Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1899 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1899 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34160/2019 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
ricorrente -controricorrente incidentale
contro
COGNOME NOME , elett. dom.ta in INDIRIZZO Roma, presso AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
nonché
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , eletto dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente -ricorrente incidentale
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 2769/2019 pubblicata in data 15/05/2019, n.r.g. 2015/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22/11/2023 dal
OGGETTO:
cessione illegittima di ramo aziendale -demansionamento presso il cessionario – imputazione della responsabilità -precedente giudicato -conseguenze
Consigliere dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.- COGNOME NOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE, in occasione della cessione di un ramo d’azienda era passata alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE.
Con un primo giudizio aveva dedotto l’illegittimità della cessione del ramo d’azienda, nonché il demansionamento e la dequalificazione patiti sia presso la cedente (dall’anno 2003 all’anno 2004) , sia presso la cessionaria (dall’anno 2004 a luglio 2005) , vicenda per la quale aveva chiesto anche la condanna delle due società (cedente e cessionaria) al risarcimento del danno professionale.
Su quella vicenda era intervenuta sentenza di accoglimento di primo grado, poi confermata dalla sentenza d’appello n. 1238/2013, a sua volta confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 19767/2016, sicché si era formato il giudicato sia sull’illegittimità della cessione di ramo d’azienda, sia sul demansionamento e sul diritto della COGNOME al risarcimento dei danni nei confronti di entrambe le società.
Non essendo stata reintegrata da RAGIONE_SOCIALE ed essendo continuato il demansionamento in RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME aveva proposto un secondo giudizio (relativo al periodo da agosto 2005 a novembre 2009), concluso in appello con sentenza n. 3250/2015, con la quale la Corte territoriale aveva applicato il principio generale del giudicato esterno, secondo cui l’accertamento della situazione giuridica e la soluzione di questioni di fatto o di diritto relative ad un punto fondamentale, contenuto in un giudicato, fa stato tra le medesime parti anche in un ulteriore giudizio di cui quella stessa situazione giuridica e quelle medesime questioni di fatto o di diritto costituiscano la premessa indispensabile, precludendone un riesame.
COGNOME NOME proponeva poi un terzo giudizio, allegando la persistenza del demansionamento dal mese di dicembre 2009 fino al deposito del nuovo ricorso introduttivo di primo grado (22/05/2013).
2.- Il Tribunale di Napoli, adìto con il terzo ricorso, condannava le due società, in solido, al risarcimento del danno professionale e morale in favore della COGNOME, liquidato rispettivamente in euro 28.759,00 ed in euro 5.748,00.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava gli appelli, poi riuniti, proposti dalle due società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
anche nel presente giudizio opera la preclusione derivante dal giudicato esterno di cui al primo giudizio intercorso fra le parti, essendo rimasti invariati gli elementi della fattispecie;
anzi, quanto al danno, nel presente giudizio è emerso che da dicembre 2011 la COGNOME è rimasta completamente inattiva e dall’01/03/2012 è stata collocata da RAGIONE_SOCIALE in CIGS a zero ore;
corretta è la liquidazione del danno non patrimoniale da dequalificazione in misura pari alla metà della retribuzione lorda, trattandosi di criterio che ha ricevuto anche l’avallo della Corte di Cassazione (n. 3806/2019), secondo cui va garantito il diritto primario del lavoratore alla tutela del proprio patrimonio professionale, indipendentemente da specifiche aspettative di progressione di carriera;
con riguardo a RAGIONE_SOCIALE, l’eccezione di esclusione di responsabilità per essere il rapporto di mero fatto è infondata, poiché l’inottemperanza ad ordini giudiziali è comunque un atto illecito che coinvolge anche tale società, come affermato anche dalla Corte di Cassazione, che ha riconosciuto la responsabilità solidale di cedente e cessionaria (Cass. n. 20176/2013), esclusa solo nel caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato prima del trasferimento di ramo d’azienda.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso ed a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.
7.- COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito al ricorso incidentale con controricorso.
8.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
A) RICORSO PRINCIPALE.
Con unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 4) e 3), c.p.c. la ricorrente lamenta sia un’omessa pronunzia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sia ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2112 e 1223 c.c.
In particolare, dopo aver puntualizzato che il presente ricorso ha ad oggetto unicamente l’individuazione del soggetto su cui incombe la responsabilità risarcitoria per il demansionamento, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di pronunziarsi sullo specifico motivo di appello, con cui essa società aveva eccepito la sua estraneità alla condotta illecita di demansionamento, riferibile in via esclusiva a RAGIONE_SOCIALE, che pertanto doveva essere dichiarata unica responsabile. Precisa, infatti, che l’oggetto del giudizio è il demansionamento per il periodo dal 2009 in poi, laddove la cessione del ramo d’azienda risale al 2004.
La ricorrente lamenta, inoltre, che la Corte territoriale abbia confermato la responsabilità solidale delle due società (già pronunziata dal Tribunale) in violazione dei limiti derivanti dagli artt. 2112 e 1223 c.c., considerato che la pretesa risarcitoria era stata avanzata dalla lavoratrice sulla base della violazione dell’art. 2103 c.c. quindi di un titolo di responsabilità contrattuale del datore di lavoro. Invoca al riguardo una pronunzia di questa Corte di legittimità (Cass. n. 21161/2019), secondo cui sul datore di lavoro di fatto gravano tutti gli obblighi datoriali durante il periodo di esecuzione del rapporto, fra cui l’obbligo previsto dall’art. 2103 c.c.
Infine deduce che ai fini dell’affermazione della propria responsabilità risarcitoria neppure potrebbe essere invocata la sua inottemperanza all’ordine di ripristino del rapporto di lavoro, contenuto nell’originaria sentenza (di primo grado) n. 5792/2008, perché comunque mancherebbe il nesso di causalità fra questa sua condotta inottemperante e il danno da demansionamento patito dalla COGNOME, che pertanto non potrebbe dirsi conseguenza diretta e immediata di quell’inottemperanza.
Il motivo è inammissibile perché precluso dal giudicato esterno intervenuto fra le medesime parti, rappresentato dalla sentenza di questa Corte del 03/06/2021, n. 15463, con cui sono stati rigettati i ricorsi proposti dalle due società avverso la sentenza n. 3215/2015 della Corte d’Appello di Napoli e, quindi, si è concluso -successivamente al ricorso per cassazione in
esame -il secondo dei tre giudizi sopra riportati.
Nella predetta sentenza -relativa al demansionamento patito dalla COGNOME presso RAGIONE_SOCIALE nel periodo da agosto 2005 a novembre 2009 -questa Corte ha affermato: ‘ … ciò che è stato accertato è che due condotte autonome e differenti hanno concorso, ciascuna autonomamente, nel verificarsi dell’unico danno denunciato per il periodo in osservazione conseguente alla mancata adibizione a mansioni proprie del livello di inquadramento della lavoratrice. Il demansionamento della lavoratrice è conseguenza del comportamento della cedente che in corso di rapporto ha assegnato la lavoratrice a mansioni non corrispondenti al suo profilo e, successivamente all’accertamento della nullità della cessione del ramo di azienda, è rimasta inadempiente all’obbligo di ricostituire il rapporto di lavoro con assegnazione alle mansioni accertate nella sentenza già passata in giudicato. Con esso concorre il comportamento della cessionaria che ha perseverato nel mantenere la lavoratrice in mansioni che non si confacevano al suo inquadramento … ‘ (par. 7.3., pag. 5).
Questo accertamento, passato in giudicato, preclude qualunque diversa decisione e rende quindi irrilevante la questione prospettata dalla ricorrente principale circa l’effettiva ed esatta portata del decisum di cui alla precedente sentenza di questa Corte n. 19767/2016.
Va infatti ribadito che ‘ Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto ‘ (Cass. ord. n. 12754/2022; in termini anche Cass. sez. un. n. 13916/2006).
B) RICORSO INCIDENTALE.
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 4) e 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta sia l’omessa pronunzia della Corte
territoriale sul motivo di appello, con cui era stata denunziata l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. e d invocata l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., con esclusione della sua responsabilità anche solidale, sia la ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2112, 2126, 2103 e 1406 c.c. per avere la Corte territoriale pronunziato condanna risarcitoria anche di essa società, in solido con RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è infondato in relazione alla prima censura, inammissibile in relazione alla seconda.
Con riguardo alla prima, l’omessa pronunzia non sussiste, poiché la Corte d’Appello ha espressamente esaminato quel motivo di gravame e l’ha motivatamente rigettato (v. sentenza impugnata, p. 4, ult.cpv., e p. 5).
Con riguardo alla seconda censura è sufficiente richiamare le considerazioni sopra svolte per il motivo di ricorso principale.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 4) e 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1406, 1410, 1266, co. 1, 1218 c.c. per avere la Corte territoriale applicato la disciplina dell’art. 2112 c.c. al fine di riconoscere la sua responsabilità solidale con RAGIONE_SOCIALE, pur avendo preso atto della nullità della cessione del contratto di lavoro per mancanza del consenso del contraente ceduto.
Il motivo è inammissibile.
E’ vero che la Corte territoriale ha erroneamente applicato la disciplina della solidarietà di cui all’art. 2112 c.c., norma invece inapplicabile una volta formatosi il giudicato sulla invalidità di quella cessione del ramo d’azienda. Tuttavia la conclusione affermata in termini di responsabilità solidale di RAGIONE_SOCIALE è conforme a diritto, alla luce delle considerazioni sopra svolte per il motivo di ricorso principale. Questa Corte, nella sentenza n. 15463/2021, ha evidenziato -con efficacia di giudicato -una condotta propria di RAGIONE_SOCIALE, idonea a radicare una sua responsabilità solidale.
Questa medesima condotta, nel giudizio di merito relativo al presente ricorso, risulta accertata in fatto dalla Corte territoriale come perdurata anche dopo novembre 2009, anzi aggravata nel tempo (da dicembre 2009 al 2013). Ne deriva l’efficacia preclusiva prodotta da quel giudicato anche nel presente giudizio, perché relativo ad un rapporto di durata nel quale gli
elementi di fatto e di diritto sono rimasti invariati.
3.- Nel rapporto fra le due società, da un lato, e la COGNOME , dall’altro, le spese seguono la soccombenza in via solidale e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione al difensore dichiaratosi antistatario.
Nel rapporto fra le due società, connotato da reciproca soccombenza (perché ciascuna ha invocato la responsabilità esclusiva dell’altra ed invece ne rimane confermata la responsabilità solidale di entrambe), le spese vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta quello incidentale; condanna entrambe le società a rimborsare in solido a COGNOME NOME le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione all’AVV_NOTAIO; compensa le spese del giudizio di legittimità fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in