Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2734 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2734 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME , rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Empoli, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE società incorporante RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliate presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Oggetto:
Intermediazione finanziaria Argentina
Bond
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 1285/2020, pubblicata il 13.7.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-Il tribunale di Firenze con sentenza n.761/2015, in accoglimento della domanda dell’attrice COGNOME, ha dichiarato la nullità del contratto intermediazione finanziaria concluso tra questa e la Cassa di Risparmio di Firenze il 23.7.1992 e di conseguenza dell’ordine di acquisto di Bond Argentina del 18.11.1999, con conseguente condanna della banca alla restituzione del controvalore investito, detratto quanto già oggetto di vendita prima del default del titolo, per un totale di € 80.000 , oltre alla condanna della cliente alla restituzione dei soli titoli detenuti in portafoglio.
2.─ Argomentava il Tribunale che la perizia grafologica espletata aveva consentito di appurare che la firma apposta sul contratto di intermediazione era apocrifa e pertanto, attesa la mancanza di valida forma scritta del contratto, richiesta ad substantiam dall’art. 23 TUF, questo doveva considerarsi nullo. La nullità del contratto quadro ha assorbito tutte le altre domande proposte dalla Ristori di annullamento e di risoluzione del contratto per difetto di informazione in merito alla elevata rischiosità del titolo. Il tribunale ha poi disatteso la domanda di RAGIONE_SOCIALE di restituzione delle cedole riscosse dalla cliente in quanto percepite in buona fede quale frutto civile.
─ Intesa San Paolo s.p.a. proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Firenze che, con sentenza qui impugnata, accoglieva parzialmente l’appello e condannava COGNOME Anna alla restituzione delle cedole riscosse in ragione dell’investimento in Bond dello stato argentino.
4 .─ Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
la ratifica ex post di un contratto nullo è giuridicamente preclusa ex art. 1423. La natura speciale della nullità non stravolge i principi a carattere generali in materia di vizio genetico dell’atto che impediscono ogni forma di convalida o ratifica;
l’uso selettivo del rilievo della nullità del contratto quadro non contrasta, in via generale, con lo statuto normativo delle nullità di protezione, ma la sua operatività deve essere modulata e conformata dal principio di buona fede secondo un parametro da assumersi in modo univoco e coerente;
per accertare se l’uso selettivo della nullità di protezione sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio all’intermediario, si deve verificare l’esito degli ordini non colpiti dall’azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità;
la domanda di restituzione delle cedole è ammissibile, poiché è stata formulata nel corpo delle conclusioni con specifico riferimento alle cedole;
nell’ipotesi di accertata nullità del contratto di investimento, il venir meno della causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporta l’applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo, di cui all’art. 2033 c.c. con il conseguente sorgere dell’obbligo restitutorio reciproco, subordinato alla domanda di parte ed all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova, avente ad oggetto, da un lato, le somme versate dal cliente alla banca per eseguire l’operazione e, dall’altro lato, i titoli consegnati dalla banca al cliente e gli altri importi percepiti a titolo di frutti civili o di corrispettivo per la rivendita a terzi, a norma dell’art. 2038 c.c. con conseguente compensazione tra i reciproci debiti fino alla concorrenza;
trovando applicazione la normativa dell’art. 2033 c.c., affinché la Banca possa ottenere la restituzione delle cedole deve poter vincere la presunzione di buona fede che legittima la investitrice a ritenere i
frutti: tale presunzione, alla luce di quanto è proprio emerso in primo grado, deve ritenersi vinta poiché è la stessa COGNOME ad ammettere di non aver firmato il contratto di intermediazione che dava titolo alla banca di procedere su suo ordine all’investimento;
Nessun pregio riveste poi la difesa dell’appellata in merito al difetto di legittimazione della banca a richiedere la restituzione delle cedole in quanto il pagamento non è ad essa riferibile ma allo Stato argentino: avendo la Carife agito, da intermediaria nella negoziazione del Bond, così come ha diritto alla restituzione del titolo, al pari ha diritto alla percezione dei rendimenti per effetto della caducazione del contratto.
─ COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con quattro motivi articolati in più censure ed anche memoria.
Intesa San Paolo s.p.a. ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
5. ─ Con il primo motivo: violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 167 c.p.c. Art. 360, n. 4, c.p.c. La Corte ha male interpretato il contenuto della domanda di restituzione delle cedole che non è stata formulata in modo specifico.
5.1 ─ La censura è inammissibile.
La rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile:
ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.;
b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della
domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum , potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando , in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di error facti , nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 11103/2020). Nel caso in esame non è configurabile tale tipologia di sindacabilità poiché la Corte ha ritenuto che il contenuto della domanda si potesse ricostruire sia dalle conclusioni rassegnate, ove si indicavano gli interessi sia dal corpo dell’atto ove si faceva chiaro riferimento alle cedole: ciò in conformità con lo scontato indirizzo di questa Corte secondo cui il petitum è comunque individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva.
In ogni caso, non possono essere qualificate domande nuove le specificazioni delle singole componenti del danno subìto formulate, nel corso del giudizio d’appello, una volta che la domanda originaria faccia genericamente riferimento alla voce complessiva (anche se riferita a fattispecie concreta diversa v., Cass., n. 2340/2024; Cass., n. 15523/2019).
6. -Con il secondo motivo: violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. Omessa e contraddittoria motivazione. Art. 360, n. 4, c.p.c.
6.1 -La censura è inammissibile.
L’importo richiesto è stato allegato dalla Banca sin dalla comparsa di costituzione con le scritture contabili da cui si evince l’accredito delle cedole. La Corte ha ritenuto il fatto non contestato perché le contestazioni dell’attuale ricorrente non sono state tempestive e pur non negando di aver percepito le cedole non ha mai allegato su un importo diverso da quello documentato dalla banca. In ogni caso l’ apprezzamento della Corte di merito è insindacabile in questa sede, dal momento che inerisce a un dato di fatto: e, del resto, non è stato nemmeno censurato ex art. 360, n. 5. c.p.c. (Cass., n. 13541/2017; Cass., n. 3680/2019).
7. ─ Con il terzo motivo: Falsa ed erronea applicazione degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. Art. 360, n.3, c.p.c. la presunzione legale di buona fede non è stata vinta con una prova diretta e nemmeno con presunzioni semplici.
7.1 ─ Il motivo è inammissibile.
L’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso al ragionamento presuntivo e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di prova, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla coerenza della relativa motivazione (Cass., n. 3983/2003; Cass., n. 2431/2004; Cass., n. 9225/2005; Cass., n. 1216/2006; Cass., n. 21745/2006; Cass., n. 27284/2006; Cass., n. 5332/2007; Cass., n. 15219/2007)
Quanto alla denunciata violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., il motivo si infrange contro il principio, affermato tra le tante da Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione:
-) per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con
la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
-) la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il s uo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
In breve trattasi di censura di pieno merito.
8.─ Con il quarto motivo: A) Falsa ed erronea applicazione degli artt. 1375, 1175 e 1176 c.c. in relazione all’art. 2033 c.c.; B) Illogicità della motivazione (art. 132, n.4, c.p.c.); C) Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti. Art. 360, nn. 3, 4, e 5 c.p.c.
8.1 ─ Il motivo è inammissibile.
Sarà sufficiente osservare che esso prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass., nn. 16448 e 4979/2024; Cass., nn. 35782, 30878, 27505 e 4528/2023; Cass., nn. 35832 e 6866/2022; Cass., n. 33348/2018; Cass., nn. 19761, 19040, 13336 e 6690/2016; Cass., n. 5964/2015; Cass., nn. 26018 e 22404/2014). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. n. 4979/2024; Cass., nn. 35782, 30878 e 27505/2023; Cass., nn. 11222 e 2954/2018; Cass., nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554/2017; Cass., nn. 21016 e 19133/2016; Cass., n. 3248/2012; Cass., n. 19443/2011). Una tale impostazione, che assegna al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze della parte ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse, finisce con il sovvertire i ruoli dei diversi soggetti del processo e rende il contraddittorio aperto a conclusioni imprevedibili, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria. È
sicuramente vero, peraltro, che, in tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (cfr. Cass., n. 39169/2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., Sez. U, n. 9100/2015; Cass. n., 7009/2017; Cass., n. 26790/2018). Tanto, però, non rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
9. ─ Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione