LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Restituzione retribuzioni: quando non è dovuta

Un lavoratore, dopo aver ottenuto la conversione del suo contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato, era stato condannato a restituire parte delle somme percepite. La Corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta di restituzione delle retribuzioni è illegittima per gli stipendi ricevuti dopo la data della sentenza di conversione, poiché da quel momento il rapporto di lavoro si considera ripristinato. L’indennità risarcitoria copre solo il periodo precedente a tale sentenza.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Restituzione Retribuzioni: la Cassazione fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4488/2024, interviene su un tema cruciale nel diritto del lavoro: la restituzione retribuzioni percepite dal lavoratore dopo una sentenza che converte il suo contratto da tempo determinato a indeterminato. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: le somme ricevute dal lavoratore nel periodo successivo alla declaratoria di conversione del rapporto non sono ripetibili, ovvero non devono essere restituite, anche se una precedente condanna al risarcimento viene ridotta.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla dichiarazione di nullità di un contratto di somministrazione di lavoro, che è stato convertito in un rapporto a tempo indeterminato tra un lavoratore e una nota società di servizi. In un primo momento, al lavoratore era stato riconosciuto un cospicuo risarcimento. Successivamente, in sede di rinvio, la Corte d’Appello ha rideterminato l’indennità risarcitoria dovuta, quantificandola in sei mensilità dell’ultima retribuzione. Di conseguenza, ha condannato il lavoratore a restituire al datore di lavoro l’importo maggiore che aveva ricevuto in esecuzione della prima sentenza.

Il lavoratore ha impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando, tra le altre cose, che i giudici d’appello avessero erroneamente ordinato la restituzione anche delle retribuzioni percepite nel periodo tra la data della sentenza di conversione e quella dell’effettivo ripristino del rapporto di lavoro.

Il Principio della Non Restituzione Retribuzioni

Il nodo centrale della questione, affrontato dalla Suprema Corte, riguarda la natura delle somme percepite dal lavoratore dopo che un giudice ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il datore di lavoro, in sede di rinvio, chiedeva la restituzione di tutto l’importo versato in eccesso, comprese le retribuzioni corrisposte dopo la conversione. Il lavoratore, invece, sosteneva la non ripetibilità di tali somme.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il ragionamento dei giudici si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale, che distingue nettamente due periodi:

1. Periodo ‘intermedio’: Va dalla scadenza del contratto a termine illegittimo fino alla sentenza che ne dichiara la conversione. Per i danni subiti dal lavoratore in questo lasso di tempo, la legge (art. 32 della L. 183/2010) prevede un’indennità onnicomprensiva e forfettaria.

2. Periodo successivo alla sentenza di conversione: A partire da questa data, il rapporto di lavoro si considera giuridicamente ripristinato. Pertanto, le retribuzioni corrisposte al lavoratore non hanno più natura risarcitoria, ma rappresentano il corrispettivo della prestazione lavorativa dovuta. Di conseguenza, queste somme sono legittimamente percepite e non possono essere chieste in restituzione.

La Corte d’Appello, condannando il lavoratore a restituire anche queste somme senza alcuna motivazione, ha violato questo principio. La Suprema Corte ha ribadito che «successivamente a detto periodo la retribuzione è dovuta e non è ripetibile», richiamando una sua precedente pronuncia (Cass. n. 13045/2020).

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione rafforza la tutela del lavoratore il cui contratto a termine viene giudicato illegittimo. Stabilisce chiaramente che la sentenza di conversione ha l’effetto di ripristinare il rapporto di lavoro a tutti gli effetti. Qualsiasi stipendio pagato dopo tale data è pienamente dovuto e non può essere oggetto di una successiva azione di restituzione retribuzioni da parte del datore di lavoro.

Questa pronuncia offre una guida importante per casi analoghi: l’indennità forfettaria prevista dalla legge copre esclusivamente il danno per il periodo di mancato lavoro prima della sentenza, mentre dal momento della conversione riprendono a decorrere i normali obblighi retributivi a carico dell’azienda. L’accoglimento di questo motivo ha reso superfluo l’esame delle altre censure (relative alla quantificazione della retribuzione e alla liquidazione delle spese legali), che saranno riesaminate dal giudice del rinvio alla luce del principio affermato.

Cosa ha stabilito la Cassazione sulla restituzione delle retribuzioni percepite dopo la conversione di un contratto?
La Corte di Cassazione ha stabilito che le retribuzioni percepite dal lavoratore dopo la data della sentenza che converte il contratto a termine in uno a tempo indeterminato non devono essere restituite. Tali somme sono considerate il corrispettivo dovuto per la prestazione lavorativa, poiché il rapporto di lavoro si intende ripristinato da quel momento.

Quale periodo copre l’indennità risarcitoria prevista dall’art. 32 della legge n. 183/2010?
L’indennità, definita ‘forfetizzata’ e ‘onnicomprensiva’, copre i danni causati dalla nullità del termine apposto al contratto nel periodo cosiddetto ‘intermedio’, ovvero quello che va dalla scadenza del contratto illegittimo fino alla data della sentenza di conversione.

Perché la Corte di Cassazione ha ‘assorbito’ gli altri motivi di ricorso?
La Corte ha assorbito il primo e il terzo motivo di ricorso perché l’accoglimento del secondo motivo, quello principale sulla non ripetibilità delle retribuzioni, ha comportato la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad un altro giudice. Sarà quest’ultimo a dover decidere nuovamente su tutti gli aspetti della causa, inclusa la quantificazione esatta delle somme e la regolamentazione delle spese legali, rendendo superfluo l’esame specifico di tali motivi da parte della Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati