittorio in questa sede.
Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 1892 c.c. e, congiuntamente, l’omesso esame di un fatto decisivo.
Nell’illustrazione  del  motivo  sostiene,  in  sintesi,  che  la C orte  d’appello avrebbe errato nel ritenere che la società RAGIONE_SOCIALE ignorasse tanto la destinazione dell’immobile, quanto l’assenza di protezioni antincendio.
Deduce  il  ricorrente  che ‘ gli  assicuratori  si  [erano]  recati  qualche  volta nell’immobile ‘; che  aveva  visitato l’immobile  ‘ anche  il  perito  di  RAGIONE_SOCIALE,  per liquidare un sinistro  accaduto nel 2008, a causa di una tromba d’aria che aveva scoperchiato parte del capannone ‘ ; che la conoscenza del reale stato di  cose  da  parte  ‘ dei  periti  e  degli  agenti’ della  RAGIONE_SOCIALE  equivaleva  alla conoscenza del reale stato di cose da parte di quest’ultima .
3.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
La prima e più evidente è che lo stabilire se un assicuratore sappia o non sappia,  ovvero  possa  o  non  possa  sapere  con  l’ordinaria  diligenza,  che  il contraente della polizza gli ha riferito falsità o taciuto circostanze incidenti sul rischio non è questione di diritto, ma di fatto, come tale incensurabile in questa  sede,  quando  sia  risolta  –  come  nella  specie  –  con  motivazione scevra da quei soli vizi logici e giuridici ormai rilevanti dopo la novella del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. .
3.2. La seconda ragione è che il vizio di omesso esame del fatto è dedotto in modo inadeguato. Il ricorrente, infatti, non ha assolto l’onere (imposto a pena di inammissibilità dall’ art. 366, n. 6, c.p.c.) di precisare quando fu introdotto in causa e come fu provato (nonché dove sia allegata la relativa prova) il ‘fatto’ che si assume trascurato dalla Corte d’appello e, cioè, l’avvenuta conoscenza da parte dell’assicuratore sia della mancanza di protezioni antincendio, sia della reale natura dell’attività svolta nel capannone.
3.3. In terzo luogo, il fatto che il ricorrente assume essere stato trascurato dalla Corte d’appello è privo di decisività. La circostanza che un incaricato dell’assicuratore abbia ispezionato un certo immobile al fine di verificare un danno al tetto non dimostra né che in quell’occasione sia stata verificata la presenza di misure antincendio, né che in quell’occasione sia stata accertata la natura dell’attività ivi svolta.
3 .4. In quarto luogo, la conoscenza del reale stato di cose in capo all’agente non  ne  comporta ipso iure la conoscenza  da  parte  dell’assicuratore: l’intermediario  assicurativo  infatti  ha  la  rappresentanza  dell’assicuratore solo per gli atti elencati dall’art. 1903 c.c., né il ricorrente ha mai dedotto che nel caso di specie tali poteri fossero stati ampliati con una procura che avesse conferito all’intermediario il pieno potere di rappresentanza sostanziale dell’assicuratore.
Anche  col secondo  motivo  il ricorrente lamenta  sia la violazione dell’articolo 1892 c.c., sia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.
Nell’illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente la C orte d’appello ha ritenuto che il rischio di incendio potenzialmente scaturente dall’attività di deposito di automezzi per conto terzi fosse maggiore dell’identico rischio potenzialmente scaturente dall’attività di concessionario di autoveicoli.
Anche in questo caso il ricorrente sostiene che le condizioni dell’immobile e l’impiego che di esso veniva fatto dall’originario contraente ,  e  poi  dai  suoi successori,  era  sempre  rimasto  immutato  nel  tempo  ed  era  ben  noto
all’intermediario per il tramite del quale fu stipulata la polizza ed al  quale venivano versati periodicamente i relativi premi.
Aggiunge  il  ricorrente  che  la  polizza  non  conteneva  alcuna  clausola  che imponesse al contraente di riferire la presenza dell’impianto antincendio ; e che  comunque  l’attività  svolta  per  le  sue  dimensioni  non  richiedeva  le misure di protezione antincendio torto ritenute violate dalla corte d’appello.
4.1. Il motivo è in larga parte inammissibile ed in parte infondato.
Il  motivo è  inammissibile,  per  le  ragioni  già  indicate  nell’esame  del  primo motivo di ricorso, nella parte in cui deduce che gli agenti della AXA erano a conoscenza del reale stato di cose.
Come già detto, infatti, da un lato lo stabilire se una certa circostanza di fatto sia nota o ignota all’assicuratore è una valutazione di merito e non di diritto; dall’altro lato la conoscenza della reticenza dell’assicurato acquisita dall’intermediario senza potere di rappresentanza non è opponibile all’assicuratore.
Parimenti costituisce questione di fatto, e non di diritto, lo stabilire se il mendacio del contraente sia o non sia tale da aumentare la probabilità di avveramento del rischio, per i fini di cui all’articolo 1892 c.c.. Una valutazione di questo tipo potrebbe esse censurata in sede di legittimità solo denunciando la palese fallacia delle premesse o l’irrazionalità dei passaggi logici sui quali il giudice di merito ha fondato la propria decisione, vizi non ravvisabili ictu oculi nella sentenza impugnata e comunque non censurati.
4.2. Infine, è affermazione infondata in punto di diritto quella secondo cui la reticenza  dell’assicurato sarebbe  priva  di  conseguenze,  se  le  condizioni generali di contratto non gli imponevano espressamente di riferire all’assicuratore i dati di fatto che invece furono sottaciuti.
L’articolo 1892 c.c. è infatti espressione del consolidato principio per cui il contratto  di  assicurazione  esige  dal l’assicurato  la uberrima  bona  fides ,  in quanto solo l’assicurato è a conoscenza delle circostanze che consentiranno all’assicuratore di valutare l’intensità del rischio e fissare il relativo premio. Da ciò consegue che la reticenza gravemente colposa dell’assicurato non è
sanata dalla circostanza che il contratto non gli imponesse espressamente un onere di discovery .
Quell’onere infatti discende dalla legge e non dal contratto, ed è inderogabile  in  quanto  essendo  preordinato  a  garantire  l’equilibrio  tra premio e rischio è dettato nell’interesse dell’intera massa degli assicurati e non dell’assicuratore.
Col terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 91 c.p.c.. Lamenta di essere stata ingiustamente condannata alla rifusione delle spese nei  confronti  della  società  RAGIONE_SOCIALE,  rispetto  alla  quale  non  poteva  ritenersi soccombente.
5.1. Il motivo è fondato.
Con l’appello NOME COGNOME aveva chiesto che la AXA fosse condannata sia a rifondergli i danni all’immobile assicurato, sia a tenerlo indenne dalle pretese dei terzi danneggiati dall’incendio e dagli assicuratori di questi.
L’appello,  dunque,  non  conteneva  alcuna  domanda  nei  confronti  della RAGIONE_SOCIALE.
Tale società, inoltre, nel costituirsi sostenne le ragioni dei tre appellanti (tra i quali l’odierno ricorrente).
La  Corte  d’appello,  tuttavia,  condannò  gli  appellanti  alla  rifusione  delle spese  ‘ a  favore  di  ciascuna  parte  separatamente  costituita’ e,  dunque, anche in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Pronunciando una condanna alla rifusione delle spese a carico d’una parte non soccombente rispetto al beneficiario della condanna, la Corte d’appello ha dunque effettivamente violato l’art. 91 c.p.c..
5.2. La ritenuta fondatezza del ricorso impone la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, ma non anche il rinvio. Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi la causa nel merito, espu ngendo dalla sentenza d’appello la condanna pronunciata a carico di NOME COGNOME a rifondere le spese di lite alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per la comunanza della posizione processuale, di compensarle nei loro rapporti.
Ovviamente, tale decisione farà stato nei soli confronti del ricorrente e non pure degli altri coobbligati in solido, salva l’applicazione dell’art. 1306 c.c..
Il ricorso incidentale condizionato proposto dalla RAGIONE_SOCIALE resta assorbito. Infatti l’ accoglimento del ricorso è avvenuto solo con riferimento al rapporto processuale tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, cui è estranea la RAGIONE_SOCIALE. Rispetto a quest’ultima società NOME è totalmente soccombente,
sicché resta inibito l’esame del r icorso incidentale condizionato.
 Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo. Nella liquidazione delle spese a favore del ricorrente ed a carico della RAGIONE_SOCIALE si è assunto a base del calcolo il valore di euro 12.000, pari a ll’importo della condanna alle spese oggetto di impugnazione.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso principale;
(-)  accoglie  il  terzo  motivo  del  ricorso  principale;  cassa  in  relazione  la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara compensate le spese del giudizio d’appello nel rapporto tra NOME e la RAGIONE_SOCIALE;
(-) dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;
(-)  condanna  NOME  COGNOME  alla  rifusione  in  favore  di  RAGIONE_SOCIALE  delle spese del presente giudizio di legittimità,  che si liquidano nella somma di euro 10.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-)  condanna  la  RAGIONE_SOCIALE  alla  rifusione  in  favore  di  NOME  COGNOME delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 1.750, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Terza  Sezione  civile