Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6397 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6397 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6743-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIAVV_NOTAIO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIAVV_NOTAIO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1295/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/05/2018 R.G.N. 1760/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
R.G.N. 6743/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/01/2024
CC
Con sentenza del 15 settembre 2010 la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso per il periodo 1.12.2001 – 31.1.2002 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE “per esigenze tecniche, produttive ed organizzative della struttura operativa ove viene assegnata, connesse anche al maggior traffico postale del prossimo periodo delle festività natalizie” , con costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avente decorrenza dalla stipulazione del contratto, e condanna della società alla riammissione in servizio ed al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni maturate dal 11.2.2003 sino alla data della sentenza, detratto l’aliunde perceptum.
La Suprema Corte di cassazione, adita su ricorso della società, con ordinanza n. 5702/2017, ha cassato la suddetta pronuncia unicamente per la parte riguardante il risarcimento del danno disponendo che si dovesse tenere conto dello ius superveniens rappresentato dall’art. 32 legge n. 183 del 2010.
La Corte di appello di Roma, quale giudice di rinvio, con la sentenza oggi gravata, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 5.570,60, pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in favore di COGNOME, oltre rivalutazione ed interessi al tasso legale sugli importi annualmente rivalutati, dalla data della sentenza di primo grado al saldo; ha condannato, poi, COGNOME a restituire a RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 30.802,07, oltre interessi dalla data del pagamento al saldo, a titolo di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado.
Per quello che ancora rileva in questa sede, la Corte distrettuale ha precisato che l’importo da restituire, che pacificamente aveva individuato nella somma di euro 30.802,07, andasse corrisposto con riguardo all’importo lordo percepito e non al netto di quanto effettivamente versato al lavoratore, perché non si era in presenza di un pagamento indebito, privo di causa e derivato da errore, ma di un
pagamento dovuto in quanto le somme richieste in restituzione erano state versate in esecuzione di sentenza di condanna esecutiva.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
Il giudizio, fissato originariamente per l’udienza camerale dell’8.1.2022 , è stato rinviato per impedimento del precedente relatore.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi dedotti dal ricorrente possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si eccepisce la nullità, in parte qua, della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per non essersi la Corte distrettuale pronunciata sull’eccezione sollevata da esso ricorrente riguard ante la circostanza della mancata allegazione e prova, da parte della società, di avere corrisposto al lavoratore la somma netta e all’Erario la ritenuta d’acconto fiscale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente disposto che il recupero delle somme, versate in esecuzione di sentenza di condanna esecutiva, poi riformata, andasse effettuato al lordo delle ritenute fiscali e non avendo riguardo unicamente al netto versato al lavoratore.
Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 co. 1 lett. d) bis TUIR d.p.r. 917/86, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per l’improprio richiamo effettuato dalla Corte di appello a tale disposizione la cui applicazione non consentiva di rendere possibile e legittima la richiesta di somme mai direttamente corrisposte al lavoratore.
Il primo motivo non è meritevole di accoglimento.
Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012).
Nella fattispecie, invece, la Corte territoriale si è pronunciata (pag. 6) sul punto oggetto della doglianza affermando che era pacifico tra le parti che RAGIONE_SOCIALE, in esecuzione della sentenza n. 20163/2005 emessa dal Tribunale di Roma, aveva corrisposto al COGNOME la somma lorda di euro 30.802,07.
Da un lato, pertanto, c’è stata valutazione della problematica asseritamente omessa e, dall’altro, vi è stato un esame degli atti e del comportamento delle parti, che costituisce accertamento di merito, da cui la Corte di appello ha desunto la dazione della somma da parte della società.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono, di contro, fondati alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore ha effettivamente percepito e non può, pertanto, pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente; il caso del venir meno, con effetto “ex tunc’ , dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui esso è sorto ricade, infatti, nel raggio di applicazione dell’art. 38, comma 1, d.P.R, n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi
di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (Cass. n. 13530/ 2019, n. 8614/2019, n. 19735/ 2018, n. 1464/2012; Cass. n. 16379/2021).
Alla stregua di quanto esposto la gravata sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad