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Restituzione somme: il lavoratore rende solo il netto

Un lavoratore, a seguito della riforma di una sentenza a lui favorevole, è stato condannato a restituire le somme percepite. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha stabilito che la restituzione somme deve riguardare l’importo netto effettivamente incassato e non quello lordo. Inoltre, ha chiarito che sul credito del datore non si applica il cumulo di interessi e rivalutazione previsto per i crediti di lavoro.

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Pubblicato il 5 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Restituzione somme al datore: la Cassazione stabilisce la restituzione al netto

Quando un lavoratore riceve delle somme in esecuzione di una sentenza di primo grado, ma questa viene successivamente modificata in appello, sorge l’obbligo di restituire quanto percepito in eccesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in questo contesto: la restituzione somme deve avvenire al lordo o al netto delle ritenute fiscali? E come si calcolano gli interessi? La Suprema Corte ha fornito chiarimenti fondamentali, consolidando un principio di equità a tutela del lavoratore.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una controversia di lavoro. A seguito di una sentenza di primo grado, un’azienda era stata condannata a pagare una certa somma a un suo ex dipendente. Successivamente, la Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione, ha ridotto l’importo dovuto e, di conseguenza, ha condannato il lavoratore a restituire alla società la parte di somma ricevuta in eccesso. La Corte d’Appello aveva però ordinato la restituzione dell’importo lordo, comprensivo cioè delle ritenute fiscali che l’azienda, in qualità di sostituto d’imposta, aveva versato all’erario, e aveva inoltre applicato su tale importo sia la rivalutazione monetaria che gli interessi.

Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sollevando principalmente due questioni:
1. L’erroneità della condanna alla restituzione della somma lorda (€ 52.347,08) anziché di quella netta effettivamente percepita (€ 36.024,07).
2. L’illegittima applicazione del cumulo di rivalutazione e interessi sulla somma da restituire, un meccanismo previsto dall’art. 429 c.p.c. solo per i crediti di lavoro del dipendente.

La decisione della Corte di Cassazione sulla restituzione somme

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo giudizio. Gli Ermellini hanno ritenuto fondati sia il motivo relativo all’importo da restituire (netto anziché lordo) sia quello sul calcolo degli accessori (interessi e rivalutazione).

Obbligo di restituzione dell’importo netto

La Corte ha ribadito un principio ormai consolidato nella sua giurisprudenza: in caso di riforma di una sentenza, il lavoratore è tenuto a restituire solo quanto ha effettivamente percepito. Le somme corrispondenti alle ritenute fiscali, infatti, non sono mai entrate nel patrimonio del dipendente, essendo state versate direttamente dal datore di lavoro (sostituto d’imposta) all’Amministrazione Finanziaria.

Pretendere la restituzione dell’importo lordo significherebbe imporre al lavoratore di restituire denaro che non ha mai incassato. La Corte chiarisce che il soggetto legittimato a richiedere il rimborso delle imposte non dovute è colui che ha effettuato il versamento, cioè il datore di lavoro. Quest’ultimo può avvalersi degli strumenti previsti dalla normativa fiscale, come l’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 602/1973.

Inapplicabilità del cumulo di interessi e rivalutazione ai crediti del datore

Il secondo punto fondamentale della decisione riguarda il calcolo degli accessori sul debito del lavoratore. La Corte d’Appello aveva applicato l’art. 429 c.p.c., che prevede il cumulo di interessi e rivalutazione monetaria per i crediti di lavoro. La Cassazione ha specificato che questa norma è una disposizione speciale, dettata a protezione del lavoratore, e non può essere applicata in modo estensivo ai crediti del datore di lavoro.

Il credito del datore di lavoro per la restituzione di somme indebitamente percepite è un debito di valuta e, come tale, è regolato dalle norme generali del codice civile, in particolare dall’art. 1224 c.c. Ciò significa che sono dovuti gli interessi legali, ma non la rivalutazione monetaria, a meno che il datore non dimostri di aver subito un ‘maggior danno’. Questa differente disciplina non viola il principio di uguaglianza, come già stabilito dalla Corte Costituzionale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica di ripristino della situazione patrimoniale effettiva delle parti. L’azione di restituzione mira a ristabilire l’equilibrio precedente alla sentenza poi riformata. Pertanto, il lavoratore deve restituire solo l’arricchimento che ha effettivamente conseguito, ovvero la somma netta. Parallelamente, il datore di lavoro, che ha versato imposte non dovute, ha il diritto e gli strumenti per chiederne il rimborso all’erario. La Cassazione sottolinea che l’obbligo fiscale è venuto meno ex tunc (cioè con effetto retroattivo) a seguito della riforma della sentenza. Sia il datore di lavoro (‘sostituto’) sia il lavoratore (‘sostituito’) sono legittimati a chiedere il rimborso fiscale. L’esistenza di questo meccanismo di recupero fiscale rende ingiustificata la pretesa di ottenere la restituzione dell’importo lordo dal lavoratore.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio di tutela per il lavoratore. In caso di riforma di una sentenza favorevole, l’obbligo di restituzione delle somme percepite è limitato a quanto effettivamente entrato nel suo patrimonio. Il datore di lavoro non può rivalersi sul dipendente per le imposte versate, ma deve attivare i canali di rimborso previsti dalla legge tributaria. Inoltre, viene confermato che il regime di favore sul calcolo di interessi e rivalutazione è una prerogativa esclusiva dei crediti del lavoratore, non estendibile ai crediti del datore. La decisione garantisce così un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, evitando un ingiusto pregiudizio per il lavoratore.

Quando un lavoratore deve restituire somme al datore di lavoro dopo la riforma di una sentenza, deve rendere l’importo lordo o quello netto?
Il lavoratore è tenuto a restituire solo l’importo netto che ha effettivamente percepito. Non può essere obbligato a restituire le somme corrispondenti alle ritenute fiscali, poiché queste non sono mai entrate nel suo patrimonio.

Chi è responsabile per il recupero delle tasse versate su somme che poi si sono rivelate non dovute?
Il soggetto che ha effettuato il versamento, ovvero il datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta, ha il diritto e l’onere di richiedere il rimborso delle tasse all’Amministrazione Finanziaria. La legge riconosce la legittimazione a richiedere tale rimborso sia al sostituto (datore) sia al sostituito (lavoratore).

Come si calcolano interessi e rivalutazione sulle somme che il lavoratore deve restituire al datore di lavoro?
Non si applica il meccanismo speciale del cumulo di interessi e rivalutazione previsto dall’art. 429 c.p.c. per i crediti di lavoro. Il credito del datore è un debito di valuta regolato dalle norme ordinarie (art. 1224 c.c.), pertanto sono dovuti solo gli interessi legali, salvo la prova di un eventuale maggior danno da parte del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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