Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14762 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14762 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15626-2021 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/04/2024
CC
avverso la sentenza n. 173/2021 RAGIONE_SOCIALEa CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, del 24/03/2021 R.G.N. 94/2016; udita la relazione RAGIONE_SOCIALEa causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
a NOME COGNOME, dirigente del Comune di Martina Franca dal 12.06.1975 al 31.12.2010, veniva notificato decreto ingiuntivo per la restituzione RAGIONE_SOCIALEe somme indebitamente percepite a titolo di retribuzione di posizione e di risultato dal 1997 al 2010;
il Tribunale l’accoglieva in parte l’opposizione a decreto ingiuntivo del dirigente, rilevando che la retribuzione di posizione e di risultato erano state erogate dal Comune in assenza dei presupposti richiesti dalla legge, ma riduceva nel quantum la pretesa restitutoria perché, nel periodo non coperto da prescrizione (2002-2010), la retribuzione di posizione spettava al dirigente nella misura minima determinata dalla contrattazione collettiva e non erano comunque dovuti gli importi richiesti a titolo di ritenute fiscali;
con sentenza del 1° aprile 2021 la Corte d’appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto – confermava la sentenza di prime cure;
la Corte territoriale, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE‘ispezione ordinata dal RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEa relazione RAGIONE_SOCIALEa Corte dei conti, riteneva carenti i presupposti richiesti per l’erogazione degli emolumenti (per mancanza del contratto integrativo decentrato; RAGIONE_SOCIALEa costituzione del fondo per la dirigenza e del
conseguente controllo RAGIONE_SOCIALEa compatibilità dei costi relativi alla retribuzione accessoria con i vincoli di bilancio RAGIONE_SOCIALE‘ente, ecc.);
la Corte territoriale riteneva altresì non applicabile l’art. 2126 cod. civ.;
il NOME ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di cinque motivi, cui si è opposto il Comune di Martina Franca con controricorso assistito da memoria.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 434 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.; la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto l’appello inammissibile per omessa indicazione RAGIONE_SOCIALEe parti di sentenza censurate e RAGIONE_SOCIALEa sintetica soluzione giuridica alternativa RAGIONE_SOCIALEa controversia: in realtà, l’atto di appello, contrariamente a quanto affermato nella sentenza, riportava le parti RAGIONE_SOCIALEa motivazione di primo grado non condivise costituenti oggetto di specifica doglianza;
1.1 il motivo è inammissibile per carenza di interesse, non avendo il giudice d’appello dichiarato inammissibile il gravame;
infatti, pur scrutinandolo negativamente sul piano del rispetto dei canoni ex art. 434 cod. proc. civ., la Corte distrettuale ha poi deciso nel merito, come si desume tanto dalla lettura RAGIONE_SOCIALEa motivazione («in ogni caso, a parte questo profilo di inammissibilità, il gravame è destituito di fondamento per le ragioni che seguono») che del dispositivo («rigetta l’appello interposto da COGNOME NOME»);
2. con il secondo mezzo si deduce la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 d.l. 16/2014, conv. in l. 68/2014 (c.d. salva Roma) nonché RAGIONE_SOCIALE‘art. 12 RAGIONE_SOCIALEe preleggi, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. civ.;
la sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello male interpretava il dettato normativo che, in modo inequivocabile, prevede il recupero RAGIONE_SOCIALEe
somme facendo riferimento «sia a un graduale riassorbimento RAGIONE_SOCIALEe stesse mediante l’adozione di misure di contenimento RAGIONE_SOCIALEa spesa per il personale, sia all’attuazione di piani di riorganizzazione aziendale, con ciò escludendo la possibilità di agire pro quota sui singoli dipendenti pubblici»;
2.1 il motivo non è fondato;
questa Corte ha già chiarito, con orientamento cui va data in questa sede continuità, che l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 16 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 68 del 2014, non deroga affatto all’art. 2033 cod. civ., con la conseguenza che la PRAGIONE_SOCIALEA. può, nelle ipotesi previste dal citato art. 4, comma 1, recuperare, ai sensi del medesimo art. 2033 cod. civ., le somme illegittimamente versate direttamente dal dipendente che le abbia indebitamente percepite (Cass., Sez. L, n. 17648 del 20/06/2023);
3. con il terzo motivo si lamenta, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 360 comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., nonché RAGIONE_SOCIALE‘art. 118 disp. att. cod. proc. civ.;
la sentenza d’appello aveva in parte omesso di pronunciarsi su alcuni motivi di appello e, in altra parte, con motivazione apparente, richiamato tout court le argomentazioni RAGIONE_SOCIALEa sentenza di prime cure, mancando di lasciare traccia RAGIONE_SOCIALE‘iter logico-giuridico sotteso alla pronuncia di rigetto del gravame;
il giudice d’appello aveva altresì escluso il controcredito del COGNOME per le espletate funzioni di ‘direttore generale’, in quanto esse non potevano, ex art. 108 del t.u.e.l., essere conferite a personale dipendente RAGIONE_SOCIALEa stessa amministrazione; senonché, si trattava di ‘pratica diffusa’ in forza RAGIONE_SOCIALEa quale tali funzioni erano state formalmente conferite e la prestazione eseguita con indebito arricchimento RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione;
3.1 il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
la sentenza impugnata ha preso posizione (v. pagg. 8-9 sentenza) su tutti i punti elencati a pag. 19 del ricorso per cassazione, confermando, con motivazione che non può dirsi apparente secondo l’insegnamento di Cass. S.U. n. 8053/2014, «le coerenti motivazioni e i richiami giuridici espressi nella gravata sentenza», puntualmente riepilogati, ed escludendo la spettanza del trattamento accessorio dirigenziale invocato in violazione dei presupposti di legge e contrattuali;
giova ribadire, inoltre, che il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, e non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021);
il giudice del merito, infatti, non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione RAGIONE_SOCIALEe parti, atteso che ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento RAGIONE_SOCIALEa sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito;
3.2 quanto, poi, all’incarico di direttore generale, la doglianza sollecita in parte qua valutazioni che impingono nel merito e non denuncia in alcun modo le ragioni RAGIONE_SOCIALEa presunta violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 108 del t.u.e.l. (norma ritenuta dal giudice d’appello ostativa al riconoscimento del compenso attribuito), né indica, parimenti, le
ragioni per le quali la Corte d’appello avrebbe errato nel disattendere l’eccezione di compensazione formulata dal ricorrente;
né può annettersi valenza alla formale attribuzione RAGIONE_SOCIALE‘incarico in parola;
è stato, infatti, più volte affermato da questa Corte, infatti, che, qualora il datore di lavoro “attribuisca al lavoratore un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni RAGIONE_SOCIALEa contrattazione collettiva, in assenza RAGIONE_SOCIALEa quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino RAGIONE_SOCIALEa legalità violata” (cfr. Cass. n. 3826/2016, Cass. n. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017);
4. con il quarto mezzo si denuncia, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 132 comma 2, n. 4, e 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché degli artt. 36 Cost., 2126, 2033 cod. civ. e RAGIONE_SOCIALE‘art. 45 d.lgs. n. 165/2001, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;
la sentenza impugnata, con riferimento al punto di gravame relativo all’eccezione riconvenzionale subordinata, era viziata perché riteneva inapplicabile l’art. 2126 cod. civ.;
le irregolarità procedurali inerenti alle somme iscritte a bilancio RAGIONE_SOCIALE‘ente e destinate al Fondo dirigenti non potevano incidere, inoltre, sulla debenza e sulla maturazione del diritto alle voci stipendiali del trattamento accessorio stabilite dalla legge e dalla contrattazione nazionale per il dipendente che non aveva, tra l’altro, alcuna colpa nella vicenda;
4.1 il motivo è infondato;
invero, l’art. 2126, comma 2, cod. civ. consente, nonostante la nullità del contratto di lavoro, la salvaguardia del diritto alle retribuzioni, con una disposizione che non è utilmente invocabile nella specie, in quanto la nullità riguarda proprio le clausole che hanno previsto un certo beneficio, che si è pertanto accertato non essere dovuto (Cass., Sez. L, n. 30748 del 2021);
questa Corte ha chiarito, infatti, che il d.lgs. n. 165 del 2001 prevede, all’art. 24, che la retribuzione del personale con qualifica dirigenziale è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali e che il trattamento economico, così stabilito, remunera tutte le funzioni e i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal medesimo decreto; il trattamento economico, in sostanza, è quello stabilito dalla contrattazione collettiva, ivi compreso il trattamento accessorio spettante in caso di conferimento temporaneo di mansioni diverse (Cass., Sez. L, n. 6021 del 2023);
non si è mancato di precisare, in tale ottica, che la norma di cui all’art. 2126 cod. civ. non trova, dunque, applicazione qualora la prestazione si configuri quale mero aumento RAGIONE_SOCIALEa retribuzione di posizione di un incarico dirigenziale e, dunque, non si ponga in una relazione sinallagmatica con una specifica prestazione lavorativa aggiuntiva, sì da comportare -dal punto di vista qualitativo, quantitativo e temporale – «il trasmodare RAGIONE_SOCIALE‘incarico originariamente attribuito in una prestazione radicalmente diversa» (Cass. ordinanza n. 36358 del 2021; Cass. n. 28966 del 2023);
quanto, poi, alla necessaria copertura finanziaria dei costi del personale, è utile richiamare il principio di diritto espresso da Cass., Sez. L, n. 15364 del 2023, secondo cui «anche in tema di rapporti di lavoro nel pubblico impiego privatizzato, le decisioni datoriali che incidano sul costo del personale e comportino spese a carico RAGIONE_SOCIALEa
Pubblica Amministrazione devono essere assunte in presenza RAGIONE_SOCIALEa necessaria copertura finanziaria e di spesa, in mancanza RAGIONE_SOCIALEa quale gli atti e le procedure eventualmente svolte sono prive di effetti e non consentono il sorgere di diritti RAGIONE_SOCIALEe parti, a ciò facendo eccezione soltanto i casi riportabili alla fattispecie di cui all’art. 2126 cod. civ. e quindi caratterizzati dallo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato chieste e ricevute dal datore di lavoro pubblico pur in violazione di norme di legge o di contrattazione collettiva»;
nella specie, peraltro, non è applicabile l’art. 2126 cod. civ., giacché, lo si ribadisce, la tutela di cui al combinato disposto RAGIONE_SOCIALEa norma richiamata e RAGIONE_SOCIALE‘art. 36 Cost., attiene solo al trattamento fondamentale ed agli importi minimi RAGIONE_SOCIALEa retribuzione di posizione non alle maggiorazioni di quest’ultima ed alla retribuzione di risultato che in tanto possono essere riconosciute in quanto sussistano i requisiti formali e sostanziali richiesti dalla contrattazione collettiva;
4.2 la sentenza impugnata, anche con riferimento all’irrilevanza RAGIONE_SOCIALEa non colpevolezza del dipendente nella vicenda, si è attenuta ai principi enunciati in sede di legittimità (v. Cass., Sez. L, n. 11645 del 2021) secondo cui il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e che, per la particolare natura del rapporto nell’impiego pubblico fra contratto collettivo ed individuale, la restituzione non è subordinata alla previa dimostrazione di un errore riconoscibile non imputabile al datore medesimo;
con la quinta, ed ultima, critica si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.;
la sentenza impugnata era viziata nella parte in cui aveva ritenuto che il giudice di primo grado avesse correttamente posto
a carico del dirigente le spese di consulenza stante l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE‘opposizione, non considerando che il giudice di prime cure aveva accolto, ancorché in parte, l’opposizione medesima e provveduto a ridurre l’ammontare del credito preteso dal Comune;
5.1 il motivo è inammissibile, avendo il giudice d’appello comunque valorizzato (p. 9 sentenza) l’accertamento di un obbligo restitutorio per il NOME, il cui quantum di €. 395.159,17 era stato definito grazie a c.t.u. contabile, l’esigenza RAGIONE_SOCIALEa quale era insorta proprio per approfondire le allegazioni RAGIONE_SOCIALEa parte opponente che ne doveva così sopportare l’onere RAGIONE_SOCIALEe spese;
il motivo, per come formulato, si traduce in definitiva in una censura che investe, inammissibilmente, il mancato esercizio del potere discrezionale di disporre la compensazione, totale o parziale, in caso di soccombenza ( Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11068 del 10/6/2020);
10. conclusivamente, il ricorso va rigettato; le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALEe spese di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi ed euro 200.00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALEo stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2024.