Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17756 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17756 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26703/2020 R.G. proposto da
COMUNE DI VALENZA, COMUNE DI SAN SALVATORE MONFERRATO, COMUNE DI LU E COGNOME MONFERRATO, COMUNE DI COGNOME DI VALENZA, COMUNE DI BASSIGNANA, COMUNE DI MONTECASTELLO, COMUNE DI RIVARONE e COMUNE DI FUBINE MONFERRATO, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., rappresentati e difesi dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO; -ricorrenti –
contro
I.P.A.B. RESIDENZA COGNOME, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione;
-intimato -avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 87/20, depositata il 24
gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’I.P.A.B. Residenza COGNOME (già Ospedale Santo Spirito) convenne in giudizio il C.RAGIONE_SOCIALE -Consorzio Intercomunale dei Servizi Sociali del Valenzano e del Basso Monferrato e i Comuni consorziati, per sentirli condannare in solido al pagamento della somma di Euro 127.731,95, a titolo d’integrazione delle rette dei servizi socio-assistenziali resi nel periodo compreso tra i mesi di gennaio 2009 e aprile 2011.
Si costituirono i Comuni di Valenza, San Salvatore Monferrato, Lu e Cuccaro Monferrato, Pecetto di Valenza, Bassignana, Montecastello e Rivarone, ed eccepirono l’esistenza di una clausola compromissoria e l’inapplicabilità dell’art. 2615 cod. civ. ai consorzi di diritto pubblico.
1.1. Con sentenza del 28 ottobre 2017, il Tribunale di Alessandria accolse la domanda.
L’impugnazione proposta dai Comuni è stata rigettata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza del 24 gennaio 2020.
A fondamento della decisione, la Corte ha richiamato gli artt. 31 e 114 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che disciplinano i consorzi costituiti dagli enti locali per la gestione associata di servizi, osservando che, in quanto relative a un servizio privo di rilevanza economica e qualificabili come prestazioni socio-sanitarie integrate, le prestazioni rese dall’IPAB erano regolate dall’art. 113bis , il quale prevede che i rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori sono regolati da appositi contratti, e dall’art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, il quale prevede che la retta di ricovero è costituita da una quota sanitaria a carico del Sistema Sanitario Regionale ed erogata tramite l’azienda sanitaria locale ed una quota sociale o alberghiera a carico del Co-
mune, con la partecipazione dell’utenza. Ha confermato pertanto che i Comuni erano obbligati in solido con il Consorzio al pagamento delle somme richieste dall’IPAB, aggiungendo che il Consorzio, avendo contrattato con un terzo per conto dei consorziati, aveva operato quale mandatario degli stessi, e doveva quindi farsi carico delle relative obbligazioni; precisato tuttavia che, in deroga al principio generale di cui all’art. 1705 cod. civ., la responsabilità solidale prevista dall’art. 2615, secondo comma, cod. civ. nel caso di obbligazioni contratte per conto del singolo consorziato dà luogo a una duplice legittimazione passiva, indipendentemente dalla spendita del nome del consorziato, per il solo fatto che l’obbligazione è stata contratta nel suo interesse, ha osservato che nella specie, trattandosi delle rette per il ricovero degli assistiti, poste in parte a carico degli enti consorziati, l’oggetto delle obbligazioni era legato alle finalità istituzionali del Consorzio, e riguardava pertanto tutti i consorziati.
La Corte ha rigettato inoltre la domanda di riforma della sentenza impugnata proposta dal Comune di Fubine Monferrato, costituitosi soltanto in sede di gravame con comparsa di costituzione e risposta, osservando che, anche a volerla qualificare come appello incidentale, la stessa risultava infondata, giacché per un verso l’inapplicabilità dell’art. 2615, secondo comma, cod. civ. alla società consortile a responsabilità limitata non costituisce espressione di una regola generale, e per altro verso la fattispecie esulava dall’art. 2615, primo comma, cod. civ., dal momento che la causa non riguardava obbligazioni contratte dal consorzio per il funzionamento degli uffici, ma obbligazioni assunte nello specifico interesse dei consorziati, indipendentemente dalla spendita del loro nome.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i Comuni di Valenza, San Salvatore Monferrato, Lu e Cuccaro Monferrato, Pecetto di Valenza, Bassignana, Montecastello, Rivarone e Fubine Monferrato, per cinque motivi, illustrati anche con memoria. L’IPAB ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. Il CISS non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 31, 113bis e 114 del d.lgs. n. 267 del 2000, osservando che, nel richiamare la disciplina pubblicistica dei consorzi di diritto pubblico, la sentenza impugnata non ha considerato che nessuna delle predette disposizioni prevede la responsabilità solidale dei Comuni consorziati per le obbligazioni contratte dal consorzio. Premesso che quest’ultimo, in quanto dotato di una propria autonomia giuridica e patrimoniale, instaura autonomi rapporti giuridici con i terzi, sostengono che, al pari di quanto accade per le aziende speciali, i Comuni si limitano a fornirgli la provvista necessaria per far fronte alle passività della gestione, nella misura prevista dallo statuto, la cui conoscibilità da parte dei terzi consente agli stessi di recedere dalla convenzione di servizio, in caso d’incapienza del fondo comune, e di procedere all’espropriazione forzata del credito di provvista. Aggiungono che gli artt. 113bis , comma quinto, e 114, comma ottavo, del d.lgs. n. 267 del 2000 si riferiscono rispettivamente ai rapporti diretti tra gli enti locali e i soggetti erogatori dei servizi ed ai contratti di servizio con le aziende speciali, cioè a fattispecie non ricorrenti nel caso in esame, nel quale nessun rapporto diretto è intercorso tra i Comuni e l’IPAB.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 31, 113bis e 114 del d.lgs. n. 267 del 2000 e degli artt. 2093, 2602 e 2615 cod. civ., rilevando che, nel richiamare la disciplina privatistica, la sentenza impugnata non ha considerato che l’art. 31 cit., nel richiamare l’art. 114, estende ai consorzi una disciplina completa, che non necessita di alcuna integrazione. Premesso inoltre che, ai sensi dell’art. 2602 cod. civ., la disciplina civilistica dei consorzi non trova applicazione in presenza di norme speciali, affermano che la responsabilità solidale di cui all’art. 2615, secondo comma, cod. civ., oltre ad avere carattere eccezionale, in quanto prevista in deroga alla regola di cui all’art. 1372, secondo comma, cod. civ., non è posta a tutela dei creditori del consorzio, ma dei consorziati, mirando a salvaguardare il fondo consortile. Rilevano infine che, ove i terzi avessero azione diretta nei confronti dei Comuni consorziati, risulterebbe priva di senso la previsione dell’obbligo di questi ultimi di provvedere al con-
ferimento del capitale di dotazione ed alla copertura dei disavanzi del consorzio, nei limiti degli obblighi derivanti dallo statuto.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2615, secondo comma, cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile tale disposizione, senza considerare che le convenzioni con l’IPAB erano state stipulate dal legale rappresentante del CISS, per conto di quest’ultimo. Premesso infatti che, ai fini della distinzione tra le obbligazioni per cui risponde esclusivamente il fondo consortile e quelle per cui rispondono solidalmente anche i consorziati, l’art. 2615 attribuisce rilievo non già alla spendita del nome, ma alla qualità della persona fisica che contrae l’obbligazione, affermano che l’intervento del legale rappresentante evidenzia la riconducibilità dell’obbligazione all’interesse generale del consorzio, mentre l’assunzione dell’obbligazione da parte di un organo dello stesso costituisce indice della sua riferibilità all’interesse di un singolo consorziato.
Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2615, secondo comma, cod. civ., osservando che, nell’evidenziare la riconducibilità dell’oggetto delle obbligazioni ai fini istituzionali dei Comuni consorziati, la sentenza impugnata ha attribuito rilievo ad un elemento non previsto dalla predetta disposizione, e comunque inidoneo ad escludere la responsabilità esclusiva del Consorzio, come emerge dalla disciplina dettata dall’art. 31 del d.lgs. n. 267 del 2000 per le aziende speciali. Ribadiscono che la disciplina prevista dall’art. 2615 è incentrata sulla nozione di specifico interesse del consorziato, in mancanza del quale non può ravvisarsi una responsabilità solidale di quest’ultimo, precisando che la ratio della norma consiste nell’evitare che i singoli consorziati possano avvalersi dello schermo del fondo consortile per sottrarsi all’adempimento di obbligazioni sorte nel loro esclusivo interesse. Precisato che tale interesse non coincide con quello generale all’erogazione del servizio in forma associata, sostengono che nella specie l’affermazione della responsabilità solidale dei singoli Comuni avrebbe richiesto l’allegazione e la prova di quelli per conto dei quali erano state pattuite e rese le prestazioni: affermano infatti che le convenzioni stipulate dal CISS con l’IPAB, pur rispondendo ad un interesse generale del
Consorzio, costituivano accordi normativi, volti a regolare i rapporti economici derivanti dal ricovero degli ospiti presso la struttura, i quali sarebbero sorti soltanto a seguito di tale ricovero, a carico dei singoli Comuni interessati.
Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono la violazione o la falsa applicazione dell’art. 6, comma diciannovesimo, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 e dell’art. 14, comma quinto, del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, sostenendo che la responsabilità solidale di tutti i Comuni consorziati, riconosciuta dalla sentenza impugnata, si pone in contrasto con la giurisprudenza contabile in tema di consorzi con attività esterna, secondo cui per le obbligazioni assunte in nome del consorzio i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile, e non anche nei confronti dei singoli consorziati, i quali, ove provvedano alla copertura del fabbisogno finanziario del consorzio in liquidazione, si accollano di fatto i debiti di un altro soggetto.
I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi entrambi ad oggetto la compatibilità della responsabilità solidale dei consorziati, prevista dall’art. 2615, secondo comma, cod. civ., con la disciplina pubblicistica dettata dal d.lgs. n. 267 del 2000 per i consorzi di enti locali, sono fondati.
E’ pacifico che il credito azionato dall’IPAB nei confronti del CISS e dei Comuni consorziati ha ad oggetto il pagamento d’importi dovuti a titolo d’integrazione delle rette relative a servizi socio-assistenziali resi in favore di cittadini residenti nei predetti Comuni. Si tratta di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, definite dall’art. 3septies , comma secondo, lett. b) , del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 come «attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute», ed attribuite dal sesto comma del medesimo articolo alla «competenza dei Comuni, che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dello art. 3, comma secondo, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112», sulla base dei criteri stabiliti dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 2, comma primo, lett. n) , della legge 30 novembre 1998, n. 419, cui è demandata anche l’individuazione delle prestazioni riconducibili a tale tipologia.
Tali prestazioni possono essere rese dai Comuni in forma associata, ai
sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prevede che «gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’art. 114, in quanto compatibili» (comma primo), aggiungendo che «ai consorzi che gestiscono servizi di cui all’art. 113bis si applicano le norme previste per le aziende speciali» (comma ottavo). Tali disposizioni traggono origine dalla distinzione, risalente ad epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142, tra consorzi di funzioni, cui è demandato lo svolgimento di attività amministrative, e consorzi-azienda, costituiti per la gestione di servizi pubblici, nonché, nell’ambito di questi ultimi, tra consorzi costituiti per la gestione di servizi a rilevanza economica e consorzi costituiti per la gestione di servizi privi di rilevanza economica, cui si riteneva applicabile la disciplina delle aziende speciali. Tale distinzione fu recepita dall’art. 25, comma 7bis , della legge n. 142 cit., introdotto dall’art. 5 del d.l. 28 agosto 1995, n. 361, il quale dispose che «ai consorzi che gestiscono aventi attività economica e imprenditoriale, ai consorzi creati per la gestione dei servizi sociali se previsto dallo statuto, si applicano, per quanto attiene alla finanza, alla contabilità e al regime fiscale, le norme previste per le aziende speciali. Agli altri consorzi si applicano le norme dettate per gli enti locali». Dopo aver trovato conferma nel Testo unico degli enti locali, che ha esteso le norme dettate per le aziende speciali anche agli altri consorzi, ma solo «in quanto compatibili», la predetta distinzione è stata peraltro superata dalla legislazione successiva, la quale ha dapprima disposto la trasformazione dei consorzi esercenti servizi pubblici a rilevanza economica in società per azioni (art. 35, comma ottavo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448), e in seguito imposto ai Comuni la soppressione dei consorzi di funzioni (art. 2, comma 186, della legge 23 dicembre 2009, n. 191), lasciando quindi sopravvivere la possibilità di costituire consorzi di enti locali soltanto per la gestione di servizi pubblici privi di rilevanza economica, come quello in esame.
Nel d.lgs. n. 267 del 2000, le aziende speciali sono disciplinate dall’art. 114, che le definisce come «ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto», disponendo che a) esse «conformano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza
ed economicità ed hanno l’obbligo dell’equilibrio economico, considerando anche i proventi derivanti dai trasferimenti» (comma quarto), b) «l’ordinamento ed il funzionamento sono disciplinati dal proprio statuto e dai regolamenti» (comma quinto), c) «le aziende speciali si iscrivono e depositano i propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economico-amministrative della camera di commercio» (comma 5bis ), e d) «l’ente locale conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli eventuali costi sociali (comma sesto)». L’art. 113bis prevede poi che, per i servizi sociali privi di rilevanza economica, i quali possono essere gestiti mediante affidamento diretto ad aziende speciali, anche consortili, «i rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi sono regolati da contratti di servizi».
Anche sotto tale profilo, la disciplina in esame recepisce gli approdi cui erano pervenute la giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa sotto l’impero di quella previgente, che hanno trovato conferma anche nella giurisprudenza successiva, la quale ha ribadito che le aziende speciali costituiscono enti strumentali degli enti locali di cui costituiscono espressione, aventi natura di enti pubblici economici, dotati di personalità giuridica ed autonomia imprenditoriale, e la cui gestione deve rispondere a criteri di economicità, intesi come obbligo di copertura dei costi, ivi compresa la remunerazione dei fattori produttivi impiegati (cfr. Cass., Sez. Un., 18/02/2002, n. 2370; 29/11/ 1999, n. 829; 15/12/1997, n. 12654; Cons. di Stato, Sez. V, 3/9/2001, n. 4586; 9/05/2001, n. 2605). E’ stato peraltro chiarito che l’attribuzione della personalità giuridica non trasforma l’azienda speciale in un soggetto privato, ma la configura come un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici, distinto dal Comune e dotato di una propria autonomia decisionale: pur dandosi atto che l’azienda opera sul mercato con le regole ed alla stregua dei privati imprenditori, si è osservato che essa costituisce comunque un soggetto istituzionalmente dipendente dall’ente locale ed allo stesso collegato da vincoli talmente stringenti (sul piano della nomina degli organi, del rispetto degli indirizzi strategico-gestionali e del controllo e della vigilanza), da dover essere considerata come un elemento del sistema amministrativo dell’ente
medesimo (cfr. Cass., Sez. Un., 9/08/2018, n. 20684; Cons. Stato, Sez. V, 22/09/2017, n. 4435; 27/09/ 2004, n. 6325; 19/09/2000, n. 4850).
Tali principi hanno trovato applicazione in parte anche ai consorzi, che si caratterizzano, rispetto alle aziende speciali, per la loro riconducibilità a una pluralità di soggetti, ivi compresi enti pubblici diversi dagli enti locali titolari del servizio gestito, e per tale ragione presuppongono la stipulazione di una convenzione ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000, volta a regolare «la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie»: si è infatti affermato che anch’essi hanno natura di enti pubblici, dotati di personalità giuridica, autonomia patrimoniale e statutaria, e qualificabili come enti strumentali degli enti locali (cfr. Cass., Sez. Un., 10/10/2002, n. 14475; Cass., Sez. V, 28/03/2008, n. 8042), precisandosi inoltre che «il limite della “compatibilità” si riferisce al fatto che nella costituzione dei consorzi gli enti locali non incontrano le limitazioni riferibili alla natura ed alla rilevanza sociale o imprenditoriale dei servizi, previste dal precedente art. 22 della legge citata per le aziende» (cfr. Cass., Sez. Un., 10/10/2002, n. 14475). La qualificazione dei consorzi come enti pubblici economici, già riconosciuta non senza dubbi da alcune pronunce più risalenti (cfr. Cass., Sez. Un., 1/12/2000, n. 1243; 11/ 10/1997, n. 9879), è stata ritenuta invece ancor più controvertibile allo stato della normativa vigente, in considerazione della già segnalata limitazione del loro ambito di operatività ai servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, cioè ad attività che trascendono una dimensione puramente imprenditoriale, nonché della circostanza che tali enti provvedono al proprio fabbisogno avvalendosi per lo più di mezzi finanziari erogati dallo Stato e dalle Regioni e contributi degli enti consorziati, con la conseguenza che i costi dell’attività sono prevalentemente sostenuti con entrate estranee a una gestione puramente economica (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2006, n. 15661; 24/03/2006, n. 6573).
Sulla base di tale ricognizione, può affermarsi che la disciplina dei consorzi di enti locali si caratterizza, nella sua attuale conformazione, per una spiccata accentuazione del profilo pubblicistico, derivante essenzialmente dall’attribuzione agli stessi di una personalità giuridica di diritto pubblico, autonoma e distinta da quella dei Comuni consorziati, dalla riconducibilità della loro costituzione ad un’apposita convenzione, qualificabile come accordo tra Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cass., Sez. Un., 3/06/2015, n. 11376; Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 8/11/2004, n. 5620), dal riconoscimento in loro favore di un potere di autoorganizzazione, nell’ambito delimitato dall’atto costitutivo e dallo statuto, dallo svolgimento della loro attività attraverso atti amministrativi, quanto meno nell’ambito interno e nella fase propedeutica alla stipulazione dei contratti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19/09/2000, n. 4850; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 25/03/2000, n. 2311; 19/09/1997, n. 1441), dalla natura eminentemente sociale dei servizi pubblici loro affidati, dalla fornitura del capitale di dotazione da parte dei Comuni consorziati, dalla provenienza prevalentemente pubblica delle altre risorse economiche di cui si avvalgono, e dal loro assoggettamento al potere d’indirizzo, vigilanza e controllo degli enti consorziati. Tali connotati, escludendo la possibilità di assimilare interamente i consorzi a soggetti di diritto privato, consentono di attribuire carattere residuale all’applicazione dei principi del codice civile, richiamati dall’art. 114, comma primo, del d.lgs. 267 del 2000, anche alla luce di quanto disposto dal comma quinto del medesimo articolo, che ne assoggetta non solo l’ordinamento, ma anche il funzionamento, nell’ambito della legge, alla disciplina dettata dallo statuto e dai regolamenti, in tal modo circoscrivendo la sfera di operatività della normativa civilistica all’individuazione ed alla disciplina degli strumenti attraverso i quali si svolge l’attività negoziale dell’ente.
In quest’ottica, può ritenersi condivisibile la tesi sostenuta dalla difesa dei ricorrenti, secondo cui la disciplina pubblicistica dettata dal Testo unico degli enti locali riveste una portata tendenzialmente esaustiva, tale da escludere, in linea di massima, il ricorso alla normativa privatistica, ai fini della ricostruzione dell’ordinamento e del funzionamento dei consorzi, e da imporre invece il riferimento alla legge, la quale non fa alcun cenno alla responsabilità soli-
dale dei consorziati per le obbligazioni contratte dal consorzio, nonché allo statuto e al regolamento di quest’ultimo ed al contratto di servizio stipulato con la struttura convenzionata, i quali, ove non prevedano espressamente tale responsabilità, consentono di concludere che il consorzio è tenuto in via esclusiva al pagamento degl’importi dovuti a titolo d’integrazione delle rette in favore dei soggetti cui è affidata in concreto l’erogazione dei servizi socioassistenziali. In tal senso depongono d’altronde chiaramente la distinta soggettività giuridica del consorzio, l’autonomia patrimoniale di cui è dotato e la delimitazione del ruolo dei consorziati all’attribuzione delle risorse economiche necessarie per la copertura dei costi dell’ente, nonché, su un altro versante, il riconoscimento ai Comuni di una competenza in materia di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria descritta in termini di mero «finanziamento» (art. 3septies , comma sesto, del d.lgs. n. 502 del 1992), con conseguente esclusione dell’assunzione di una responsabilità diretta nei confronti delle strutture erogatrici di tali prestazioni.
Sotto un diverso profilo, occorre poi rilevare che l’applicabilità delle norme dettate per le aziende speciali, prevista dall’art. 31, comma ottavo, del d.lgs. n. 267 del 2000 per i consorzi esercenti servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, non appare di per sé sufficiente a consentire di estendere a questi ultimi, neppure in via interpretativa o analogica, la responsabilità solidale degli enti consorziati prevista dall’art. 2615, secondo comma, cod. civ. per le obbligazioni contratte dagli organi del consorzio per loro conto, in virtù del generico richiamo ai principi del codice civile, contenuto nell’art. 114, comma primo, del d.lgs. n. 267 del 2000. La predetta disposizione trova infatti giustificazione nella logica prettamente privatistica ed imprenditoriale che contraddistingue l’attività svolta dai consorzi di cui agli artt. 2602 e ss. cod. civ. e nel carattere ausiliario delle prestazioni dagli stessi rese in favore delle imprese consorziate, i quali giustificano la responsabilità diretta di queste ultime per le obbligazioni contratte per loro conto dal consorzio, anche in assenza della spendita del loro nome, per il solo fatto che l’obbligazione è stata assunta nel loro interesse (cfr. Cass., Sez. V, 9/03/2020, n. 6569; Cass., Sez. III, 21/02/2006, n. 3664; Cass., Sez. I, 27/09/1997, n. 9509). Tale logica non è riferibile all’attività svolta dai consorzi, la quale, pur avendo
ad oggetto la prestazione di servizi pubblici assegnati alla competenza dei Comuni consorziati, attiene prevalentemente al settore sociale ed assistenziale, e si sottrae quindi a considerazioni di natura commerciale ed imprenditoriale, mirando a risultati che mal si prestano ad una valutazione in termini esclusivamente economici, in quanto aventi come obiettivo essenziale la tutela del benessere e della salute dei cittadini, tanto da giustificare un intervento finanziario pubblico volto a consentire all’ente erogatore di far fronte ai relativi costi.
Non merita pertanto consenso la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità di una responsabilità solidale dei Comuni consorziati nei confronti dell’attrice, l’applicazione delle disposizioni di carattere pubblicistico riguardanti i consorzi e l’erogazione delle prestazioni socio-assistenziali, richiamando comunque, per completezza, la disciplina dettata dall’art. 2615, secondo comma, cod. civ., della quale ha giustificato l’applicazione in virtù dell’osservazione che, in quanto avente ad oggetto l’integrazione delle rette dovute per il ricovero degli assistiti, l’obbligazione fatta valere dall’attrice risultava chiaramente legata alle finalità per cui era stato istituito il Consorzio, e doveva considerarsi quindi contratta nell’interesse di tutti i consorziati. Alla stregua delle considerazioni svolte in precedenza, nessuna delle due affermazioni può ritenersi condivisibile, avuto riguardo per un verso alla già segnalata mancanza di qualsiasi cenno alla predetta responsabilità, nella disciplina pubblicistica dei consorzi di enti locali, ed alla conseguente necessità di accertare se la stessa sia prevista, in concreto, dallo statuto, dal regolamento o dal contratto di servizio, e per altro verso all’incompatibilità della predetta disciplina con quella privatistica di cui all’art. 2615 cit.: l’applicazione di quest’ultima, comportando l’estensione a ciascuno dei Comuni consorziati della responsabilità per tutte le obbligazioni contratte dal Consorzio, indipendentemente da qualsiasi verifica in ordine alla corrispondenza delle stesse al rispettivo interesse, si tradurrebbe d’altronde in un’alterazione della competenza dei Comuni consorziati, ciascuno dei quali si troverebbe in concreto a rispondere anche dell’integrazione delle rette relative alle prestazioni rese in favore di cittadini residenti negli altri Comuni.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento dei primi
due motivi d’impugnazione, restando assorbiti gli altri motivi, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 9/01/2025