Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19744 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19744 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6333/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE SALERNO, elettivamente domiciliato in SALERNO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1413/2023 depositata il 05/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 7239/2010, il Tribunale di Salerno ha ingiunto alla società RAGIONE_SOCIALE di corrispondere all’Azienda Sanitaria Salerno (d’ora in poi ASL) la somma di euro 932.539,49, oltre accessori, a titolo di restituzione in ragione dell’avvenuto sforamento della Capacità Operativa Massima (COM) da parte dell’ingiunta in relazione alle prestazioni sanitarie rese negli anni 1999, 2000 e 2001.
Per quanto ancora rileva, il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1834/2021, previa qualificazione della domanda come azione di ripetizione di indebito oggettivo, ha accolto l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo, rilevato che l’ASL, attore sostanziale, non avesse dato la prova, posta suo carico, del preciso ammontare del preteso credito restitutorio.
Il Tribunale, pur avendo rilevato d’ufficio l’inesistenza di contratti in forma scritta ex art. 8 quinquies del D.Lgs n. 502/92, ha ritenuto che la pretesa restitutoria dovesse essere comunque provata, ‘non potendo farsi discendere dal mero dato della inesistenza di un contratto in forma scritta che possa dirsi accoglibile la pretesa restitutoria di qualunque importo preteso dall’Asl, senza che un’esatta commisurazione anche in relazione a quanto sia stato effettivamente erogato’.
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 1413/2023, depositata il 5.12.2023, in accoglimento dell’appello, ha accolto la domanda di restituzione proposta dall’ASL Salerno ai sensi dell’art. 2033 c.c. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE condannando quest’ultima al pagamento, in favore dell’ASL, della somma di euro 932.539,49, oltre accessori di legge.
Il giudice d’appello, per quanto ancora rileva, ha osservato che, a seguito del rilievo officioso in primo grado della nullità del rapporto contrattuale, non era stata provata la stipula di un contratto scritto, valido ed efficace tra le parti relativo al periodo in contestazione, con la conseguenza che i pagamenti eseguiti dall’ASL negli anni 1999, 2000 e 2001 in suo favore, in misura pacificamente superiore alla somma richiesta in restituzione (pari ad euro 932.539,49) erano da considerarsi sine titulo. In particolare, quanto alla prova del pagamento, la COGNOME, in primo grado, aveva contestato solo la sussistenza dei presupposti della restituzione, ma non aveva mai negato l’avvenuto pagamento della somma reclamata, con la conseguenza che, stante la carenza di una causa adquirendi , in accoglimento della domanda proposta in via monitoria ai sensi dell’art. 2033 c.c., tale somma doveva essere restituita all’appellante principale, unitamente agli interessi da computarsi dalla domanda.
Né rilevava, ai fini dell’accoglimento della domanda di ripetizione, che l’ASL avesse addotto a motivo della pretesa restitutoria l’avvenuto sforamento delle Commissioni di Operatività Massima (COM).
Il rilievo di una qualsiasi ragione della mancanza di una valida causa solvendi, pur diversa da quella originariamente prospettata dalla parte, non aveva determinato una “mutatio libelli” con riguardo alla domanda restitutoria la quale trovava sempre fondamento nel carattere indebito della prestazione effettuata sulla base dell’inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo; la causa
petendi dell’azione ex art. 2033 c.c., andava, infatti, ravvisata, nella mancanza (originaria o sopravvenuta), per qualsiasi ragione, di causa solvendi, che rende la prestazione eseguita dal solvens non dovuta.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a sei motivi.
L’ASL ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 115, comma 1, anche in relazione agli artt. 132, comma 4, e 645 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.)’.
Espone la ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto raggiunta la prova dell’avvenuto pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE, da parte della ASL di Salerno, delle somme da quest’ultima pretese in restituzione, nonché del loro esatto ammontare, e ciò sull’errato presupposto che la RAGIONE_SOCIALE avesse contestato in corso di causa soltanto la sussistenza dei presupposti della restituzione, ma non l’avvenuto pagamento della somma pretesa dalla ASL.
In realtà, ad avviso della ricorrente tale contestazione era avvenuta, avendo la ricorrente specificamente contestato -fin dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo l’assenza di idonei documenti dai quali si potesse inferire non solo la prova del pagamento di somme non dovute (in quanto erogate oltre il limite della c.d. COM), ma anche, e più a monte, l’ammontare degli importi asserìtamente versati in eccedenza dalla ASL di Salerno (circostanza, quest’ultima puntualmente evidenziata dal primo Giudice).
Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ex art. 360 art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c..
Si censura la decisione della Corte d’Appello, la quale ha omesso l’esame del fatto decisivo che la RAGIONE_SOCIALE avesse, nei propri atti difensivi, ripetutamente contestato in corso di causa non solo la sussistenza dei presupposti della restituzione, ma, altresì, l’avvenuto pagamento e l’esatto ammontare della somma pretesa in giudizio dalla ASL.
Se questo fatto -sottoposto dalla RAGIONE_SOCIALE alla discussione tra le parti attraverso il deposito degli atti difensivi -fosse stato esaminato dalla Corte d’Appello, quest’ultima non avrebbe potuto ritenere raggiunta la prova dell’avvenuto pagamento e/o del suo esatto ammontare in favore della RAGIONE_SOCIALE sull’errato presupposto che quest’ultima non avesse formulato contestazioni al riguardo.
Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.).
Si censura la nullità della decisione della Corte d’Appello, in quanto fondata su un’errata percezione (e sulla conseguente utilizzazione) di fonti (nella specie la presunta mancata contestazione da parte della RAGIONE_SOCIALE circa il pagamento delle somme da parte della ASL e del loro esatto ammontare), che non sono mai state dedotte in giudizio dalle parti, ovvero di fatti o fonti appartenenti al processo, costituite dall’elaborazione di contenuti informativi in alcun modo riconducibili a dette fonti, neppure in via indiretta o mediata, avendo tali contenuti informativi assunto, nel contesto motivazionale della sentenza, il carattere della decisività.
Tutti e tre motivi, da esaminarsi unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili.
La ricorrente, con l’apparente deduzione della violazione di legge (artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.), o dell’omesso esame di fatto decisivo, in realtà, non fa che svolgere censure di merito in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a
quella operata dalla Corte d’Appello. La censura della ricorrente di errata applicazione, da parte del giudice di merito, del principio di non contestazione investe un elemento valutativo riservato al giudice di merito, avendo questa Corte (cfr. Cass. n. 3680/2019; conf. Cass n. 13217/2014) più volte affermato che ‘Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte’.
La valutazione di fatto svolta dal giudice di merito non è quindi sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione (secondo i criteri di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), vizio che, nel caso di specie è stato solo dedotto nella rubrica del primo motivo, ma senza essere stato minimamente illustrato.
E’ appena il caso di aggiungere che la non contestazione valutata dalla corte non è quella relativa all’importo che sarebbe stato in esubero rispetto al limite massimo dell’accreditamento, ma quella sul fatto dell’avvenuto pagamento, che era il profilo rilevante una volta che la decisione risulti basata sulla mancanza del contratto scritto; alla luce di quest’ultima ratio decidendi non rileva quindi quanto sia stato corrisposto al di sotto e al di sopra del limite dell’accreditamento, che è ciò su cui vertono i tre motivi, poiché ciò che non era dovuto era il pagamento privo di causa (per mancanza di contratto scritto).
Con il quarto motivo è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 345, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.).
La ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia ritenuto la domanda formulata in appello dalla ASL di Salerno (avente ad
oggetto la condanna alla restituzione dell’indebito fondata sulla nullità e/o inesistenza di un contratto scritto, stabilisse i limiti e le modalità della Capacità Operativa Massima della RAGIONE_SOCIALE) nuova, e, pertanto, inammissibile rispetto alla domanda formulata dalla stessa ASL nell’originario ricorso per decreto ingiuntivo (avente ad oggetto la condanna alla restituzione dell’indebito fondata sullo sforamento della Capacità Operativa Massima da parte della RAGIONE_SOCIALE).
6. Il motivo è infondato.
Va osservato che questa Corte ha più volte statuito che non viola il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato il giudice che, nel provvedere sulla domanda restitutoria formulata dalla parte sul presupposto della mancanza originaria o sopravvenuta di una causa acquirendi o solvendi, si limiti a rilevare che questa mancanza è dovuta a una ragione diversa da quella prospettata dall’istante (cfr. Cass. n. 23416/2022; sull’argomento si vedano pure Cass. n. 13504/2021, relativa all’ipotesi del rilievo officioso dell’avvenuta risoluzione consensuale di un contratto del quale era stata chiesta la risoluzione per inadempimento, nonchè Cass. n. 715/2018 e Cass. n. 19502/2015, riguardanti l’ipotesi del rilievo officioso della nullità del contratto di cui era stata chiesta la risoluzione).
Si ritiene, infatti, che, poiché l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto è quella di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., ove venga acclarato il difetto di una causa acquirendi, deve escludersi che la correlazione operata dalla parte fra la domanda restitutoria e una specifica causa di caducazione del vincolo contrattuale impedisca al giudice di accogliere tale domanda sulla base di un presupposto diverso (cfr. Cass. n. 715/2018).
Né rileva che nei precedenti di questa Corte, tale principio sia stato espresso in casi nei quali la parte che aveva proposto la domanda
di restituzione dell’indebito avesse comunque originariamente formulato una domanda ‘demolitoria’ del contratto (di risoluzione) -a differenza del caso di specie in cui la pretesa restitutoria si è fondata sullo sforamento della C.O.M. senza mettere in discussione il contratto (di appalto di servizi) – pur facendo valere una causa di caducazione del vincolo contrattuale diversa da quella rilevata poi dal giudice (nullità).
Ciò che, in realtà, rileva, ai fini dell’applicazione del principio sopra enunciato, non è che la domanda di restituzione dell’indebito debba necessariamente appoggiarsi ad una domanda ‘demolitoria’ del contratto, ma che la causa petendi dell’azione ex art. 2033 c.c. non muta qualunque sia la ragione che faccia venir meno la causa solvendi, che rende la prestazione (del solvens) non dovuta.
La nullità del contratto resta eccezione in senso lato, denunciabile anche in appello in mancanza di un giudicato avente ad oggetto la validità del contratto, giudicato nella specie non sussistente (il Tribunale aveva, anzi, rilevato la carenza del contratto scritto).
Con il quinto motivo di ricorso è stata dedotta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 295 c.p.c., ovvero, in via gradata, dell’art. 112 c.p.c., ovvero, in via ancora più gradata, dell’art. 337, comma 2, c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c..
Si deduce la nullità della decisione della Corte d’Appello: i) per non avere sospeso il giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., stante la pendenza davanti al Giudice Amministrativo della causa avente ad oggetto l’annullamento degli atti amministrativi sui quali la ASL di Salerno aveva fondato la determinazione degli importi richiesti col ricorso per decreto ingiuntivo opposto in primo grado dalla COGNOME; ii) per non essersi la Corte d’Appello pronunziata sulle deduzioni, eccezioni e richieste della COGNOME relative alla pendenza della causa davanti al Giudice Amministrativo; iii) per non avere la Corte d’Appello fornito alcuna motivazione circa i possibili effetti della
sentenza di primo grado emessa dal TAR di Salerno sul giudizio pendente davanti a sé, e circa la conseguente opportunità di sospenderlo nell’attesa che si formasse il giudicato amministrativo.
Con il sesto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 133, comma 1, lett. c) del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo), anche in relazione all’art. 103, comma 1, Cost. ed all’art. 59 della l. 18 giugno 2009, n. 69 (art. 360, comma 1, n. 1), c.p.c.).
Si deduce che la Corte d’Appello ha ingiustamente ritenuto che la giurisdizione spettasse al Giudice Ordinario, e non al Giudice Amministrativo, pur trattandosi di controversia rientrante nell’àmbito della giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.c., in quanto relativa alla concessione di pubblici servizi e coinvolgente questioni attinenti all’esercizio di attività autoritative da parte dell’Amministrazione.
Il quinto ed il sesto motivo, da esaminarsi unitariamente, sono entrambi inammissibili in quanto non si confrontano con la ratio decidendi della decisione impugnata, la quale riposa non sul superamento del limite massimo dell’accreditamento (questione riconducibile al giudizio pendente innanzi al Consiglio di Stato -ciò che rende irrilevante l’intervenuto giudicato amministrativo, su cui si insiste nella memoria), ma sulla nullità derivante dalla carenza del contratto scritto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia
della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 13.6.2025