Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7199 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15235/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME con elezione di domicilio digitale presso gli indirizzi PEC dei difensori;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con elezione di domicilio digitale presso gli indirizzi PEC dei difensori;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1778/2024 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/06/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto n. 15838/2021, con cui il Tribunale di Milano le aveva ingiunto il pagamento dell’importo di euro 95.780,21 in favore di RAGIONE_SOCIALE a titolo di restituzione del deposito cauzionale che quest’ultima avev a a sua volta dovuto restituire all’RAGIONE_SOCIALE, ex conduttrice di un capannone in Buccinasco che l’opposta aveva acquistato dall’opponente subentrando così nel rapporto locatizio ancora in essere alla data dell’acquisto.
A sostegno dell’opposizione, RAGIONE_SOCIALE deduceva di nulla dovere alla RAGIONE_SOCIALE, poiché le parti avevano determinato il prezzo della compravendita del capannone tenendo conto del subentro dell’acquirente in tutte le posizioni discendenti dal contratto di locazione, compresa l’obbligaz ione di restituzione, alla cessazione del rapporto, del deposito cauzionale a suo tempo versato dalla locataria.
Nella resistenza della convenuta, il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione, dichiarando esecutivo il provvedimento monitorio opposto.
Interposto gravame da parte di RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1778/2024, ha confermato integralmente la decisione di primo grado. A sostegno della propria decisione, la Corte territoriale ha in particolare osservato che: a) secondo l’insegnamento della Suprema Corte, espresso nella
sentenza n. 23164/2013, il deposito cauzionale, avente natura di pegno irregolare, non può essere trattenuto dal venditore del bene locato in difetto di espresso accordo con il compratore; b) dall’esame del contratto preliminare e del definitivo di vendita intercorsi tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non risultava alcun riferimento al deposito cauzionale nella determinazione del prezzo; c) il prezzo era stato dalle parti espressamente determinato ‘a corpo’, senza prevedere, nemmeno nell’esplicazione delle re lative modalità di pagamento, alcuna compensazione con l’importo del deposito cauzionale; d) l’espressione contenuta nella clausola 4.1. del preliminare, secondo cui la promissaria acquirente sarebbe subentrata in tutte le posizioni attive e passive discendenti dai contratti di locazione in corso, ‘ avendo le parti considerato tale effetto anche nelle determinazione del prezzo di vendita ‘, non dimostrava in alcun modo, in difetto di un chiaro ed inequivocabile riferimento in tal senso, che le contraenti avessero deciso di detrarre dal prezzo l’importo del deposito cauzionale.
Contro tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza, RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria illustrativa con la quale ha insistito nelle proprie richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico, articolato, motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE denunzia ‘ violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) in relazione agli articoli 1362, commi 1 e 2 c.c., 1363 c.c., 1367 c.c. ‘. La ricorrente deduce che la Corte distrettuale non avrebbe fatto buon governo dei criteri di interpretazione soggettiva del contratto;
osserva che nel preliminare le parti avevano fatto espresso riferimento sia ai contratti di locazione in essere, sia alla disdetta già inviata dall’Associazione Granaria di Milano, cosicché il riferimento al subentro nelle posizioni ‘ attive e passive ‘ discendenti dai suddetti rapporti, quale effetto preso in considerazione dalle parti ‘ nella determinazione del prezzo di vendita ‘, non poteva che intendersi rivolto, secondo il significato letterale delle parole e attraverso un’analisi sistematica di tutte le clausole, anche all’obbligo di restituzione del deposito cauzionale. Sostiene, ancora, che il giudice di merito non avrebbe tenuto conto del comportamento avuto dalle parti dopo la stipula, e in particolare non avrebbe considerato che l’acquirente aveva at teso quattordici mesi prima di richiedere alla venditrice il trasferimento del deposito cauzionale, lasso temporale, quest’ultimo, ‘ decisamente ampio ‘ per un soggetto ‘ che avesse realmente ritenuto di vantare un credito di 90.000,00 euro ‘. Deduce, infine, la violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., in quanto la Corte distrettuale avrebbe finito, secondo la prospettazione della ricorrente, per privare di qualsiasi significato, e quindi di efficacia, la clausola n. 4.1. del preliminare, ri tenuto che il subentro dell’acquirente in tutti i rapporti relativi all’immobile venduto era stato già previsto dalle parti al punto 2.2. del contratto.
La censura deve essere disattesa.
Secondo il costante e consolidato insegnamento di questa Corte, l’accertamento della volontà delle parti espressa nel contratto si traduce in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362
e ss. c.c.: pertanto, il ricorrente per cassazione, non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni che si assumono violati. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non può essere considerata idonea la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata mediante la contrapposizione di una difforme (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. Sez. L, Sentenza n. 15381 del 09/08/2004, Rv. 575326; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15804 del 28/07/2005, Rv. 583112; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5475 del 14/03/2006, Rv. 590099; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31/05/2010, Rv. 613151; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17717 del 29/08/2011, Rv. 619031; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 873 del 16/01/2019m Rv. 652192). Infatti, ‘ Per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata
l’altra ‘ (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063; Cass, Sez. L, Ordinanza n. 18214 del 03/07/2024, Rv. 671915). Detto in altri termini, in sede di legittimità non può essere attinto il risultato plausibile dell’interpretazione del negozio operata dal giudice di merito, ma i criteri utilizzati nell’attività di interpretazione, ove non corrispondenti al modello legale.
Nella fattispecie, i criteri ermeneutici indicati nella rubrica dell’unico motivo di ricorso non risultano violati, in quanto la Corte d’Appello ha ricercato la comune intenzione dei contraenti alla luce del significato complessivo delle clausole nella loro reciproca connessione: in particolare, il giudice di merito non si è limitato a constatare che le contraenti non avevano fatto alcun riferimento specifico alla somma di euro 90.000,00 da restituire all’Associazione Granaria di Milano (cosicché deve esser e disattesa la censura della ricorrente, la quale imputa alla Corte territoriale di aver sovrapposto i concetti di ‘previsione espressa’ e ‘previsione letterale’), ma ha osservato che il prezzo dell’immobile compravenduto era stato espressamente determinat o ‘a corpo’, senza prevedere alcuna compensazione con l’importo del deposito cauzionale, decurtazione che non risultava prevista nemmeno nella parte in cui erano state indicate le modalità di pagamento del corrispettivo, ed ha dunque concluso che la volontà delle parti non poteva essere interpretata nel senso che il prezzo fosse stato concordato tenendo conto del deposito cauzionale.
La Corte distrettuale ha inoltre rispettato il criterio di conservazione del contratto di cui all’art. 1367 c.c., avendo osservato che il subentro dell’acquirente in tutte le ‘posizioni attive
e passive’ (e non ‘creditorie e debitorie’) derivanti dai contratti di locazione in corso, indicato dalle parti quale parametro di cui si era tenuto conto ‘nella determinazione del prezzo di vendita’, in difetto di uno specifico riferimento al preciso importo di euro 90.000,00 relativo alla cauzione, doveva intendersi riferito alle obbligazioni passive a carico del locatore nelle quali RAGIONE_SOCIALE sarebbe subentrata, quali le obbligazioni di mantenere il bene in istato da servire all’uso convenuto, di gara ntirne il pacifico godimento al locatario, di eseguire le riparazioni necessarie, di garantire i vizi della cosa ecc. (cfr. pagg. 5-8 della sentenza).
È del tutto irrilevante, poi, ai fini dell’esegesi del negozio, che l’acquirente abbia atteso quattordici mesi prima di richiedere il trasferimento del deposito cauzionale: infatti, ‘ In materia di interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti successivamente alla sua conclusione può rilevare ai fini ermeneutici solo qualora integri gli estremi della condotta comune ad entrambe, al fine di meglio stabilire quale fosse la loro comune intenzione in ordine al contenuto della pattuizione ‘ (c fr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 415 del 12/01/2006, Rv. 586216; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12535 del 19/07/2012, Rv. 623313). L’atteggiamento unilaterale di uno dei contraenti non può dunque essere elevato, di per sé, a criterio ermeneutico del negozio, fermo restando che nella fattispecie l’iniziale inerzia di RAGIONE_SOCIALE costituisce comportamento neutro, dal quale non è possibile desumere in modo inequivoco alcun elemento significativo della volontà delle parti di detrarre dal prezzo di vendita l’ammo ntare della cauzione, alla quale nel negozio non viene fatto alcun espresso riferimento.
D’altra parte, la pronuncia impugnata, nella parte in cui ha richiesto un esplicito accordo tra le parti in ordine al mancato trasferimento del deposito cauzionale, è coerente con l’insegnamento di questa Corte, peraltro espressamente richiamato dal giudic e di merito, secondo cui ‘ L’acquirente di immobile locato, subentrando nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, agli effetti dell’art. 1602 cod. civ., è tenuto altresì alla restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore. Ne discende che il venditore del bene locato ha l’obbligo di trasferire il possesso della cauzione ricevuta, salvo esplicito diverso accordo con l’acquirente, il che avviene quando dal contratto risulti che il mancato trasferimento della somma di denaro corrispondente alla cauzione sia stato oggetto di compensazione nei rapporti di dare e avere tra le parti, oppure quando il prezzo della vendita sia stato concordato sin dall’inizio in misura ridotta, tenendo conto del valore della cauzione stessa ‘ ( cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23164 del 11/10/2013, Rv. 628712).
In conclusione, poiché i criteri interpretazione del negozio di cui la ricorrente denuncia la violazione risultano nella fattispecie rispettati, l’unica censura posta alla base del ricorso deve essere disattesa, non potendosi in questa sede sindacare il risultato cui è pervenuto il giudice di merito all’esito della propria attività ermeneutica.
Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi euro 7000 per compensi, più euro 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione