Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 27975  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
OGGETTO: sanzioni amministrative
RG. NUMERO_DOCUMENTO/2021
C.C. 8-10-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 28891/2021 R.G. proposto da: COGNOME  NOME,  c.f.  CODICE_FISCALE,  rappresentato  e difeso dall’AVV_NOTAIO ;
ricorrente
contro
BANCA D’ITALIA , c.f. 00997670583, in persona del legale rappresentante pro  tempore, rappresentata  e  difesa  dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ;
contro
ricorrente avverso  la  sentenza  n.  2544/2021 della  Corte  d’ appello  di  Roma, pubblicata il 7-4-2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
8-10-2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 145, co. 4, d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 come modificato dal d.lgs. 12 maggio 2015 n. 72, depositato il 19-52019 avanti la Corte d’appello di Roma , NOME COGNOME proponeva opposizione al la delibera n. 165/2019 della Banca d’Italia, con la quale gli era stata irrogata la sanzione amministrativa di euro 25.000,00 per
le violazioni di cui a ll’art. 53 , co. 1, lett. b), d), e 144 d.lgs. 385/1993 nel testo previgente al d.lgs. 72/2015, commesse nella qualità di vicedirettore di Banca Valdichiana Credito Cooperativo di Chiusi e Montepulciano, in relazione a condotte irregolari poste in essere da settembre 2014 a maggio 2016 da alcuni dipendenti nella gestione dei rapporti bancari riferiti a un soggetto affidato, che avevano messo in evidenza significative carenze nel sistema dei controlli, con ricadute negative sui profili di rischio della banca; ciò in quanto sui conti delle società affidate riconducibili al cliente NOME COGNOME venivano versati, in coincidenza con la fine di ogni mese, assegni bancari che erano poi richiamati il primo giorno lavorativo successivo, senza inoltro alla banca trattaria, al fine di evitare che le segnalazioni alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE evidenziassero il perdurante e crescente sconfinamento delle linee di credito; il soggetto affidato teneva contatti con la banca principalmente per il tramite del vicedirettore generale, il quale impartiva al preposto dell’agenzia interessata disposizioni e autorizzazioni in merito all’operatività da porre in essere .
La Corte d’appello di Roma , con sentenza n. 2544/2021 pubblicata il  7-4-2021,  rigettava l’opposizione  e  condanna va l’opponente  alla rifusione delle spese di lite.
Con detta sentenza veniva respinta la tesi del ricorrente secondo la quale le irregolarità commesse nella negoziazione degli assegni fossero attribuibili in via esclusiva agli operatori di sportello e al preposto di filiale; di poi, si osservava come l’opponente non avesse negato di avere autorizzato, per un prolungato periodo di tempo e con cadenza mensile, il richiamo degli assegni di NOME COGNOME, non incassabili per assenza di provvista o su richiesta dello stesso COGNOME, per cui egli aveva autorizzato l’anomala operatività del conto, tenendo i rapporti con il cliente e avvallando le irregolarità anche se materialmente commesse dal preposto.
La Corte territoriale aggiungeva che l’irregolarità contestata era relativa a carenze del sistema di controllo interno, che non avevano impedito o comunque intercettato la prassi anomala, e tali carenze erano direttamente imputabili al COGNOME quale vicedirettore; le autorizzazioni al richiamo degli assegni avevano impedito alla funzione di controllo del credito di intercettare l’anomalia della posizione debitoria del gruppo RAGIONE_SOCIALE e l’attivazione dei conseguenti sistemi di report agli organi aziendali.
La sentenza della Corte di appello rigettava, altresì, le deduzioni del ricorrente in ordine al fatto che le condotte irregolari non avevano esposto la Banca a significativi rischi operativi, rilevando che gli illeciti in materia bancaria erano illeciti di pericolo volti ad assicurare il rispetto della legalità e la non compromissione degli interessi tutelati, in un settore nel quale la disciplina pubblicistica si connotava in senso marcatamente preventivo; il recupero ex post della complessiva esposizione non aveva alcun rilievo rispetto all ‘infrazione contestata, che riguardava la violazione dei doveri di controllo interno rispetto alla gestione del rischio operativo.
Infine la sentenza escludeva la violazione dei criteri di determinazione  della  sanzione,  tenendo  conto  in  particolare  della diretta imputabilità all’opponente delle violazioni contestate, della loro durata, della piena consapevolezza delle condotte poste in essere, della oggettiva  gravità  delle  condotte  e  del  ruolo  rivestito  dal  ricorrente all’interno dell’istituto di credito.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la citata sentenza affidandolo a cinque motivi.
La Banca d’Italia ha resistito con controricorso.
All’esito della camera di consiglio del giorno 8-10-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo -rubricato ‘art. 360 comma 1 n.4: nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 145 comma 7 T.U.B. 221 comma 4 D.L. 34/2020 convertito con Legge n. 77/2020’ -il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia disposto la sostituzione della discussione orale prevista per il giorno 11-122020 con l’udienza in forma cartolare e sostiene che ciò abbia determinato l’insanabile nullità del procedimento e della sentenza; assume che l’art. 1 , co. 53, d.lgs. 72/2015, che ha modificat o l’art. 145 TUB stabilendo che ‘le parti procedono alla discussione orale della causa’, sia disposizione inderogabile e che quindi l’omessa celebrazione dell’udienza pubblica non avrebbe potuto essere consentita dall’art. 221 , co. 4, d.l. 34/2020 (conv. con mod. dalla legge 77/2020).
R ileva che vi era stato il rinvio d’ufficio dell’udienza del 13 -6-2020 all’11 -12-2020 sul presupposto che l’emergenza Covid non avrebbe consentito l’adeguato svolgimento della stessa e con provvedimento dell’8 –NUMERO_DOCUMENTO era stata disposta la trattazione dell’udienza in forma scritta; aggiunge che la richiesta di rinvio per consentire la trattazione orale della causa formulata nelle note di trattazione scritta del 3-122020 era stata disattesa dalla Corte d’appello senza alcun provvedimento, avendo il ricorrente ricevuto solo la comunicazione di deposito della sentenza.
1.1. Il motivo è infondato.
L’art. 221 , co. 4, d.l. 34/2020, conv. con mod. dalla legge 77/2020, prevede ‘Il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le solo istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a cinque
giorni prima della predetta data per il deposito di note scritte. Ciascuna delle  parti  può  presentare  istanza  di  trattazione  orale  entro  cinque giorni  dalla  comunicazione  del  provvedimento.  Il  giudice  provvede entro  i  successivi  cinque  giorni.  Se  nessuna  delle  parti  effettua  il deposito  telematico  di  note  scritte,  il  giudice  provvede  ai  sensi  del primo comma dell’articolo 181 del codice di procedura civile’.
La disposizione, rientrante tra quelle recanti misure in materia di giustizia emanate al fine di tenere conto delle esigenze sanitarie derivanti dalla diffusione del Covid-19 (cfr. comma 2 del medesimo art. 221), si riferisce in generale a tutte le ‘udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti’, senza introdurre distinzioni o deroghe. Di conseguenza, in rapporto alla sua finalità precipua e in mancanza di deroghe ed eccezioni relative alla natura della causa, è già stato statuito che la disposizione trova applicazione anche alle controversie di lavoro, comprese quelle assoggettate al rito ex lege 92/2012 (Cass. Sez. L 14-5-2024, n. 13176) e non vi è ragione per non applicare il medesimo principio anche al procedimento in oggetto.
Per altro verso, la circostanza che il ricorrente avesse chiesto la trattazione orale soltanto nelle note scritte, e perciò oltre il termine previsto dal citato art. 221, co. 4, d.l. 34/2020 – di cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento che aveva disposto la trattazione scritta – esclude che lo stesso possa dolersi del fatto che la Corte d’appello non abbia preso esplicitamente in esame tale istanza: la richiesta è stata implicitamente rigettata in quanto, essendo tardivamente formulata, non avrebbe comunque potuto comportare la revoca del provvedimento che aveva disposto l’udienza a trattazione scritta.
Il  secondo motivo è intitolato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 144 T.U.B. in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c.;
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; illogicità della motivazione’ .
Con esso il ricorrente sostiene, in primo luogo, di non avere mai ammesso di avere tenuto il rapporto con il cliente e di avere avallato le irregolarità, in quanto egli aveva dichiarato di essersi limitato, nel rispetto delle proprie competenze, ad autorizzare il richiamo di assegni su esplicite e documentate richieste del cliente; aggiunge che, ai sensi dell’art. 8 legge 386/1990 , l’autorizzazione della banca al richiamo degli assegni non sostenuti da adeguata provvista costituisce attività legittima e che la finalità di evitare le segnalazioni alla RAGIONE_SOCIALE di allarme interbancaria era una mera congettura, mentre l’esposizione debitoria era rimasta sostanzialmente invariata nei confronti della Banca Valdichiana nel periodo in contestazione; assume che, in base a un vero e proprio salto logico, la sentenza abbia ritenuto responsabile diretto delle illegittime condotte del preposto il ricorrente e che sussista il vizio di omesso esame di fatto decisivo con riguardo alle previsioni dei regolamenti in tema di negoziazione di assegni, che avrebbero consentito di comprendere l’assenza di responsabilità del ricorrente.
Evidenzia  come  i  regolamenti  dispongano che  sia  l’addetto  allo sportello  a  verificare  i  dati  anagrafici  del  portatore  e  a  eseguire  gli accertamenti  formali  sull’assegno  bancario ,  mentre  il  responsabile della filiale verifica la disponibilità dei fondi, con totale autonomia di tali soggetti.
Lamenta  che  sia  stata  del  tutto  omessa  anche  la  disamina dell’Informativa al Pubblico ex III Pilastro al 31 -12-2014, che avrebbe condotto all’esclusione della sua responsabilità.
2.1. Il motivo, nonostante la riportata intitolazione, non individua nella  sentenza  impugnata  alcun  vizio  sussumibile  nell’ipotesi  di  cui all’art.  360 ,  co.  1,  n.  3  cod.  proc.  civ.  e  si  concreta,  in  realtà,  nella confutazione  della  ricostruzione  in  fatto  effettuata  con  la  sentenza
impugnata,  con  riguardo  alla  responsabilità  del  vicedirettore  per  le condotte accertate.
Sotto  questo  profilo,  il  motivo  è,  in  primo  luogo,  inammissibile laddove propone una complessiva rilettura delle risultanze probatorie al fine di negare il coinvolgimento del vicedirettore nelle condotte.
In proposito, si evidenzia come la sentenza impugnata abbia accertato in fatto che il ricorrente, in qualità di vicedirettore, teneva i rapporti con il cliente avallando le irregolarità, anche se materialmente commesse dal preposto, senza intervenire tempestivamente per ovviare alla prassi illegittima, consistita nell’avere autorizzato per un prolungato periodo di tempo e con cadenza mensile il richiamo degli assegni del COGNOME non incassabili per assenza di provvista o su richiesta del COGNOME , con l’ effetto di evitare la segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente nega che sia questa la ricostruzione dei fatti corretta ma gli argomenti non sono apprezzabili in questa sede, in quanto svolti sulla base dell’erroneo presupposto che il giudizio di cassazione configuri un terzo grado di merito nel quale riproporre la propria ricostruzione dei fatti. Gli argomenti non sono utili neppure a fare emergere un qualche vizio nella motivazione rilevante in sede di legittimità, perché il ricorrente – nel negare il suo coinvolgimento quale vicedirettore nei fatti e, in particolare, nel negare che il tenere i rapporti con il cliente comportasse che il direttore conoscesse e avallasse la prassi anomala – non considera quanto posto in risalto dalla sentenza impugnata, in ordine al prolungato periodo di tempo -da settembre 2014 a maggio 2016 – e alla cadenza mensile delle condotte di anomala presentazione e ritiro degli assegni; logicamente, si tratta di elementi in sé incompatibili con il dato che quale vicedirettore – proprio per il fatto che teneva direttamente i rapporti con il cliente COGNOME – fosse all’oscuro delle con dotte medesime.
Del resto, non sussiste neppure l’omesso esame di fatti decisivi con riguardo alla mancata disamina delle disposizioni della banca relative alle procedure di negoziazione degli assegni, perché la sentenza ha espressamente dato atto che era irrilevante appurare se il ricorrente, quale vicedirettore, avesse o meno violato quelle disposizioni interne, in quanto -nell’esercizio di quella carica – aveva autorizzato il richiamo degli assegni e l’anomala operatività del conto ; si tratta di accertamento in fatto, in ordine alla condotta concretamente posta in essere dal COGNOME nella qualità di vicedirettore, che non è attinto in termini ammissibili nel giudizio di legittimità dagli argomenti dallo stesso spesi.
Con  il  terzo  motivo  il  ricorrente  deduce  ‘ violazione  e  falsa applicazione dell’art. 3 Legge n. 689/1981 in rapporto con l’art. 360 comma 1 n. 3; contraddittorietà e illogicità della motivazione’ .
Con tale censura si assume che, alla stregua delle prerogative del consiglio di amministrazione della banca e della specifica responsabilità del  direttore  della  filiale,  sia  illogica  la  sentenza  impugnata  laddove imputa al vicedirettore le carenze nel sistema di controlli interni della banca.
Il ricorrente sostiene che il convincimento della Corte d’appello in ordine alla sua responsabilità quale vicedirettore ruota esclusivamente attorno al rapporto commerciale intrattenuto dallo stesso con il suddetto cliente, senza alcuna confutazione delle prove addotte dall’incolpato ; evidenzia come dai verbali risulti che le negoziazioni degli assegni erano gestite dagli operatori di sportello e dal preposto di filiale, di fatto con disattivazione o aggiramento dei relativi presidi di controllo, senza che vi fosse stata alcuna autorizzazione del vicedirettore.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste
nella deduzione di una erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta recata da una disposizione di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 25-3-2025, n. 7871; Cass. Sez. 1 5-2-2019, n. 3340; Cass. Sez. 1 13-10-2017, n. 24155; Cass. Sez. L 11-1-2016, n. 195).
Nella fattispecie si è completamente al di fuori della deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta perché la censura, dietro lo schermo della violazione di legge, sollecita una ricostruzione dei fatti diversa da quella eseguita dalla Corte territoriale, nel senso della mancanza di qualsiasi coinvolgimento di esso ricorrente, nella qualità di vicedirettore, per il fatto che la negoziazione degli assegni spettava agli operatori di sportello e al direttore della filiale. Al contrario, come già evidenziato, la Corte d’appello ha accertato in fatto, in termini che resistono al sindacato di legittimità, che il COGNOME, quale vicedirettore, intratteneva personalmente i rapporti con il cliente COGNOME, era a conoscenza delle irregolarità anche se materialmente poste in essere da altri e non era intervenuto per ovviare alla prassi illegittima.
Le argomentazioni del ricorrente sono, in sostanza, volte a negare che egli, quale vicedirettore, per il fatto di intrattenere il rapporto con il cliente, fosse anche a conoscenza della prassi illegittima ma, si ripete, si rimane nell’ambito della critica all’apprezzamento in fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità.
Con  il  quarto  motivo,  intitolato  ‘ nullità  della  sentenza  per violazione  e  falsa  applicazione  dell’art.  112  c.p.c.,  144 -bis  T.U.B.  in
relazione all’art. 360 comma 1 n. 4′, il ricorrente censura il capo della sentenza che ha ritenuto congrua la misura della sanzione irrogata, lamentando che sia stato posto in primo piano il ruolo di artefice del ricorrente rispetto alle carenze del sistema di controlli interni.
Il COGNOME lamenta, altresì, che sia stata trascurata l’invocata applicazione dell’art. 144 -bis TUB, laddove prevede che, per le violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità, la Banca d’Italia, in alternativa all’applicazione delle sanzioni amministrative, possa emettere l’ordine di eliminare le infrazioni, indicando le misure da adottare; sostiene che la disposizione sia applicabile ratione temporis alla fattispecie ed evidenzia come la banca avesse concluso una transazione con i clienti ai quali si riferivano le irregolarità, che aveva comportato il totale rientro dell’esposizione.
4.1. Osserva il collegio che, innanzitutto, non sussiste la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. lamentata, perché la sentenza impugnata ha espressamente esaminato l’opposizione anche sotto il profilo della determinazione  della  sanzione,  individuando  in  modo  specifico  gli elementi  in  forza  dei  quali  ha  ritenuto  la  congruità  della  sanzione irrogata.
Non si è venuta a configurare neppure la violazione dell’art. 144 -bis TUB perché la sentenza ha dato atto che il recupero dell’esposizione non rilevava al fine dell’integrazione dell’irregolarità avente a d oggetto la violazione dei doveri di controllo interno rispetto alla gestione del rischio.
In questo modo, la sentenza della Corte di appello ha compiuto una valutazione sulla gravità delle violazioni che giustificava l’irrogazione della sanzione ed escludeva l’applicazione dell’art. 144 -bis TUB riferito alle violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità,  in  via  assorbente  rispetto  a  ogni  questione  sulla  sua applicabilità ratione temporis alla fattispecie.
5. Con il quinto motivo, rubricato ‘ art. 360 comma 1 n.3: violazione e falsa applicazione dell’art. 11 Legge n. 689/1981’, il ricorrente sostiene che erroneamente la sentenza abbia ritenuto irrilevante il tema della riparazione del danno, in forza della previsione dell’art. 11 legge 689/1981; evidenzia , altresì, che nel periodo in contestazione nessun istituto di credito aveva fatto concessioni ai clienti in questione, per cui non vi era stato alcun pregiudizio per il sistema interbancario, lamentando, quindi, che sia stato trascurato l’indirizzo che impone di tenere conto anche dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione.
5.1. Il motivo è infondato.
Occorre, in primo luogo, rilevare che la sentenza impugnata ha dimostrato di avere tenuto conto del recupero dell’esposizione, dando atto che tale dato non aveva rilievo ai fini dell’integrazione della violazione dei doveri di controllo interno sulla gestione del rischio operativo; per di più, il ricorrente neppure specifica di avere dedotto e provato che il recupero fosse avvenuto per la sua iniziativa, al fine dell’applicazione della previsione dell’art. 11 legge 689/1981 secondo la quale rileva l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione. Del resto, come già esposto, la sentenza ha individuato i criteri in forza dei quali ha ritenuto congrua la sanzione applicata, riferiti alla lunga durata e alla gravità delle condotte contestate, alla piena consapevolezza in capo all’agente e al suo ruolo all’interno dell’istituto di credito .
Con questo contenuto, la decisione impugnata non è censurabile in sede di legittimità, in quanto sono stati rispettati i limiti edittali e dalla motivazione emerge che nella determinazione della sanzione si è tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 legge 689/1981 (Cass.
Sez. 2 17-7-2024, n. 19716; Cass. Sez. 2 23-2-2021, n. 4844; Cass. Sez. 2 28-2-2020, n. 5526).
In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 2.500,00 per compensi, oltre contributo forfettario ed ulteriori accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Dà atto della sussist enza, ai sensi dell’ art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, dei presupposti processuali per il versamento, da parte  del  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il giorno 8-10-2025.
Il Presidente
NOME COGNOME