Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12077 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12077 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18263/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio, sito in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata
-ricorrente-
contro
Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, siti in Roma, INDIRIZZO domicilia
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Roma n. 1747/2021 depositata il 29/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME, funzionaria UNEP in servizio presso la Corte d’appello di Roma e poi presso il Tribunale di Civitavecchia, e confermato la sentenza di rigetto della domanda avanzata dalla lavoratrice per contestare la legittimità del provvedimento datato 12 luglio 2013, con cui il Presidente della Corte d’appello aveva chiesto la restituzione della complessiva somma di euro 8.443,60, percepita a titolo di indennità di amministrazione e di indennità integrativa nel periodo di sospensione dal servizio (dal 26 aprile
2006 al l’ 11 dicembre 2006) in ragione della sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari, misura poi annullata dalla Corte di cassazione con efficacia ex tunc .
La Corte territoriale, nel richiamare ampiamente il convincimento espresso dal primo giudice, ha ritenuto che, nel caso di specie, non venga in rilievo un’ipotesi di sospensione cautelativa dal servizio in pendenza di procedimento penale bensì un caso di impossibilità della prestazione lavorativa da parte del dipendente per fatto non ascrivibile alla volontà del datore bensì di un terzo (autorità giudiziaria), con conseguente perdita per la lavoratrice del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione. Infondata era pure l’eccezione di prescrizione quinquennale per essere, invece, applicabile quella decennale, trattandosi di credito dell’amministrazione per il versamento di somme non dovute, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. Quanto, poi, alla determinazione del quantum , i giudici d’appello hanno parimente concordato con la valutazione già resa dal Tribunale sulla mancata specifica contestazione dei conteggi analitici prodotti dal Ministero, rimarcando che la lavoratrice si era limitata a richiamare precedenti determinazioni dell’ Ufficio, senza produrre neppure in appello criteri e conteggi alternativi rispetto a quelli adotti dal l’amministrazione .
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando tre motivi, cui resiste il Ministero della giustizia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 132, terzo comma, e 276, ultimo comma, cod. proc. civ., nonché la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 118, ultimo comma, disp. att. cod. proc. civ., oltre che degli artt. 119 e 276, ultimo comma, cod. proc. civ., in quanto la sentenza della Corte d’appello risulta sottoscritta dal solo Presidente relatore ed estensore.
Con il secondo motivo si denuncia l’ omessa sottoscrizione intenzionale della sentenza, ex art. 276, ultimo comma, cod. proc. civ. nonché ai sensi dell’ art. 118, ultimo comma, disp. att cod. proc. civ., e dell’ art. 119, secondo comma, disp. att cod. proc. civ., prospettando il diritto della odierna ricorrente a non essere valutata da un giudice unico.
2.1. I primi due motivi, da valutare congiuntamente, in quanto si incentrano sulla stessa contestazione della sottoscrizione da parte del solo Presidente del collegio, sono palesemente inammissibili, posto che si intende lamentare la nullità della sentenza e l’omessa sottoscrizione della sentenza perché firmata dal solo Presidente estensore, laddove tale evenienza è pienamente conforme alle previsioni di cui al combinato disposto degli artt. 132, ultimo comma, 276, ultimo comma, cod. proc. civ., 118 e 119 disp. att. cod. proc. civ., nell’ipotesi in cui il Presidente assuma anche il ruolo di relatore ed estensore, come pacificamente avvenuto nella specie anche secondo la stessa prospettazione della ricorrente.
Con il terzo articolato motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 112, 148, 149, 169, 178 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, in tema di retribuzione dell’Ufficiale giudiziario, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., dell’ art. 314, comma secondo, cod. proc. pen., in tema di ingiusta detenzione, nonché travisamento dei fatti storici, con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sul rilievo che i fatti storici risalgono agli anni 2006-2007 e fino al 2010. Si intende censurare la valutazione siccome incongrua ed il giudizio illegittimo, con travisamento del fatto storico, nella parte in cui il ‘giudice unico’ ha ritenuto che ricorra un’ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa per fatto non ascrivibile alla volontà del datore ma di un terzo, con perdita del diritto alla retribuzione. Si evidenzia che il Presidente della Corte d’appello di Roma ebbe ad adottare nei confronti della odierna ricorrente il provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio conseguenziale alla misura cautelare di detenzione
domiciliare con provvedimento del 6 maggio 2006 e con successivo provvedimento del 29 novembre 2006 ebbe a dichiararn e l’inefficacia, disponendo la riammissione in servizio della lavoratrice, a seguito di decisione della Corte di cassazione di annullare l’ordinanza relativa alla misura cautelare di detenzione domiciliare per assoluta carenza di esigenze cautelari, con conseguente diritto della dipendente alla restitutio in integrum per il periodo di sospensione facoltativa. Nella stessa ottica, ci si duole che sarebbe stato omesso l’esame degli atti processuali, dai quali emergeva che l’ordinanza di imposizione della misura cautelare fu annullata dalla Corte di cassazione e la sospensione dal servizio dichiarata inefficace dal Presidente della Corte d’appello, con riammissione in servizio della dipendente. Si reiterano, infine, le argomentazioni svolte in ordine alla diversa cifra liquidata nel dicembre 2007 dall’ispettore ministeriale, nonché l’eccezione di prescrizione quinquennale della pretesa avanzata da l Ministero solo nel 2013.
3.1. Il motivo, per come articolatamente proposto, presenta plurimi profili di inammissibilità, risultando nel resto infondato.
3.2. In primo luogo, in seguito alla riformulazione dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto dall ‘ art. 111, comma sesto, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (fra molte, Cass. Sez. 1, 03/03/2022, n. 7090). Nella specie, la sentenza impugnata, come sopra sintetizzata, rispetta sicuramente il
minimo costituzionale richiesto, né risulta affetta dai vizi che ne consentono il sindacato nei termini predetti.
3.3. Inoltre, la doglianza è inammissibile nella parte in cui intende denunciare il vizio di omesso esame di fatti decisivi, ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., precluso dalla configurabilità della cd. doppia conforme, ipotesi che ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. Sez. 6-2, 09/03/2022, n. 7724).
Nella specie è configurabile l’anzidetta preclusione, atteso che la sentenza d’appello condivide l’impianto motivo del primo giudice, rafforzandone ulteriormente il convincimento. Di conseguenza, risulta preclusa anche la correlata censura di travisamento della prova, dedotta in ordine ad un fatto sostanziale, non ravvisandosi comunque nella specie i ristretti margini in cui è ormai consentito tale sindacato (in questo senso, Cass. Sez. U, 05/03/2024, n. 5792).
3.4. Infine, inammissibili risultano nella presente sede le doglianze relative alla quantificazione del credito restitutorio, sia perché il ricorso reitera le medesime argomentazioni prospettate al giudice di merito senza tenere conto del decisum (fra molte, Cass. Sez. 1, 24/09/2018, n. 22478, secondo cui, con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest ‘ ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un ‘ non motivo ‘ , come tale inammissibile ex art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), sia perché rimane precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti ad un nuovo
apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass. Sez. 2, 23/04/2024, n. 10927).
3.5. Il motivo è, poi, infondato nella parte in cui intende denunciare il mancato accertamento del diritto della dipendente alla retribuzione per effetto dell ‘annullamento della misura cautelare, in quanto la Corte d’appello , dopo aver correttamente precisato che non viene in rilievo un’ipotesi di sospensione facoltativa in pendenza di procedimento penale, si è attenuta al principio secondo cui la reintegrazione del trattamento economico non si applica all’ipotesi in cui la sospensione dal servizio è resa necessaria dalla custodia cautelare in carcere o comunque da una misura cautelare personale che renda impossibile la prestazione del lavoratore (in tal senso, Cass. Sez. L, 10/01/2024, n. 989).
3.6. Parimenti infondata risulta la doglianza relativa al termine di prescrizione, correttamente individuato dalla Corte d’appello nella misura decennale, trattandosi di restituzione di indebito . Infatti, l’ azione di ripetizione di indebito, per la restituzione di somme corrisposte periodicamente a titolo di retribuzione, è soggetta comunque alla ordinaria prescrizione decennale, e non a quella quinquennale prevista dall ‘ art. 2948, n. 4, cod. civ., perché nell ‘ indebito la periodicità è frutto delle erogazioni, poi risultate non dovute, mano a mano effettuate, sicché il credito sorge a causa e nel momento in cui è effettuata l ‘ indebita erogazione, diversamente che per i crediti retributivi, in cui la necessità di pagamenti a cadenze temporali prefissate è stabilita ex ante e trova la sua causa nelle stesse attribuzioni patrimoniali (Cass. Sez. L, 05/11/2019, n. 28436).
Il ricorso va, pertanto, respinto.
Le spese di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della