Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8068 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 23481/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura in calce al controricorso
– controricorrente –
e contro
GIORDANO NOME, GIORDANO NOME
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8068 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
– intimati –
N. 23481/21 R.G.
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Salerno n. 623/2021, depositata il 14.5.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16.1.2024 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, subentrata quale locatrice ad un contratto di locazione di un piccolo locale commerciale sito in Salerno, stipulato in data 1.4.1999, intimò disdetta alla conduttrice RAGIONE_SOCIALE con lettera racc. a.r. del 17.3.2010, così negando il rinnovo alla scadenza del 31.3.2011. Sorta contestazione tra le parti in ordine alla consistenza del bene da restituire (il locale, di originari mq. 8, era stato frazionato dalla conduttrice, che ne aveva ricavato anche un piccolo wc di mq. 2 circa, annesso ad altra u.i.u. di cui la conduttrice stessa aveva la disponibilità, di proprietà di NOME e NOME COGNOME e da questi concessole parimenti in locazione), la COGNOME rifiutò l’offerta formale della società e adì il Tribunale di Salerno con ricorso notificato il 17.10.2012, chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto, con condanna della conduttrice al rilascio e al pagamento dell’indennità di occupazione sine titulo, nonché al ripristino delle originarie condizioni del bene, ovvero al pagamento di quanto all’uopo necessario. La società conduttrice, costituitasi, contestò le avverse domande, chiedendo in via riconvenzionale la condanna al pagamento dell’indennità ex art. 34 della legge n. 392/1978, nonché di essere autorizzata a chiamare in causa NOME e NOME COGNOME, proprietari dell’attiguo locale da essa società condotto in locazione – cui era stato annesso il bagnetto in questione. Costituitasi soltanto la prima, questa chiese accertarsi l’intervenuto acquisto a titolo
originario del piccolo wc, per usucapione ventennale. Espletata l’istruttoria, il Tribunale di Salerno, con sentenza del 14.2.2020, dichiarò la risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice, condannando questa al rilascio del bene e al pagamento della somma di € 5.291,67 per il ripristino del locale, oltre ad € 500,00 mensili dalla data di risoluzione del contratto e sino al rilascio; rigettò le domande riconvenzionali.
Detta sentenza venne appellata in via principale da RAGIONE_SOCIALE, nonché incidentalmente da NOME COGNOME e NOME; nella contumacia di NOME COGNOME , la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 14.5.2021, accolse l’appello principale, rigettò l’incidentale di NOME COGNOME (volto all’incremento dell’indennità già riconosciuta) e dichiarò improcedibile quello di NOME , perché non notificato. Per l’effetto, in riforma della prima sentenza, accertò che il contratto inter partes del 1.4.1999 s’era risolto per disdetta unilaterale della locatrice e non già per inadempimento della conduttrice; che benché detto contratto trovasse origine in un precedente accordo locativo tra i danti causa delle parti, risalente al 1943 ed avente effettivamente ad oggetto un piccolo locale di mq. 8, la consistenza del bene su cui da ultimo le parti avevano pattuito la locazione andava individuata in mq. 5,48, sicché la conduttrice era tenuta a restituire il bene in detta estensione; che conseguentemente l’offerta reale del 25.11.2011 era valida, sicché nessuna illegittima occupazione da parte della conduttrice era configurabile, con conseguente rigetto della domanda attorea, nella parte in cui era stata riconosciuta alla locatrice l’inde nnità di occupazione. La Corte prese atto, infine, che null’altro v’era da disporre circa la restituzione del bene, frattanto avvenuta.
N. 23481/21 R.G.
Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE; entrambe le parti hanno depositato memoria. NOME e NOME COGNOME non hanno svolto difese. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con l’unico motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1590 c.c. e dell’art. 12 delle Preleggi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non aver la C orte d’appello ritenuto che la restituzione del bene, alla cessazione della locazione, debba inerire il bene locato nella consistenza originaria , ossia quella di 8 mq, di cui all’accordo risalente al 1943 tra i danti causa delle parti, e non già quello nella minor consistenza di mq. 5,48.
2.1 -Il ricorso è inammissibile sotto plurimi profili.
Anzitutto, la ricorrente non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza . Infatti, benché la C orte d’appello abbia certamente inquadrato il contratto di locazione del 1.4.1999 quale sostanziale prosecuzione degli accordi susseguitisi tra i danti causa delle parti a far data addirittura dal 1943, essa ha poi accertato che, da ultimo, ciò su cui era caduto l’accordo locativo era un piccolo vano della consistenza di mq. 5,48.
Pertanto, anche a prescindere dalla correttezza (o dall’erroneità) di una tale affermazione, non v’è dubbio che la censura non colga nel segno, perché per poter sostenere che oggetto della restituzione deve essere un bene immobile di mq. 8, identico a quello originariamente locato, avrebbe dovuto censurarsi l’accertamento in fatto circa l’oggetto del contratto del 1.4.1999, ossia su ciò
che -secondo la ricostruzione fatta propria dal giudice del merito – le parti convennero di concedere e di condurre, rispettivamente, in locazione; il che è possibile fare in questa sede di legittimità o con riguardo al profilo motivazionale (nei ristretti limiti in cui ciò è ancora possibile – v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), oppure censurando detto accertamento perché frutto di una (ipotetica) diversa volontà delle parti, rispetto a quanto valutato dalla stessa Corte salernitana: si tratta di questioni, però, che non risultano minimamente agitate dalla ricorrente.
In altre parole, il motivo -per come proposto – non si correla affatto alla motivazione della sentenza impugnata, che, come detto, ha assunto quale oggetto di valutazione la stipulazione del nuovo contratto di locazione, che la stessa parte ricorrente riconosce essere avvenuta con scrittura privata registrata il 15.4.1999. Pertanto, p oiché una ‘rinnovazione’ degli accordi con tale contratto integra -essendo frutto di nuova manifestazione di volontà negoziale – un nuovo contratto, la postulazione dell’applicazione della rilevanza dell’art. 1590 c.c. con riferimento all’originario contratto (risalente al 1943) non risulta in alcun modo pertinente con la motivazione della Corte territoriale, sicché il motivo risulta inammissibile in quanto argomenta ignorandola.
Infine, occorre anche rilevare che il ricorso è pure inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ), perché si fa riferimento a documenti (in particolare, il contratto del 1.4.1999), senza che ne sia specificata l’epoca di produzione e la attuale collocazione processuale.
3.1 -Il ricorso è dunque nel complesso inammissibile.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla va disposto nei rapporti con NOME e NOME COGNOME, che non hanno svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge. Distrae le spese così liquidate a favore dei difensori della parte resistente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno