Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33507 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33507 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23069-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Impiego pubblico Ripetizione di indebito
R.G.N. 23069/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
avverso la sentenza n. 1714/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/01/2019 R.G.N. 1783/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
1. con sentenza del 24 gennaio 2019 la Corte d’appello di Milano, confermando la decisione n. 214/2016 del Tribunale di Busto Arsizio, condannava NOME COGNOME, già segretario generale del Comune di Busto Arsizio, a restituire la somma (al lordo delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali) di €. 35.965,64 corrispostagli nel periodo 2005-2006 a titolo di retribuzione di posizione, maggiorazione di retribuzione di posizione e retribuzione di risultato nonché a titolo di diritti di rogito;
2. la Corte di merito rilevava in primis che il diritto al recupero delle somme indebitamente corrisposte era atto doveroso per l’amministrazione; richiamava , poi, Cass. n. 15090/2018, la quale aveva escluso il carattere innovativo della disciplina del c.d. allineamento stipendiale, come indicata dall’art. 4 co mma 26 della legge n. 183/2011 e aveva affermato, in linea con Cass. n. 5284/2018, che la maggiorazione della retribuzione di posizione era parte integrante di quest’ultima, sicché l’indebita determin azione delle retribuzioni di posizione per gli anni 2005 e 2006, costituenti base di calcolo per la retribuzione di risultato e per i diritti di rogito, comportava anche, e inevitabilmente, che
tali ultimi emolumenti fossero in parte indebiti e oggetto di recupero;
quanto alla retribuzione di risultato per l’anno 2006, ne andava escluso il pagamento, essendo mancata nella specie una valutazione dell’attività come richiesto dall’art. 42 , commi 1 e 3, del c.c.n.l. Segretari Comunali e Provinciali del 16.5.2011, sicché fondata era l’azione di ripetizione di indebito il cui termine di prescrizione era decennale;
3. avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso affidato a otto motivi assistiti da memoria, cui il Comune di Busto Arsizio resiste con controricorso illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE:
questi, in sintesi, i motivi di ricorso:
1. con il primo si deduce violazione dell’art. 41 co mma 4 del c.c.n.l. Segretari Comunali e Provinciali del 16.5.2001 e dell’art. 1 dell’Accordo Integrativo del 22.12.2003 nonché dell’art. 2697 cod. civ.;
se era prevista una maggiorazione – seppur quantificata su una base di calcolo non corretto -della retribuzione di posizione del Segretario Comunale per incarichi dirigenziali aggiuntivi, v’era tuttavia la necessità, per ritenere detta maggiorazione indebitamente erogata, che l’ incremento fosse superiore alla soglia massima del 50%, consentita dal c.c.n.l. richiamato;
con il secondo si lamenta (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 41 del c.c.n.l. dei Segretari Comunali e Regionali del 16.5.2001,
dell’art. 1 dell’Accordo Integrativo del 22.12.2003, dell’art. 26, comma 4, della legge n. 183/11, nonché dell’art. 11 delle Preleggi;
secondo il ricorrente, la ‘ maggiorazione ‘ della retribuzione di posizione del Segretario Comunale per incarichi dirigenziali aggiuntivi (art. 41 comma 4 c.c.n.l. cit.) non poteva dirsi assorbita dagli importi riconosciuti al segretario comunale in virtù dell’istituto del riallineamento di cui al comma 5, art. 41, c.c.n.l., ma doveva essere tenuta ‘ fuori ‘ come voce distinta e aggiuntiva, quanto meno fino all’entrata in vigore della legge n. 183/2011 (art. 26 comma 4), disposizione di sicura portata innovativa e non già interpretativa;
con il terzo mezzo si denuncia violazione dell’art. 26, comma 4, della legge n. 183/2011, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.: a parere del ricorrente, era irripetibile la maggiorazione della retribuzione di posizione del Segretario Comunale calcolata secondo criteri diversi da quelli dettati dalla legge n. 183/2011 ma già erogata prima della sua entrata in vigore;
i primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per l ‘intima connessione logico giuridica, sono infondati;
4.1 è anzitutto infondata l’opzione ermeneutica da cui muove il ricorrente e che si condensa nell’assunto che le maggiorazioni della retribuzione di posizione di cui all’art. 41, commi 4 e 5, del c.c.n.l. abbiano finalità diverse (corrispettiva
l’una e perequativa l’altra), e, pertanto, siano cumulabili tra loro;
il Collegio ritiene di ribadire, condividendolo, il principio affermato da questa Corte nelle sentenze n. 5284 del 2018 e n. 4619/2019, relative a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili a quella dedotta in giudizio;
nelle decisioni innanzi richiamate, è stato affermato «che, ai fini dell’applicazione della regola, ex art. 41, comma 5, del richiamato c.c.n.l. del 16 maggio 2001, del c.d. “riallineamento” della retribuzione di posizione del segretario a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata dell’ente, si deve tener conto dell’importo minimo, di cui al comma 3, della predetta retribuzione, comprensivo della maggiorazione eventualmente riconosciuta ai sensi del successivo comma 4, avuto riguardo, da un lato, all’interpretazione letterale del comma in questione, che, nell’attribuire alle parti la facoltà di maggiorare i compensi del segretario, richiama quelli di cui al precedente comma 3 e non quelli del comma 5; nonché, dall’altro, alla funzione non corrispettiva bensì perequativa del “riallineamento”, sicché è aderente alla “ratio” della disposizione pattizia, da individuarsi nella particolarità delle funzioni che il segretario espleta presso l’ente locale, che alla perequazione si pervenga con riferimento alla retribuzione di posizione complessiva» (Cass. n. 4619/2019);
il principio innanzi richiamato è fondato sulle argomentazioni che seguono:
sotto il profilo della interpretazione letterale l’art. 41, comma 4, nell’attribuire alle parti la facoltà di maggiorare i compensi del segretario, si limita a richiamare esplicitamente i compensi di cui al precedente comma 3, secondo i valori economici riconosciuti da tale disposizione, senza nulla dire, neppure in modo indiretto, del comma 5, contenente la clausola contrattuale di riallineamento stipendiale che segue subito dopo;
la maggiorazione di cui al comma 4, va, dunque, ad aggiungersi ai valori economici stabiliti dal precedente comma 3 dell’art. 41, fermo restando che entrambe le disposizioni (commi 3 e 4) riguardano la sola voce della retribuzione di posizione di cui all’art. 37, lett. d) del c.c.n.l.; poiché il comma 4, sul piano sistematico, si trova collocato tra il comma 3 e il comma 5, l’interprete deve tener conto della volontà delle parti di collegare la disposizione contenuta nel comma 4 alla disposizione contenuta nel comma 3 che precede e non a quella del comma 5 che segue;
tale opzione interpretativa trova conferma nella “ratio” della disposizione pattizia in esame, che va individuata nella particolarità delle funzioni che il segretario espleta presso l’ente locale; il segretario, oltre a svolgere compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico -amministrativa in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alla legge e ai regolamenti, sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività, compiti questi che, per le responsabilità che ne discendono,
giustificano il riconoscimento di una indennità di posizione quantomeno pari a quella del dirigente sottoposto al potere di coordinamento e controllo” (Cass. n. 20065/2016);
se, dunque, il riallineamento stipendiale di cui al comma 5 ha una funzione perequativa, distinta da quella corrispettiva delle maggiorazioni (solo eventuali) di cui al comma 4, appare logico e aderente alla “ratio” della disposizione, che alla perequazione si pervenga con riferimento alla retribuzione di posizione complessiva, ovvero comprendente anche le maggiorazioni di cui al comma 4» (Cass. n. 4619/2019, cit.);
orbene, nel ricorso e nella memoria il ricorrente non apporta argomenti decisivi che impongano la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato, come detto condiviso dal Collegio;
4.2 né può accogliersi il rilievo, enunciato in particolare con la prima censura, secondo cui poiché l’accordo integrativo del 22 dicembre 2003 prevede che la maggiorazione può essere compresa dal minimo pari al 10% all’ importo massimo pari al 50%, solo in caso di (accertata) eccedenza rispetto a quest’ultima percentuale il pagamento può essere ritenuto indebito;
la doglianza è inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione dell’accordo decentrato che è un contratto integrativo, come tale non riconducibile a quelli menzionati dall’art. 360 n. 3 c od. proc. civ. ed è, poi, infondata lì dove assume che l’indebito può essere ravvisato, pur mutando la base di calcolo, solo qualora fosse risultato superato il limite
massimo: infatti, è incontestato fra le parti che la maggiorazione era stata quantificata in misura pari al 25% della retribuzione in godimento, retribuzione che, peraltro, era stata determinata indebitamente, sicché, una volta rettificata la base di calcolo, tutte le somme erogate in eccesso vengono ad essere non dovute; altrimenti si perverrebbe all’inaccettabile conclusione di pretendere l’applicazione di una percentuale diversa da quella stabilita dal datore di lavoro pubblico nell’esercizio della propria discrezionalità;
4.3 la censura – sviluppata in special modo col terzo motivo -con riferimento alla legge n. 183 del 2011, art. 4, comma 26, è anch’essa infondata;
l’art. 4 comma 26 della legge 12.11.2011 n. 183, nel testo ratione temporis vigente, dispone: «Il meccanismo di allineamento stipendiale previsto dall’articolo 41, comma 5, del Contratto collettivo nazionale di lavoro dei Segretari comunali e provinciali del 16 maggio 2001, per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 si applica alla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4 del medesimo articolo 41. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’articolo 41, comma 5, del citato Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già
trascorsi. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge»;
la norma, nella prima parte, ha carattere interpretativo nel senso che chiarisce la portata ed il significato della disposizione contenuta nell’art. 41 comma 5 del c.c.n.l. 16 maggio 2001 (quadriennio normativo 1998/2001 e per il biennio economico 1998-1999);
la disposizione è innovativa, nella parte, introdotta dalla espressione “a decorrere”, in cui pone il divieto per il tempo successivo alla sua entrata in vigore, di corrispondere somme in applicazione dell’articolo 41, comma 5, del citato Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001 “diversamente conteggiate”;
essa, invece, nel limitarsi a fare salvi solo i giudicati eventualmente intervenuti, non vieta affatto, come opina il ricorrente, il recupero delle maggiori somme in ipotesi corrisposte prima della sua entrata in vigore; sono prive di pregio anche le difese articolate nel secondo motivo con riguardo alla buona fede del ricorrente e alla legittimità del pagamento della indennità perequativa nell’importo in concreto erogato;
4.4 va, al riguardo, ribadito il principio secondo il quale nell’impiego pubblico contrattualizzato qualora il datore di lavoro attribuisca al lavoratore un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità
alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata (Cass. 13479/2018, 25018/2017, 16088/2016);
va altresì osservato che non è applicabile al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 il principio in forza del quale la corresponsione di una retribuzione maggiore rispetto a quella dovuta in forza della contrattazione collettiva costituisce trattamento di miglior favore e può essere chiesta in restituzione solo previa dimostrazione di un errore riconoscibile e non imputabile al datore, perché, al contrario, il datore di lavoro pubblico è tenuto a ripetere le somme corrisposte “sine titulo” e la ripetibilità degli importi corrisposti in eccesso non può essere esclusa ex art. 2033 cod. civ. per la buona fede dell’ “accipiens”, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (Cass. 13479/2018, 4323/2017, 8338/2010, 29926/2008);
rebus sic stantibus , se è errata per eccesso la retribuzione di posizione del dirigente del Comune con posizione più elevata, va conseguentemente rideterminata a valle la retribuzione di posizione corrisposta ai segretari comunali all’esito del meccanismo del riallineamento, con suo ridimensionamento complessivo considerando sia
l’emolumento di cui all’art. 41 co mma 3 c.c.n.l. sia la maggiorazione (41 comma 4), dovendo ambedue essere valutati unitamente, come peraltro si evince dall’art. 37 lett. d) c.c.n.l. e come stabilito dall’art. 4 co mma 26 della legge 183/2011;
la Corte di merito ha verificato, con accertamento di fatto qui insindacabile, che la retribuzione di posizione del segretario comunale, a seguito della rideterminazione di quella del dirigente con posizione più elevata nel Comune, andasse ridotta nel suo complesso e senza ‘scorporo’ della voce ‘maggiorazione’ retribuzione di posizione, che non era suscettibile di autonoma valutazione essendo tutt’uno con la retribuzione di posizione; con ogni conseguente riflesso sulla retribuzione di risultato (in quanto calcolata in percentuale sulla retribuzione percepite in ragione d’anno) e sui diritti di rogito (rapportati anch’essi entro il limite massimo di 1/3 dello stipendio in godimento);
alla stregua di ciò, e dovendo elidersi la differenza tra quanto effettivamente percepito e quanto invece dovuto ai sensi del precitato c.c.n.l. dei segretari comunali del 16.5.2001, la Corte distrettuale ha ritenuto fosse stata giustamente attivata l’azione di recupero da parte dell’amministrazione;
la decisione, nei termini indicati, si conforma ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità ed è dunque, in parte qua , esente da censure;
5. con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.: omessa pronuncia sul motivo di appello con cui si è sollevata l’eccezione di prescrizione decennale in relazione alle somme percepite in epoca antecedente al 25.2.2005 (tenendo conto che la determina dirigenziale era stata notificata il 25.2.2015);
5.1 il motivo è infondato;
il vizio di omessa pronuncia, configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021);
il giudice del merito, infatti, non è tenuto a esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, atteso che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito;
nella specie, non si è in presenza di un’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione che la Corte territoriale ha esaminato e rigettato: nell’escludere la fondatezza della eccezione, infatti, ha implicitamente affermato che il termine decennale non era qui maturato;
con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del c.c.n.l. dei Segretari Comunali e Regionali e degli artt. 1358, 1359 e 2697 cod. civ., rilevante ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ.;
il giudice d’appello aveva errato nel non riconoscere il diritto del Segretario Comunale alla retribuzione di risultato per l’anno 2006 : se era mancata l’ultimazione della procedura di valutazione ciò si doveva alla condotta negligente dell’amministrazione, sicché doveva farsi applicazione del principio di cui all’art. 1359 c od. civ. perché la condizione era mancata per causa imputabile a chi aveva interesse contrario al suo avveramento;
6.1 il motivo è destituito di fondamento perché la Corte d’appello , nell’affermare la non debenza della retribuzione di risultato, non si è discostata dall’orientamento consolidato espresso da questa Corte (da ultimo: Cass. n. 19792/2024) secondo cui la retribuzione di risultato, non correlata al solo svolgimento della funzione dirigenziale, presuppone l’instaurazione di una procedura che richiede la previa fissazione di specifici obiettivi e la successiva verifica del relativo grado di realizzazione, essendo finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi
conseguiti, e riguardando l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione (v. Cass. n. 10969/2015; Cass. n. 14638/2016);
la determinazione dell’indennità di risultato è , dunque, affidata alle procedure stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva; si è in particolare chiarito che, al pari della retribuzione di posizione, la retribuzione di risultato non costituisce una voce automatica ma resta subordinata, per ciascun dirigente, a specifiche determinazioni annuali, volte a vagliare la presenza in concreto dei relativi presupposti, e da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, oltre che al rispetto dei limiti delle risorse disponibili e della capacità di spesa dell’Amministrazione interessata (Cass. n. 21166/2019; Cass. n. 20065/2016; Cass. n. 5679/2022 e Cass. n. 14672/2022); ed è stata di conseguenza ritenuta fondata (si noti) l’azione di ripetizione di indebito in caso di liquidazione della retribuzione di risultato in assenza delle condizioni richieste dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 11645/2021 riguardante il Comune di Busto Arsizio);
né risulta che nella fattispecie il COGNOME abbia domandato il risarcimento del danno da perdita di chance ed esperito, quindi, l’unica azione con la quale può essere fatto valere dal dirigente l’inadempimento delle pubbliche amministrazioni rispetto all’obbligo di esperire le necessarie procedure valutative (cfr. Cass. n. 31479/2021);
con il sesto motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.: si lamenta l’omessa pronuncia sul motivo di appello con cui si richiedeva l’accertamento del diritto alla corresponsione dei diritti di rogito o di segreteria per l’anno 2006; in realtà, l’art. 37 c.c.n.l. prevede che la quota dei diritti di rogito o segreteria va contenuta entro il tetto di 1/3 dello stipendio in godimento, da intendersi come stipendio tabellare annuo e non come quello dei soli mesi del 2006 che andavano fino al collocamento a riposo;
7.1 il motivo è infondato sussistendo una pronuncia, per lo meno implicita, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto corretta l’azione di ripetizione di indebito introdotta dal Comune;
in un passaggio argomentativo (v. p. 5, III cpv., sentenza impugnata) si afferma, infatti, che «l’indebita determinazione delle retribuzioni che costituiscono base di calcolo per la percentuale di risultato e per i diritti di rogito, comporta che anche questi trattamenti debbano ritenersi, pro quota , indebiti»;
la sentenza impugnata richiama, a riguardo, Cass. n. 15090/2018 e precisa altresì, in altro paragrafo (v. pag. 6, III cpv. della sentenza impugnata), «che il recupero non poteva non riguardare anche la retribuzione di risultato e i diritti di rogito, visto che si tratta di emolumenti quantificati in misura percentuale rispetto alle retribuzioni, in particolare il primo
con riferimento al ‘monte salari’ (art. 41 c.c.n.l., cit.) e il secondo con riferimento allo stipendio in godimento (art. 41 legge 312/1980)»;
il motivo, sia pure dal tenore non perspicuo, va inteso, nel suo ulteriore sviluppo argomentativo, come mera esplicitazione della rilevanza della questione su cui il giudice d’appello avrebbe ingiustificatamente omesso di statuire, perché altrimenti dovrebbe concludersi per l ‘ inammissibilità tout court della censura per sua intima contraddittorietà, non potendo in essa affermarsi l’omessa pronuncia del giudice d’appello e, al contempo, l’esistenza di una pronuncia adottata in violazione di legge;
questa Corte ha già affermato, infatti, che «in tema di ricorso per cassazione, è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai
sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.» (Cass. n. 6150/2021);
con il settimo motivo si lamenta (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.: in particolare si censura la sentenza impugnata per l’ omessa pronuncia sul motivo di appello con cui si richiedeva che la ripetizione dell’indebito retributivo dovesse essere operata dal Comune al netto delle trattenute fiscali e previdenziali;
con l’ottavo, e d ultimo, motivo si denuncia, in via subordinata e ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 2033 cod. civ. e del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e si lamenta l’ illegittimità del dictum giudiziale dove ha disposto la ripetizione dell’indebito retributivo al lordo, e non al netto, delle ritenute fiscali e previdenziali;
il settimo e l’ottavo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati;
in effetti, col sesto motivo d’appello (v. a pag. 32 e ss.) il ricorrente aveva censurato la pronuncia di primo grado laddove aveva accolto la domanda di restituzione al lordo, e non al netto, delle ritenute fiscali, e ne aveva denunciato il contrasto con lo ius receptum secondo cui il recupero dev’essere sempre al netto delle ritenute, in quanto si tratta (con riguardo all’esubero per oneri fiscali e previdenziali) di somme mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente;
a fronte di ciò, la Corte di merito conferma la decisione di primo grado discostandosi dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. fra le tante Cass. 19735/2018, Cass. n. 21196/2020, Cass. n. 19948/2022 e Cass. n. 2691/2024);
il motivo va perciò accolto e, non essendo necessari accertamenti di fatto, può decidersi la causa nel merito ex art. 384 comma 2 cod. proc. civ. statuendo la condanna del Pascale alla restituzione delle somme, come sopra indicate, al netto però delle ritenute previdenziali, fiscali e assistenziali;
11. conclusivamente, vanno accolti gli ultimi due motivi, con decisione nel merito ex art. 384 comma 3 cod. proc. civ., e respinti tutti gli altri; quanto alle spese del processo, esse seguono la soccombenza per i due gradi di merito, mentre possono essere compensate per il presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il settimo e l’ottavo motivo di ricorso e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna NOME COGNOME alla restituzione della somma di €. 35.965,64 al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali, oltre interessi legali dal dovuto al saldo; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese dei gradi di merito come liquidate dal Tribunale e dalla Corte d’appello e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della