Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1404 Anno 2025
SENTENZA
sul ricorso N. 21929/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Roma recante il n. 2906/2020 dep. il 17.6.2020;
udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del 5 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l ‘ accoglimento del sesto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, con rigetto del resto;
uditi gli avv.ti NOME COGNOME per delega e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Si trascrive da Cass., Sez. Un., n. 1796/2013: ‘ 1.- Nel 1999 la s.a.s. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (n.d.e.: di seguito, RAGIONE_SOCIALE) agì giudizialmente nei confronti del Comune di Pontecorvo per il risarcimento dei danni conseguiti all ‘ incendio di due capannoni siti in un suo fondo, che aveva anch ‘ esso subito danneggiamenti, adibito dal Comune a centro di compattazione e stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani. Esponeva che il fondo era stato occupato d ‘ urgenza nel 1994 per quattro mesi ma che non era stato mai restituito e che l ‘ incendio, sviluppatosi nell ‘ agosto del 1998 nel bosco circostante, si era propagato fino ai capannoni per lo stato di abbandono dei rifiuti, le cui balle erano state lasciate giacere anche lungo la recinzione. Il Comune resistette e chiamò in causa, chiedendo di esserne garantito, RAGIONE_SOCIALE, cui aveva appaltato la gestione dell ‘ impianto provvisorio di raccolta e gestione
dei rifiuti con obbligo dell ‘ appaltatrice di adottare anche le misure di sicurezza volte a prevenire incendi. Anche Mad resistette, rappresentando tra l ‘ altro che il Comune aveva prorogato la possibilità di utilizzazione del sito solo fino al 1996, che dunque nel 1998 essa non se ne avvaleva da oltre due anni e che, comunque, dagli accertamenti svolti dai vigili del fuoco e dal corpo forestale era emerso che l ‘ incendio era stato dolosamente appiccato nel bosco circostante da sconosciuti. Sia il convenuto che la chiamata in causa eccepirono il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, invece affermata dal Tribunale di Cassino con sentenza n. 877 del 2005 sul rilievo che, al momento del fatto, l ‘ occupazione del fondo era illegittima. Nel merito, espletata c.t.u., il Tribunale accolse parzialmente la domanda dell ‘ attrice condannando solidalmente Comune e Mad al pagamento di circa Euro 263.000. 2.- Con sentenza n. 2831 del 13.7.2009 la Corte d ‘ appello di Roma, decidendo sull ‘ appello di RAGIONE_SOCIALE e su quello incidentale del Comune in punto di giurisdizione (tale avendo considerato l ‘ adesione del Comune alle relative censure di Mad), riaffermò la giurisdizione del giudice ordinario per essere il petitum risarcitorio privo di collegamento col provvedimento autoritativo (ormai scaduto) di occupazione dell ‘ area, ma rigettò la domanda dell ‘ Azienda Agraria nell ‘ assunto che il fatto del terzo, che aveva dolosamente appiccato l ‘ incendio in tre punti diversi collocati fuori dell ‘ area oggetto di custodia, aveva comunque interrotto ‘ il nesso causale tra evento e responsabilità del custode ‘ , chiunque esso fosse (il Comune che deteneva l ‘ area ovvero RAGIONE_SOCIALE che non la aveva mai formalmente restituita). Ha per questo ritenuto assorbita ogni altra questione ‘ .
Con la citata sentenza n. 1796/2013, questa Corte, a Sezioni Unite, rigettò i ricorsi incidentali condizionati del Comune e della RAGIONE_SOCIALE in punto di giurisdizione ed accolse invece i due motivi del ricorso principale dell ‘ Azienda RAGIONE_SOCIALE (con cui erano stati rispettivamente dedotti ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., e vizio di motivazione per avere la Corte d ‘ appello errato in diritto laddove ha ritenuto che ‘ il fatto che la sequenza causale sia originata da fatti esterni esima il giudice da valutare altri profili di responsabilità nel complessivo prisma delle cause ” e, quanto al secondo motivo, per aver omesso di considerare le ‘ ragioni per le quali l ‘ incendio si era propagato all ‘ area interna e le fiamme avevano avvolto successivamente i capannoni ‘ , come si evince dal citato arresto), cassando con rinvio la decisione impugnata. Osservarono le Sezioni Unite che ‘ Nel presupposto che Comune, o Mad, o entrambi, fossero custodi del fondo dell ‘ Azienda Agraria nel quale si trovavano i capannoni andati a fuoco a seguito della propagazione al fondo dell ‘ incendio sviluppatosi (in piena estate) nel bosco circostante, non è sufficiente ad integrare l ‘ apprezzamento del fortuito il rilievo che la causa scatenante del dinamismo causale sia riconducibile ad un atto doloso di un terzo, essendo per contro necessario l ‘ accertamento che la cosa (il fondo) dalla quale è derivato il danno (ai capannoni) non potesse oggettivamente considerarsi esposta al pericolo di essere attinta da un incendio che fosse scoppiato nel bosco, oppure che, oggettivamente essendolo, la propagazione dell ‘ incendio fosse dipesa da cause straordinarie anche in relazione allo stato in cui il fondo si trovava. Che l ‘ origine della sequenza causale sia stata originata da fatti esterni non elide, infatti, la sussistenza del nesso eziologico fra altre possibili cause concorrenti e l ‘ evento
ove la prima non sia stata da sola sufficiente a determinarlo. E fra le altre possibili cause concorrenti ben può annoverarsi lo stato in cui era tenuto il fondo circostante i capannoni, che nella specie si assumeva colmo di rifiuti sino al confine col bosco, e dunque in uno stato tale da rendere agevole la propagazione di un eventuale incendio ai capannoni, a loro volta colmi di rifiuti ‘.
Riassunta la causa dinanzi alla Corte d ‘ appello di Roma, con sentenza del 17.6.2020 vennero infine rigettati l ‘ appello principale della RAGIONE_SOCIALE e quello incidentale del Comune di Pontecorvo. Nel far ciò, osservò il giudice del rinvio che, anzitutto, correttamente l ‘ azione risarcitoria era stata rivolta dall ‘ Azienda Agraria nei confronti del Comune, e non nei confronti dello Stato, perché non veniva in rilievo la condotta del Sindaco nell ‘ emissione di ordinanze contingibili ed urgenti, né comunque un ‘ attività pubblicistica (quale Ufficiale del Governo), bensì la detenzione materiale del fondo in cui s ‘ era propagato l ‘ incendio, donde l ‘ insussistenza della nullità della chiamata in causa dell ‘ appellante Mad da parte del Comune di Pontecorvo; che la stessa Mad, dopo la cessazione dell ‘ attività di stoccaggio dei rifiuti, aveva di fatto abbandonato il sito in condizioni non di sicurezza, senza alcuna segnalazione al Comune, sicché non poteva denegare la propria responsabilità trincerandosi dietro il ruolo di mero gestore provvisorio della discarica; che correttamente il Tribunale aveva condannato in solido la Mad ed il Comune ex art. 2055 c.c., senza alcuna ripartizione di responsabilità interna, perché tanto non era stato richiesto da alcuno; che le questioni del preteso concorso di colpa del danneggiato, nonché della pretesa irrisarcibilità del danno ai capannoni perché abusivi, erano precluse, stante il carattere chiuso del giudizio di rinvio; che la valutazione del danno era congrua ed adeguata; che
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comunque non poteva escludersi la corresponsabilità del Comune, almeno per l ‘ omessa vigilanza sull ‘ operato del gestore provvisorio Mad.
Avverso detta sentenza, con ricorso affidato a otto motivi, ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, cui resistono con autonomi controricorsi l ‘ RAGIONE_SOCIALE, nonché il Comune di Pontecorvo, che ha pure proposto ricorso incidentale, sulla base di due motivi, anch ‘ esso resistito con autonomi controricorsi dalla RAGIONE_SOCIALE e dall ‘ RAGIONE_SOCIALE. Tutte le parti hanno depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 1077/2024 è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle Sezioni Unite in ordine all ‘ ammissibilità dell ‘ impugnazione tardiva e dei suoi presupposti, in caso di pluralità di parti. All ‘ esito della pubblicazione di Cass., Sez. Un., n. 8486/2024, è stata quindi fissata l ‘ odierna udienza pubblica. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l ‘ accoglimento del sesto motivo del ricorso principale e di entrambi i motivi del ricorso incidentale. Tutte le parti hanno depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE
1.1 Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 383 e 384 c.p.c. e delle regole di interpretazione della sentenza rescindente della Corte di cassazione, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. Si censura la decisione impugnata per aver ascritto ad essa Mad la corresponsabilità nella causazione dell ‘ incendio, benché la stessa non avesse più alcuna relazione materiale col terreno da circa due anni e ciò sul presupposto che si assume erroneo – che la sentenza rescindente avesse affermato la responsabilità della società o avesse disatteso le proprie argomentazioni
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difensive, vero invece essendo che le Sezioni Unite si erano limitate ad affermare il principio di diritto circa il dinamismo nella propagazione dell ‘ incendio, mentre sarebbe spettato al giudice del rinvio individuare le eventuali responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti nella vicenda (‘ Comune, o Mad, o entrambi ‘: così la sentenza rescindente).
1.2 Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2051 c.c., per difetto del presupposto della attuale relazione di custodia con la res dannosa, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Premesso che la sentenza impugnata non precisa se la responsabilità a carico di essa Mad sia stata affermata ai sensi dell ‘ art. 2051 c.c. o dell ‘ art. 2043 c.c., nella prima ipotesi la Corte capitolina avrebbe violato la disposizione, in quanto la società non poteva essere considerata custode del sito di stoccaggio (e dei rifiuti ivi stipati), qualità invece da ascrivere al solo Comune di Pontecorvo: solo quest ‘ ultimo aveva il potere sulla res , cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con conseguente potere di controllo e di intervento, al fine di eliminare le situazioni di pericolo insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa, tanto più che la stessa sentenza impugnata dà per pacifico che essa Mad aveva cessato ogni attività sul sito nel settembre 1996, dunque ben due anni prima dell ‘ incendio per cui è processo.
1.3 Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2043 c.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche riguardo alle norme e principi in materia ambientale, stante l ‘ insussistenza di alcun obbligo in capo a RAGIONE_SOCIALE dopo la cessazione dell ‘ attività di stoccaggio provvisorio dei rifiuti di proprietà del Comune di Pontecorvo, svolta in ottemperanza ad
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ordinanze sindacali contingibili ed urgenti. Per l ‘ ipotesi in cui la Corte capitolina abbia fatto applicazione dell ‘ art. 2043 c.c., rileva la ricorrente che la rimozione dei rifiuti temporaneamente stoccati nel sito costituiva obbligo giuridico ad esclusivo carico del Comune e che il loro stoccaggio fuori dai capannoni era stato effettuato in ottemperanza alle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, ed in particolare alla ordinanza n. 2419 del 2.5.1996; né queste ultime prevedevano un qualsiasi obbligo a carico di essa Mad per il periodo successivo alla cessazione dei lavori nel sito di stoccaggio provvisorio. Ancora, evidenzia la società che il Comune era da considerare proprietario e detentore dei rifiuti raccolti nel territorio comunale, sicché ne era l ‘ unico responsabile ai sensi dell ‘ art. 3 del d.P.R. n. 915/1982, allora vigente, ciò tanto più che il sito in parola era un sito di stoccaggio provvisorio e non definitivo, per il quale ultimo soltanto avrebbero potuto configurarsi doveri del gestore per la sua fase post-operativa. Nessuna incuria può essere dunque rimproverata ad essa Mad, non avendo il Comune provveduto ad individuare altra area ove procedere allo stoccaggio dei rifiuti in luogo dell ‘ area già satura, sicché la società non avrebbe potuto rifiutarsi di ottemperare alle ordinanze sindacali, pena l ‘ interruzione di pubblico servizio: la sua responsabilità sarebbe quindi da escludere sia per la sussistenza della causa di giustificazione dell ‘ adempimento del dovere (art. 51 c.p.), sia per difetto dell ‘ elemento soggettivo della colpa.
1.4 Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e principi in materia di accertamento del nesso di causalità materiale in relazione all ‘individuazione della concausa ‘prossima di rilievo’ nella verificazione dell ‘ evento dannoso, ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. e dell ‘ art. 1227,
comma 1, c.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Assume la ricorrente che, anche ad addebitarle una qualche responsabilità nell ‘ occorso, ha errato la Corte d ‘ appello nel non individuare, quale causa da sé sola idonea a cagionare l ‘ evento, l ‘ inerzia in cui è incorso il Comune nel biennio tra la riconsegna del sito e l ‘ incendio per cui è causa; si evidenzia che, se – nel biennio antecedente all ‘ evento -il Comune avesse ottemperato all ‘ obbligo di spostamento dei rifiuti in altro sito (in forza sia della disciplina nazionale, che sovranazionale), essi non sarebbero stati attinti dall ‘ incendio appiccato da ignoti al bosco vicino e i capannoni non sarebbero stati distrutti dalle fiamme.
1.5 Con il quinto motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per motivazione apparente, ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. Si censura la sentenza – anche sotto il profilo della sua natura meramente apparente, illogica o contraddittoria – laddove: a) ha affermato apoditticamente che in capo ad essa Mad – incaricata solo della compattazione, rilegatura e movimentazione dei rifiuti all ‘ interno del sito di stoccaggio provvisorio e non anche della sua rimessione in pristino – sarebbero residuati obblighi di manutenzione e custodia del sito stesso, pur dopo due anni dalla cessazione dell ‘ attività, senza però individuarne la fonte; b) ha omesso di valutare che era il Comune a dover custodire l ‘ area in questione; c) ha omesso di valutare che il Comune aveva l ‘ obbligo giuridico di rimuovere i rifiuti temporaneamente stoccati sull ‘ area, quand ‘anche lo fossero stati con ‘incuria’, tanto più che tra l ‘ ultimo intervento di stoccaggio e l ‘ incendio erano trascorsi due
anni; d) ha omesso di valutare il fatto che, se il Comune avesse effettuato quanto era tenuto a fare per legge, l ‘ incendio non si sarebbe propagato ai capannoni; e) ha qualificato la cessazione dell ‘ attività ad essa demandata come ‘abbandono’ del sito, mentre in altri passaggi della motivazione si discute di ‘rilascio’ del sito stesso; f) ha censurato la mancata segnalazione da parte di essa Mad, al Comune, delle condizioni del sito all ‘ atto del rilascio, condizioni ben note all ‘ ente; g) ha censurato la mancata attività della società in ordine al ripristino del sito, benché la Mad non vi fosse affatto tenuta; h) ha comunque valutato le prove in modo sbrigativo e riduttivo, vulnerando il diritto di difesa di essa Mad ed esprimendo un giudizio parziale e insufficiente.
1.6 Con il sesto motivo – proposto ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., in subordine rispetto ai precedenti – si denuncia la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 1227, comma 1, c.c., in relazione all ‘ art. 2051 c.c., nonché alla disciplina del giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., laddove la Corte capitolina ha escluso di poter delibare la questione sull ‘ eccepito concorso di colpa dell ‘ Azienda Agraria controricorrente, a cagione della struttura chiusa del giudizio di rinvio, giacché la questione stessa non era stata agitata nel precedente giudizio d ‘ appello. Sostiene la società, al contrario, che il concorso di colpa del danneggiato, ex art. 1227, comma 1, c.c., è rilevabile d ‘ ufficio anche in grado d ‘ appello e indipendentemente dalle difese ed eccezioni delle parti, trattandosi di accertare l ‘ eziologia dell ‘ evento dannoso sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti. Né occorreva dimostrare – come erroneamente ritenuto dalla Corte d ‘ appello – che le condizioni del bosco limitrofo fossero tali da agevolare la propagazione dell ‘ incendio, perché il criterio di imputazione della
responsabilità ex art. 2051 c.c. è meramente oggettivo ed è fondato sul rapporto di custodia con la res damnosa .
1.7 Con il settimo motivo si denuncia la violazione dell ‘ art. 345 c.p.c. e del principio tantum devolutum quantum appellatum , in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Con riguardo alla ritenuta inammissibilità della eccezione di irrisarcibilità del danno lamentato dalla Azienda Agraria a cagione della pretesa natura abusiva dei capannoni – questione appunto ritenuta inammissibile dalla Corte capitolina perché proposta solo nel giudizio di rinvio – la ricorrente principale ne deduce l ‘ erroneità, non trattandosi di eccezione nuova, ma rilevabile d ‘ ufficio e comunque ricompresa nel perimetro degli originari motivi d ‘ appello.
1.8 Con l ‘ ottavo motivo, infine, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. e/o la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per motivazione meramente apparente o per motivazione indebitamente ridotta al disotto del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall ‘ art. 111, comma 6, Cost., in ordine ai criteri di liquidazione equitativa del danno.
RICORSO INCIDENTALE
1.9 Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 1227, comma 1, c.c., in relazione all ‘ art. 2051 c.c., nonché alla disciplina del giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. L’ente dichiara di condividere e fa propria la censura avanzata dalla ricorrente principale col suo sesto motivo (cui si rinvia per brevità).
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1.10 Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell ‘ art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo d ‘ appello incidentale, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. L’ente si duole, in particolare, della mancata pronuncia sul proprio motivo di gravame, volto a far valere l’irrisarcibilità del danno arrecato ai capannoni, in quanto essi erano abusivi.
2.1 Preliminarmente, occorre affrontare il tema della ammissibilità del ricorso incidentale del Comune di Pontecorvo: questo è stato notificato il 9.10.2020, mentre la sentenza è stata dichiarata notificata (dalla sola Mad, che ha pure documentato l ‘ adempimento) il 24.6.2020. Il ricorso incidentale è dunque da considerare tardivo in relazione al termine breve attivato dalla notifica della sentenza impugnata, ex art. 326 c.p.c.
Reputa al riguardo la Corte che detta impugnazione, ciononostante, sia comunque ammissibile, ai sensi dell ‘ art. 334, comma 2, c.p.c., dovendosi così rigettare la relativa eccezione dell ‘ Azienda Agraria.
Sul punto, in relazione al processo con pluralità di parti, si registra un recentissimo arresto nomofilattico (Cass., Sez. Un., n. 8486/2024, pronuncia in attesa della quale era stato disposto il rinvio a nuovo ruolo con l ‘ ordinanza interlocutoria n. 1077/2024 ), secondo cui ‘ L ‘ impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando riveste le forme dell ‘ impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell ‘ impugnazione principale, in ragione del fatto che l ‘ interesse alla sua proposizione può sorgere dall ‘ impugnazione principale o da un ‘ impugnazione incidentale tardiva ‘.
Rinviando, per brevità, all ‘ ampia motivazione della citata sentenza (anche per richiami), risulta evidente che nella specie l ‘ interesse all ‘ impugnazione
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incidentale, da parte del Comune ( in parte qua , di natura chiaramente adesiva rispetto a quella della Mad, giacché il primo motivo di doglianza è sovrapponibile al sesto motivo del ricorso principale, mentre il secondo motivo è comunque connesso al settimo dello stesso ricorso principale), ben può essere insorto a seguito dell ‘ impugnazione principale della stessa Mad, perché l ‘ eventuale accoglimento di quest ‘ ultima è suscettivo di aggravare le conseguenze che dalla vicenda discendono per l ‘ ente: in ipotesi, l ‘ accoglimento del ricorso della società potrebbe determinare l ‘ esclusiva responsabilità del Comune, in ordine ai danni reclamati dall ‘ Azienda Agraria (fermo restando che – non risultando che né il Comune, né la Mad, abbiano proposto nel presente giudizio specifiche domande volte ad accertare l ‘ eventuale grado di rispettiva corresponsabilità nella causazione dell ‘ occorso – la questione rileva ai soli fini della loro responsabilità risarcitoria solidale, ex art. 2055 c.c.).
Se, dunque, è vero che il Comune – nell ‘ ambito delle proprie valutazioni avrebbe potuto accettare (e, di fatto, ha accettato) l ‘ esito del giudizio determinato dalla decisione del giudice del rinvio, la messa in discussione del conseguente assetto da parte della Mad è senz ‘ altro idonea a giustificare l ‘ insorgenza dell ‘ interesse ad impugnare in capo allo stesso ente, donde l ‘ ammissibilità dell ‘ impugnazione incidentale in parola, benché tardiva, siccome rispettosa dei termini previsti per il dispiegamento delle difese da parte degli intimati nel giudizio di legittimità.
3.1 Venendo dunque al merito cassatorio, si reputa opportuno riepilogare brevemente i termini essenziali della assai complessa vicenda processuale, già
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dipanatasi per ben cinque lustri e giunta per la seconda volta al vaglio di questa Corte di legittimità.
La causa venne introdotta nel 1999 dall ‘ Azienda RAGIONE_SOCIALE, che chiese la condanna del Comune di Pontecorvo al risarcimento dei danni subiti dal proprio fondo, utilizzato quale sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti in forza di atto autoritativo, a seguito di un incendio propagatosi dal bosco confinante il 26-27.8.1998; l ‘ ente chiamò in causa la RAGIONE_SOCIALE, incaricata per lo stoccaggio dei rifiuti, che si costituì. Il Tribunale di Cassino condannò in solido l ‘ ente convenuto e la terza chiamata a risarcire il danno all ‘ attrice, ai sensi dell ‘ art. 2051 c.c., evidentemente sul fattuale presupposto dell ‘ accertato esercizio della signoria di fatto del Comune e della Mad sull ‘ area in discorso, entrambi quali suoi custodi. Con la prima sentenza d ‘ appello, la Corte capitolina riformò però la sentenza di primo grado, ritenendo sussistere il caso fortuito, consistente nel fatto doloso del terzo ignoto, che aveva appiccato l ‘ incendio nel vicino bosco, così determinando la propagazione delle fiamme verso l ‘ area in parola: l ‘ analisi di tali accadimenti processuali porta dunque a ritenere che la prima decisione d ‘ appello si sia mossa ancora ancora nell ‘ ambito dell ‘ art. 2051 c.c., ossia in quello della responsabilità da custodia.
3.2 Senonché, con la citata Cass., Sez. Un., n. 1796/2013 (come già detto), il Massimo Consesso accolse entrambi i motivi di ricorso proposti dall ‘ Azienda Agraria (riportati tra virgolette nella parte espositiva), tra cui quello concernente la dedotta violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 2051 c.c. e dell ‘ art. 2043 c.c., benché senza specificamente soffermarsi su alcun aspetto relativo a tale ultima disposizione: le Sezioni Unite, risolvendo subito dopo la questione
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pregiudiziale sulla giurisdizione del G.O., hanno solo sottolineato che non è affatto sufficiente – onde integrare il caso fortuito ed individuare la sola serie causale rilevante – il mero fatto doloso del terzo, occorrendo invece tener conto, fra le altre possibili cause concorrenti, anche dello stato in cui era tenuto ‘ il fondo circostante i capannoni, che nella specie si assumeva colmo di rifiuti sino al confine col bosco, e dunque in uno stato tale da rendere agevole la propagazione di un eventuale incendio ai capannoni, a loro volta colmi di rifiuti ‘ . Si tratta, insomma, di statuizione che certamente si attaglia alla fattispecie della responsabilità da custodia, ex art. 2051 c.c., ma che senz ‘ altro è estensibile anche alla responsabilità aquiliana tout court , ex art. 2043 c.c., investendo direttamente il profilo inerente al nesso di causalità, comune ad entrambe le azioni.
3.3 Reputa quindi la Corte che entrambi i profili risarcitori di cui si era discusso in giudizio (ex art. 2043 c.c., nonché ex art. 2051 c.c.) inerenti all ‘ iniziativa dell ‘ Azienda Agraria fossero ancora ‘ vivi ‘ nel giudizio di rinvio, proprio in forza dell ‘ ampia portata cassatoria della citata pronuncia n. 1796/2013; del resto, la premessa di quest ‘ ultima è proprio che dovesse essere accertata la responsabilità del Comune e/o di Mad, in relazione alle condizioni della cosa da cui si era propagato l ‘ incendio, non bastando ad escluderla l ‘ attivazione della sequenza causale operata dal fatto di un terzo, come s ‘ è poc ‘ anzi rammentato.
3.4 Ciò chiarito, deve evidenziarsi che il giudice del rinvio ha affrontato le questioni demandategli, risolvendo il gravame secondo ‘una diversa prospettiva’ (così, efficacemente, l ‘ Azienda RAGIONE_SOCIALE, a p. 3 del controricorso), cioè non
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seguendo pedissequamente il percorso decisorio segnato dalle Sezioni Unite, senza tuttavia travalicarlo o disattenderlo (come meglio si dirà tra breve).
Tale linea decisionale può senz ‘ altro ritenersi metodologicamente corretta, proprio perché il titolo dell ‘eventuale responsabilità dell ‘ ente e della società era rimasto impregiudicato all ‘ esito della ripetuta sentenza delle Sezioni Unite del 2013 e perché il ricorso per cassazione dell ‘ Azienda Agraria era stato da queste accolto sia in relazione al vizio di violazione di norma di diritto (artt. 2043 e 2051 c.c.), sia per difetto di motivazione (circa i poteri del giudice del rinvio nel caso di coeva cassazione della sentenza per entrambi i vizi suddetti, v. la recente Cass. n. 17240/2023).
Pertanto, deve anche evidenziarsi che – nel giudizio di rinvio – neppure era riscontrabile alcun giudicato interno esplicito sul titolo di responsabilità, non ricorrendo una di quelle ipotesi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, consentono di ritenere coperta dal giudicato la qualificazione giuridica della domanda (sul tema, v. in particolare Cass. n. 31330/2023): contrariamente a quanto opinato dall ‘ Azienda Agraria, la questione non è affatto attinta dal rigetto dei ricorsi incidentali condizionati della Mad e del Comune da parte della ripetuta Cass., Sez. Un., n. 1796/2013.
3.5.1 Orbene, scendendo più nel dettaglio nella disamina dei tratti essenziali della sentenza impugnata e iniziando dal titolo di responsabilità riscontrato in capo alla Mad, la Corte capitolina l ‘ ha individuata nell ‘ aver la società abbandonato l ‘ area di stoccaggio alla cessazione dell ‘attività ‘ senza alcuna custodia in condizioni estremamente pericolose con vere e proprie cataste di rifiuti infiammabili sia all ‘ interno che all ‘ esterno dei capannoni ‘ , senza informare
il Comune sulle condizioni del sito, nonché nell ‘ incuria con la quale essa aveva svolto la stessa attività di stoccaggio: i rifiuti erano stati accumulati anche all ‘ esterno dei capannoni che insistevano sull ‘ area, senza alcuna adeguata protezione e ‘in forma sciolta’, senza regolamentazione delle acque meteoriche e del percolato, né predisposizione di adeguato sistema antincendio.
3.5.2 Quanto al Comune di Pontecorvo, la Corte del rinvio ha individuato la sua responsabilità anzitutto nel non aver l ‘ ente vigilato periodicamente sulla correttezza delle attività di stoccaggio da parte della Mad; si è poi imputato all ‘ ente di non aver verificato la rimessione in pristino del sito, garantendone la pulizia e salubrità, se del caso con emissione di nuovo ordine alla Mad per il trasporto dei rifiuti in altro luogo, vista la saturazione del sito in parola.
3.5.3 Sia la società che il Comune, infine, sono stati considerati entrambi responsabili per aver ‘ abbandonato i capannoni colmi di rifiuti sia all ‘ interno che all ‘esterno … senza per anni assumere alcuna iniziativa per rimuoverli ‘.
3.6 Ora, premesso che sulla declaratoria di responsabilità del Comune, per i profili evidenziati, è sceso il giudicato, giacché il ricorso incidentale dell ‘ ente investe solo il quantum debeatur , risulta inequivoco che il profilo di responsabilità della Mad accertato dalla Corte del rinvio debba necessariamente ascriversi al disposto dell ‘ art. 2043 c.c.: rispetto all ‘ evento di danno, ciò che le si imputa, infatti, è di aver posto in essere le condizioni di fatto che hanno consentito la propagazione dell ‘ incendio, per l ‘ incuria – ossia l ‘ approssimazione e il disordine – con cui ha svolto l ‘ attività di stoccaggio; ciò sia quanto alla predisposizione impiantistica antincendio e di raccolta delle acque meteoriche, sia per le modalità di conservazione dei rifiuti. Si è poi aggiunto che, allorché la
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società abbandonò il terreno, alla cessazione dell ‘ attività demandatale con le ordinanze indifferibili ed urgenti, essa non segnalò al Comune le precarie condizioni del sito.
Insomma, la società è stata ritenuta responsabile per negligenza e non già quale custode del sito: a parte l ‘ ardua configurabilità di una simile qualità a circa due anni dalla cessazione dell ‘ attività di stoccaggio, la Corte del rinvio ha censurato l ‘ operato della odierna ricorrente principale per aver violato il dovere di accurata manutenzione del sito cui essa era tenuta nell ‘ espletamento del servizio, che è cosa ben diversa dalla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., il cui presupposto è, notoriamente, l ‘ esercizio della signoria di fatto sulla cosa di cui si abbia la disponibilità materiale (v. Cass. n. 38089/2021), è di natura oggettiva (per tutte, Cass., Sez. Un., n. 20943/2022; ma v. anche infra ) e concerne le sole ipotesi in cui l’evento dannoso derivi comunque dal determinismo causale riferibile alla res custodita, non risultando pertinente rispetto ai danni subiti da quest’ultima: l’art. 2051 c.c., infatti, ‘ disciplina l’ipotesi di responsabilità per danni provocati a terzi dalla cosa in custodia e non per danni alla stessa cosa custodita ‘ (così, Cass. n. 15721/2015).
Si vuole cioè dire che il comportamento che, secondo il giudice del rinvio, lega principalmente la società alla responsabilità risarcitoria è circoscritto temporalmente al periodo di esercizio dell ‘ attività di stoccaggio e alla sua fase conclusiva (per la quale ultima le si rimprovera, anche, la mancata messa in all ‘ erta del Comune), benché infine si individui un ulteriore profilo omissivo (condiviso, secondo la Corte romana, con il Comune stesso), protrattosi dalla cessazione dell ‘ attività e fino al verificarsi dell ‘ incendio (ossia, dal settembre
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1996 all ‘ agosto 1998), consistente nel non aver assunto alcuna iniziativa per rimuovere i rifiuti abbandonati: profili, tutti, da riportare nell ‘ egida della negligenza (o, al più, dell ‘ imperizia) complessivamente imputabile alla società, dunque alla sua colpa, secondo la clausola generale di cui all ‘ art. 2043 c.c.
3.7 -Considerazioni sostanzialmente analoghe possono spendersi in relazione alla accertata responsabilità del Comune: si tratta di questione, come s ‘ è detto, oramai coperta dal giudicato, quanto all ‘ an debeatur , il che esime di per sé questa Corte da ulteriori considerazioni, posto il principio di equivalenza delle concause determinative dell’unico evento dannoso ai fini della solidarietà risarcitoria ex art. 2055 c.c. (su cui v. la recente Cass., Sez. Un., n. 13143/2022), aspetto su cui si tornerà tra breve.
Resta fermo, però, che l ‘ intera motivazione resa dalla Corte d ‘ appello in proposito (p. 10, par. 13) ha come indefettibile presupposto la sussistenza di un potere, in capo al Comune, di incidere sulle condizioni del sito per cui è processo mediante esercizio di poteri autoritativi, sia durante la vigenza dell ‘ efficacia delle ordinanze contingibili ed urgenti susseguitesi nel tempo, sia una volta che detta efficacia era cessata, postulandosi anzi il dovere di vigilanza sulla rimessione in pristino del sito e, se del caso, con lo spostamento dei rifiuti o, comunque, con la loro messa in sicurezza, direttamente o mediante adozione di opportuni provvedimenti.
Anche a tal riguardo, dunque, la responsabilità accertata dalla Corte capitolina -in relazione all’omessa vigilanza, nonché all’inerzia nel provvedere – è quella tipica del neminem laedere , poste la pacifica origine autoritativa dell’occupazione del sito di stoccaggio in parola, nonché l’ insussistenza di un vincolo di natura
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negoziale tra il Comune e l’Azienda Agraria ed, infine, l’ardua configurabilità di una responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. rispetto ai danni reclamati dall’originaria attrice, quanto meno per i danni alla cosa custodita (v. par. precedente).
4.1 Possono adesso affrontarsi i motivi del ricorso principale e dell ‘ incidentale. Il primo motivo del ricorso principale, per quanto già detto, è infondato, proprio perché, con la sentenza n. 1796/2013, le Sezioni Unite avevano lasciato impregiudicato il titolo della responsabilità dell ‘ ente e della società. Pertanto, la Corte d ‘ appello, in sede di rinvio, era libera di inquadrare la responsabilità della stessa Mad nell ‘ ambito dell ‘ art. 2043 o dell ‘ art. 2051 c.c., per quanto qui interessa, senza alcun vincolo derivante dalla citata sentenza di legittimità, essenzialmente incentrata sulla negazione di un ruolo esclusivo del fatto del terzo – che aveva dato causa all ‘ incendio – ai fini dell ‘ esclusione di una qualunque fonte di responsabilità dell ‘ ente e della società.
Sul punto, per brevità, è sufficiente rinviare a quanto ampiamente esposto, in particolare, nel par. 3.4.
5.1 Il secondo motivo del ricorso principale, articolato per l ‘ ipotesi in cui la Corte del rinvio abbia fatto applicazione dell ‘ art. 2051 c.c. riguardo al titolo di responsabilità di essa società, è dunque inammissibile per difetto di specificità: come già detto, nell ‘ affermare la responsabilità della Mad, per quanto qui interessa, la Corte capitolina non ha applicato l ‘ art. 2051 c.c., bensì l ‘ art. 2043 c.c., sicché il mezzo in esame non investe la ratio decidendi dell ‘ impugnata sentenza , in quanto eccentrico rispetto ad essa.
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6.1 Il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale devono essere esaminati congiuntamente, perché connessi; essi sono fondati, nei limiti di cui appresso.
In proposito, vanno però anzitutto disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune di Pontecorvo e dall ‘ Azienda Agraria.
In primo luogo, i suddetti motivi (specialmente, il terzo e il quarto) sono adeguatamente specifici, individuando chiaramente la ratio decidendi dell ‘ impugnata sentenza e sottoponendola a ragionata critica, nel pieno rispetto dei dettami dell ‘ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (sul tema, si vedano tra le altre: Cass., Sez. Un., n. 23745/2020; Cass. n. 640/2019).
Ancora sul quarto motivo, di cui l ‘ Azienda Agraria eccepisce la novità, deve poi osservarsi che il complesso delle tesi e delle repliche via via sviluppate nel corso di un giudizio già durato ben cinque lustri – una volta escluso che la sentenza n. 1976/2013 abbia pregiudicato alcunché sul titolo di responsabilità ed appurato che su questo non s ‘ è formato il giudicato interno (v. supra , par. 3.4) – non consente affatto di ritenere che la questione possa dirsi nuova neppure nei suoi esatti termini; del resto, la stessa sentenza impugnata dà atto (p. 8) che la principale tesi difensiva sostenuta dalla Mad nel corso del giudizio propugna la integrale negazione della propria responsabilità, sia riguardo al ruolo ed al dolo del terzo nella generazione dell ‘ incendio, sia riguardo all ‘ esclusiva competenza del Comune nello smaltimento dei rifiuti, il che consente di superare senz ‘ altro l ‘ eccezione in discorso.
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Il quinto motivo, infine, è chiaramente in linea sia con la consolidata giurisprudenza di questa Corte circa le condizioni di giustiziabilità in sede di legittimità del difetto motivazionale, pur dopo la riforma dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata nel 2012, sia con lo stesso vizio di omesso esame di fatti decisivi, appunto previsto da tale disposizione, come novellata (sul tema, si rinvia, per brevità, a Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 e successiva giurisprudenza conforme).
6.2 Ciò posto, ritiene anzitutto la Corte che, contrariamente a quanto opinato dal giudice del rinvio, la questione del ruolo rivestito dalla Mad rispetto all ‘ attività di stoccaggio, ossia se essa fosse un mero ‘gestore provvisorio’ o invece fosse ‘titolare di discarica’ ( rectius : se il terreno e i capannoni di proprietà dell ‘ RAGIONE_SOCIALE costituissero un sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti, o invece una vera e propria discarica) è nient ‘affatto ‘ ininfluente ‘, consistendo in realtà nel necessario punto di partenza da cui far discendere il raffronto tra il comportamento, lato sensu inteso, cui la Mad era tenuta – sia nella attività propria di stoccaggio, sia in quella di manutenzione del sito, sia (eventualmente) nella riconsegna del sito stesso, anche al lume dello specifico contenuto delle ordinanze indifferibili ed urgenti man mano susseguitesi e pacificamente emesse dal Comune ai sensi dell ‘ art. 12 d.P.R. n. 915/1982 (all ‘ epoca vigente) – e quello cui invece la società stessa aveva improntato il proprio operato. Solo in tal guisa, infatti, sarebbe stato possibile valutare le condotte (e/o le omissioni) imputabili alla società che avevano cagionato il danno al fondo e ai capannoni dell ‘ Azienda, con le conseguenti responsabilità risarcitorie.
Ma tale questione non è stata affrontata dalla qui gravata sentenza.
Ha dunque buon gioco la società ricorrente nel denunciare la violazione o la falsa applicazione ‘ delle norme e principi in materia ambientale ‘, giacché la Corte d ‘ appello ha del tutto omesso il necessario inquadramento normativo concernente le vicende del sito in parola, prescindendone pressoché completamente, pur muovendosi chiaramente nell ‘ ottica della natura provvisoria del sito di stoccaggio dei rifiuti, come è pacifico tra tutte le parti.
Così, tra l’altro , lo stabilire se il Comune fosse esclusivo responsabile dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ex artt. 3 e 8 del d.P.R. n. 915/1982 (applicabile ratione temporis ), oppure se, anche per effetto delle citate ordinanze, tale responsabilità gravasse (in tutto, o in parte, e comunque in che limiti) sulla Mad, è evidentemente essenziale ai fini del decidere. Il che vale specialmente (ma non solo) in ordine alla sorte definitiva dei rifiuti in parola: cessata l ‘ efficacia dell ‘ ultima ordinanza ex art. 12 cit., ognun vede che stabilire se in capo alla Mad residuassero doveri di custodia e/o manutenzione non può che discendere da una specifica fonte (quale che sia), che tuttavia la sentenza impugnata non si fa carico di individuare.
6.3.1 -La descritta lacunosità della disamina in iure riverbera poi, inevitabilmente, sul piano della stessa tenuta della motivazione adottata dalla Corte capitolina.
Basti qui considerare – richiamando il relativo percorso motivazionale, v. par. 3.5.1, in particolare che la sentenza impugnata, pur discutendo di ‘abbandono’ del sito senza alcuna custodia da parte della Mad, e pur addebitando al Comune una omessa vigilanza periodica sulle attività di stoccaggio, nonché la mancata rimessione in pristino del sito (attività, secondo la Corte d ‘ appello, cui l ‘ ente era
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evidentemente tenuto), finisce anzitutto col rimproverare alla società l ‘ assenza di segnalazione al Comune circa le effettive condizioni del sito al momento della cessazione della stessa attività di stoccaggio: ma di tanto, in realtà, il Comune non poteva non essere a conoscenza, sia perché tenuto -per la stessa Corte romana – all ‘ attività di vigilanza, sia perché la cessazione dell ‘ utilizzo del sito derivava, de plano , dalla mancata proroga dell ‘ occupazione a seguito dell ‘ ultima ordinanza emessa dal Sindaco del Comune di Pontecorvo, che la ricorrente individua in quella col n. 2419/1996: dunque, da una precisa scelta amministrativa del Comune, seppur adottata nell ‘ ambito di esigenze di ordine pubblico di pertinenza dell ‘ Autorità statuale.
Risulta pertanto evidente la intrinseca contraddittorietà logica da cui è affetta, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata, certamente in violazione del c.d. ‘minimo costituzionale’ ex art. 111, comma 6, Cost. (v. la già citata Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 e successive conformi).
6.3.2 Del tutto apodittica, poi (ed ancora in violazione dell ‘ art. 111, comma 6, Cost.), risulta l ‘ affermazione contenuta nella sentenza di rinvio (p. 10) per cui la responsabilità della Mad consisterebbe anche nel non aver assunto, per anni, alcuna iniziativa volta a rimuovere i rifiuti relitti nel sito in parola: la Corte romana ha del tutto omesso di indicare quale fosse la fonte (normativa, amministrativa o negoziale), di un tale comportamento ritenuto doveroso, il che non può che confermare quanto prima evidenziato sulla necessità di previamente circoscrivere il ruolo effettivamente rivestito dalla Mad, presupposto all ‘ evidenza imprescindibile per una seria valutazione della sua pretesa responsabilità. Non senza dire che l ‘ affermazione stessa si rivela intrinsecamente contraddittoria
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rispetto a quell ‘ altra – enunciata sempre a p. 10 della sentenza ed appena un paio di righi prima – per cui proprio il Comune avrebbe dovuto eventualmente ordinare alla stessa Mad di spostare i rifiuti in altro luogo idoneo, segno evidente che, per la stessa Corte d ‘ appello, la società non avrebbe potuto affatto provvedere di propria iniziativa, al riguardo.
6.3.3 Venendo infine al tema della accertata ‘incuria’ con cui la Mad avrebbe svolto l ‘ attività di stoccaggio, la motivazione adottata sul punto dal giudice del rinvio si rivela meramente apparente nella parte in cui si richiama la mancata adozione di accorgimenti, da parte della Mad, atti ad evitare lo sversamento del percolato o a regimentare le acque meteoriche: l ‘ eventuale approssimazione della società, in proposito, può al più rilevare come illecito ambientale, ma risulta del tutto omesso in sentenza il ragionamento per cui tale modus operandi possa dirsi eziologicamente collegato al successivo incendio per cui è causa, e dunque in che modo tali mancanze possano aver determinato (o contribuito a determinare) l ‘ incendio stesso.
Apodittica (oltre che, a ben vedere, anodina) risulta poi l ‘ affermazione per cui il sito non era dotato di adeguato impianto antincendio, essendovi rinvenibili solo alcuni estintori: la Corte d ‘ appello non chiarisce, ancora una volta (e sempre che il riferimento alla questione abbia voluto cristallizzare una ulteriore mancanza da imputare alla società), da cosa avrebbe dovuto eventualmente discendere un corrispondente obbligo di dotazione di quello in capo alla Mad, né come la eventuale predisposizione di detto impianto avrebbe potuto evitare (o, quantomeno, mitigare) le conseguenze dell ‘ incendio per cui è processo.
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Resta da dire delle specifiche modalità di stoccaggio dei rifiuti all ‘ esterno dei capannoni. In proposito, difetta anzitutto ogni verifica, da parte del giudice d ‘ appello, circa la sussistenza o meno di un ordine in tal senso da parte del Comune, come invece sostenuto dalla ricorrente principale, che ne individua la fonte nella già citata ordinanza n. 2419/1996; è evidente che, se effettivamente un simile ordine fosse stato impartito dal Sindaco di Pontecorvo, il solo ricovero dei rifiuti all ‘ esterno dei capannoni, perché ormai ricolmi di rifiuti, non avrebbe potuto certo ascriversi a responsabilità della Mad.
Quanto poi alle condizioni dei rifiuti stoccati all ‘ esterno, va anzitutto evidenziato che ciò costituisce questione evidentemente diversa da quella che precede, senz ‘ altro dotata di efficacia dirimente. Tuttavia, per l ‘ ipotesi in cui la Mad fosse stata autorizzata a stoccare i rifiuti anche sull ‘ area esterna, non basta accertare, ai fini della responsabilità aquiliana della società, che essi lo fossero stati ‘ in forma sciolta, senza alcuna protezione ‘, come affermato dalla sentenza impugnata (p. 7), perché la Corte d ‘ appello non chiarisce affatto (né mostra di aver previamente accertato, procedendo alla invece necessaria verifica controfattuale) se la sistemazione dei rifiuti con le specifiche modalità indicate nelle ordinanze ex art. 12 cit. (ad es., previo imballaggio, copertura con teli impermeabili, ecc.), avrebbe scongiurato o meno la propagazione dell ‘ incendio. Anche in tal caso, dunque, la motivazione si rivela meramente apparente, in violazione dell ‘ art. 111, comma 6, Cost.
6.4 Infine, risultano fondate anche le doglianze specificamente avanzate col quarto motivo del ricorso principale.
Pur ad ammettere che – in relazione a tutti i profili valorizzati dalla Corte d ‘ appello, o anche ad uno soltanto tra loro – effettivamente il complessivo contegno della Mad possa assurgere a fatto (commissivo od omissivo) colposo idoneo a produrre l ‘ evento dannoso, la Corte romana è certamente incorsa nella violazione degli artt. 40 e 41 c.p., nonché dell ‘ art. 1227, comma 1, c.c., non avendo preso nella dovuta considerazione l ‘ obbligo di definitivo smaltimento dei rifiuti certamente gravante sul Comune di Pontecorvo, una volta cessata la situazione eccezionale per cui era stata autorizzato lo stoccaggio provvisorio sul sito di proprietà dell ‘ Azienda Agraria.
Il giudice del rinvio, infatti, non si è minimamente interrogato – pur avendo evidenziato che il Comune non aveva assunto alcuna iniziativa, per circa due anni, onde smaltire definitivamente i rifiuti relitti in situ (per vero, anche qui, senza indicare la fonte di un simile obbligo; ma l ‘ intera questione è oramai coperta dal giudicato interno, come s ‘ è detto) – se tale obbligo potesse assurgere a ‘ causa prossima di rilievo ‘ , come tale idonea a determinare da sola l ‘ evento dannoso, secondo quanto previsto dall ‘ art. 41, comma 2, c.p.; ciò si rendeva in realtà necessario, perché – in disparte quanto già osservato circa la lacunosa indagine giuridica circa la fonte dei comportamenti doverosi la cui mancanza è stata imputata alla Mad a giustificazione della sua ritenuta responsabilità – in ogni caso la società non aveva avuto accesso al sito da circa due anni.
La Corte d’appello , dunque, avrebbe dovuto verificare se – rispetto alla situazione complessiva, e anche a ritenere sussistente un qualsiasi obbligo prudenziale in capo alla Mad rispetto alle condizioni del sito, la cui violazione potesse assurgere a concausa simultanea rispetto alla coeva condotta doverosa che il Comune
avrebbe dovuto parimenti tenere – detto lungo lasso di tempo potesse connotare la protratta inerzia comunque accertata in capo al Comune come idonea ad elidere la pur ritenuta (benché con gli errori in procedendo et in iudicando già evidenziati) efficienza causale dell ‘ operato della Mad , ossia se l’inerzia potesse integrare vera e propria causa sopravvenuta, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto (v. Cass. n. 21563/2022, anche per richiami).
La Corte d ‘ appello, invece, si è dilungata (par. 8, in particolare) nella disamina della diversa questione del grado di responsabilità imputabile al Comune e alla stessa Mad nella causazione dell ‘ evento, per negarne però rilevanza in concreto, sia perché nessuno aveva avanzato la relativa domanda di accertamento, sia in forza del principio di equivalenza delle concause ai fini della solidarietà risarcitoria ex art. 2055 c.c.
Si tratta, però, di questione affatto diversa, perché il principio suddetto rileva rispetto alla posizione del danneggiato (giacché la citata disposizione esprime il favor nei suoi confronti), ma non esclude minimamente la doverosità dell ‘ indagine circa l’individuazione , tra le tante possibili cause dell’evento , di quella sola tra esse idonea a produrlo, si tratti di causa simultanea o sopravvenuta (sul tema, si veda amplius la già citata Cass., Sez. Un., n. 13143/2022).
6.5 -Stante la fondatezza dei motivi nei termini suddetti, il giudice del rinvio, quindi, procederà ad un nuovo esame dell ‘ appello principale della Mad, dapprima individuando esattamente il ruolo da essa rivestito nella vicenda e, di conseguenza, gli obblighi che sulla stessa gravavano per legge, o in forza di altra
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fonte (amministrativa, negoziale, ecc.) e sulla base delle evenienze istruttorie, per poi verificare se eventuali inadempienze ( lato sensu intese) della società abbiano assunto valenza determinante nella sequenza causale che condusse all ‘ incendio per cui è processo, ed infine verificando se la protratta inerzia del Comune nello smaltimento dei rifiuti relitti nel sito (questione, quest ‘ ultima, oramai definitivamente coperta dal giudicato interno) abbia potuto assumere il rango di ‘causa prossima di rilievo’, quale causa esclusiva da sé idonea a produrre l ‘ evento, pur a prescindere dalle suddette eventuali inadempienze della stessa Mad e dalla loro efficienza eziologica.
7.1 I motivi del ricorso principale concernenti il quantum debeatur (dunque il sesto, il settimo e l ‘ ottavo), proposti in subordine, restano conseguentemente assorbiti, stante l ‘ accoglimento del terzo, del quarto e del quinto, nei termini prima riportati.
8.1 Può adesso affrontarsi il primo motivo del ricorso incidentale, benché adesivo rispetto al sesto del principale, rimasto assorbito. Esso è fondato.
La sentenza impugnata si rivela erronea laddove si ritiene precluso l ‘ esame della questione circa il concorso di colpa della danneggiata Azienda Agraria a cagione della natura chiusa del giudizio di rinvio. Infatti, per quanto qui interessa, l ‘ appello incidentale del Comune di Pontecorvo era fondato sulla negazione totale della propria responsabilità (per sussistere, anche qui, quella esimente del fatto doloso del terzo, oppure quella esclusiva della Mad); pertanto, la questione circa la pretesa violazione dell ‘ art. 1227, comma 1, c.c., attenendo al piano della causalità (e nella misura in cui non risultasse coperta dal giudicato interno, il che
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nella specie è da escludere), ben poteva essere agitata anche nel giudizio di rinvio, essendo pure rilevabile d ‘ ufficio (v., ex multis , Cass. n. 9200/2021).
Il mezzo va dunque accolto, perché la presenza di un bosco finitimo di proprietà della stessa Azienda Agraria danneggiata, da cui è scaturito l ‘ incendio poi propagatosi nel sito di stoccaggio, avrebbe dovuto certamente portare a valutare la eventuale responsabilità del danneggiato ex art. 2051 c.c., ai fini di quanto previsto dall ‘ art. 1227, comma 1, c.c., a nulla di per sé rilevando (come pure ritenuto dal giudice del rinvio) l’accertamento sul se le condizioni del bosco stesso fossero tali da agevolare la propagazione dell’incendio, posta la già richiamata natura oggettiva della responsabilità in parola (v. la già citata Cass., Sez. Un., n. 20943/2022).
Infatti, una volta appurata la sussistenza del nesso di causalità tra la res custodita (il bosco) e l’ evento per cui è processo (questione rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito), il custode può andare esente dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. solo alle seguenti condizioni (per tutte, si veda la recente Cass. n. 8346/2024, anche per richiami):
la responsabilità del custode è esclusa dalla prova del ‘caso fortuito’;
il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d ‘ un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato, oppure in un comportamento della vittima;
se il caso fortuito è consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile;
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d) se il caso fortuito è consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri:
d ‘ ) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno;
d ” ) valutare se il danneggiato ha rispettato il ‘generale dovere di ragionevole cautela’;
d ”’ ) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza ‘irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale’;
d ”” ) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.
8.2 Occorre dunque che il giudice del rinvio, nello scrutinio del relativo motivo d ‘ appello incidentale del Comune, verifichi l ‘eventu ale rilevanza della condotta della stessa danneggiata Azienda Agraria, quale custode del bosco finitimo e rispetto al fatto doloso del terzo rimasto ignoto, ai fini del concorso nella causazione dell’evento dannoso , sulla base dell ‘ apprezzamento (ad esso giudice riservato) delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio e regolarmente acquisite, avendo cura di accertare se la condotta del terzo possa dirsi oggettivamente imprevedibile ed inevitabile, solo in tal caso dovendosi escludere la rilevanza causale del suddetto concorso.
9.1 Infine, il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, sulla questione della non risarcibilità del danno arrecato ai capannoni a causa della loro pretesa natura
abusiva non è affatto configurabile alcuna omessa pronuncia rilevante ex art. 112 c.p.c., perché la Corte d ‘ appello ha invece esaminato il relativo motivo d ‘ appello dell ‘ ente, seppur dichiarandolo inammissibile a causa della ritenuta novità della questione: ratio decidendi , questa, non attinta da valida censura.
10.1 In definitiva, quanto al ricorso principale, è inammissibile il primo motivo, è rigettato il secondo, sono accolti il terzo, il quarto e il quinto, mentre restano assorbiti il sesto, il settimo e l ‘ ottavo; quanto al ricorso incidentale, è accolto il primo motivo, mentre è rigettato il secondo. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d ‘ appello di Roma, in diversa