Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11008 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11008 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31065-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE ora RAGIONE_SOCIALE
– ricorrente principale – controricorrente incidentale nonchè contro
Oggetto
R.G.N. 31065/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 08/04/2025
CC
FALLIMENTO GRUPPO RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 297/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/04/2019 R.G.N. 1366/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza del giorno 11.4.2019 n. 297, la Corte d’appello di Milano accoglieva parzialmente il gravame dell’Inps avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva accolto parzialmente l’opposizione promossa dalla società RAGIONE_SOCIALE a vverso il decreto ingiuntivo richiesto dallo stesso Inps a titolo di obbligazione solidale, ex art. 29 comma 2 del d.lgs. n. 276/03, per il pagamento dei contributi, interessi e sanzioni omessi dalla società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE per il periodo 1.1.2010-21.12.2010, con riferimento ai lavoratori da quest’ultima impiegati nell’appalto in favore della ex società Fiat.
La Corte d’appello -per quanto ancora interessa -nell’accogliere in parte i l gravame dell’Inps ha ritenuto che committente e appaltatore fossero solidariamente responsabili del pagamento delle sanzioni civili irrogate a seguito del l’omissione contributiva . Il giudice di secondo grado ha richiamato la giurisprudenza di legittimità ed ha ritenuto la natura accessoria delle sanzioni civili, rispetto all’obbligazione principale contributiva soprattutto, in quanto, la formulazione dell’art. 29 comma 2 cit., v igente ratione temporis , era quella di cui alla legge n. 296/06 e non quella che sanciva l’esclusiva responsabilità in capo all’inadempiente, di cui all’art. 21 del DL n. 5/12, convertito con modificazioni dalla legge n. 35/12 che,
nel ridisciplinare la responsabilità solidale negli appalti, ha previsto che possa essere sanzionato per l’omissione contributiva solo il responsabile dell’inadempimento, escludendo le sanzioni dal vincolo solidale, con disposizione non avente carattere interpretativo e quindi non retroattiva.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, mentre l’Inps ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, cui ha resistito a sua volta RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il collegio ha riserva to il deposito dell’ ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 comma 2 del d.lgs. n. 276/03, come modificato dall’art. 21 primo comma del DL n. 5/12, convertito in legge n. 35/12, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Ad avviso della ricorrente erroneamente la Corte del merito aveva posto a carico della FCA, responsabile solidale ex art. 29 del d.lgs. n. 276/03, le sanzioni civili derivanti dal mancato versamento di contributi previdenziali da parte del gruppo COGNOME Ritiene infatti che queste, per la loro natura accessoria rispetto ai contributi non versati, conseguono automaticamente all’inadempimento contributivo e ritiene che in base al l’art. 29 comma 2 del d.lgs. n. 276/03 , nel testo novellato d all’art. 21 primo comma del DL n. 5/12, è escluso qualsiasi obbligo del committente in relazione alle sanzioni civili e che la norma novellata per il suo carattere interpretativo aveva efficacia retroattiva ed era perciò applicabile alla fattispecie.
Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce che in violazione dell’art. 116 comma 8 della legge n. 388/2000, la Corte d’appello nell’estendere la responsabilità anche per il pagamento delle sanzioni, le aveva erroneamente quantificate secondo il regine dell’evasione e non invece in base a quello dell’omissione contributiva, benché il gruppo RAGIONE_SOCIALE quale appaltatrice, avesse regolarmente presentato i Modelli DM10/M e Uniemens, comunicando così correttamente all’Istituto la propria obbligazione contributiva.
Con il terzo motivo di ricorso è censurata la sentenza per avere, in violazione dell’art. 1227 comma 1 c.c., trascurato di considerare che in relazione al periodo contributivo in contestazione l’Inps aveva attestato la regolarità nel versamento dei contributi Inps/Inail da parte della società appaltatrice con DURC del 30.11.2010. Pertanto, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto colposo del creditore Inps che aveva concorso a cagionare il danno e, conseguentemente, il risarcimento dovuto dalla società committente avrebbe dovuto essere corrispondentemente diminuito.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’ art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto non fondata la censura relativa all’assenza di prova che i lavoratori indicati nel verbale di accertamento fossero stati effettivamente impiegati nell’appalto in esame, essendosi la Corte del merito basata esclusivamente sulle risultanze del verbale ispettivo, mentre in sede di accertamento negativo del credito è il creditore (nella specie, l’Inps) che è tenuto a provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere.
Con il quinto motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. nell’ interpretazione dei contratti stipulati
fra FCA e gruppo Viesse; degli artt. 1655 e 1677 e degli artt. 1559 e ss. c.c. con riguardo alla decorrenza del termine decadenziale di cui all’art. 29 comma 2 del d.lgs. n. 276/03 e si sostiene che tale termine sarebbe decorso essendo trascorsi più di due anni tra la cessazione dei distinti contratti di appalto di fornitura di servizi – scaduti rispettivamente il 31.2.10, il 30.6.10 e il 30.9.10 – e la notifica del verbale ispettivo alla società ricorrente, da parte dell’Inps, avvenuta in data 10.12.2012.
Con il ricorso incidentale, invece, l’Inps denuncia la violazione dell’art. 29 comma secondo del d.lgs. n. 276/03, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che il termine di decadenza biennale, di cui alla norma in rubrica, varrebbe anche nei confronti dell’ente previdenziale, quando invece vi sarebbe piena autonomia del rapporto previdenziale facente capo all’Inps rispetto al rapporto intercorrente tra lavoratori della società appaltatrice e com mittente dell’appalto.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘In tema di ritenute fiscali sui redditi e contributi previdenziali, ai sensi dell’art. 35, comma 28, del d.l. 233 del 2006, conv. con modif. in l. n. 248 del 2006, applicabile “ratione temporis”, sussiste la responsabilità solidale dell’appaltatore con il subappaltatore che va estesa alle sanzioni civili, benché la lettera della legge non lo preveda espressamente, attesa la natura accessoria, automatica e predeterminata delle stesse. Nella vigenza di tale regime non può trovare invece applicazione l’art. 21, comma 1, del d.l. n. 5 del 2012, conv. con modif. in l. n. 35 del 2012, che, per l’omissione contributiva negli appalti ha previsto la responsabilità del solo inadempiente, poichè detta norma,
avendo natura innovativa e non interpretativa, non è retroattiva’ (Cass. n. 18259/18, 20849/19) .
Nella specie, la Corte territoriale ha accertato che i contributi previdenziali obbligatori omessi dalla società appaltatrice erano riferiti al periodo 1.1-31.12.2010 e quindi ricadevano senz’altro nel regime antecedente la novella del 2012.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte, ha affrontato la questione della formulazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, in relazione alla condotta dell’occultamento ed al rilievo da attribuire alla intenzione specifica di non versare i contributi o i premi ed ha stabilito che ” il termine occultamento non indica necessariamente l’assoluta mancanza di qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni, posto che anche soltanto attraverso la mancata (o incompleta o non conforme al vero) denuncia obbligatoria viene celata all’ente previdenziale (e, quindi, occultata) l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione e ciò, si badi, proprio attraverso l’adempimento funzionalmente diretto a consentire all’Istituto l’agevole conoscenza, mese per mese, del proprio credito contributivo” (cfr. Cass. n. 17970/22).
In definitiva, l’omessa o solo parziale presentazione delle dichiarazioni obbligatorie, accompagnata dal mancato versamento dei contributi, configura una presunzione semplice che può essere vinta dal datore di lavoro, su cui grava il relativo onere, non con la dimostrazione della corretta annotazione dei dati omessi sui libri di cui è obbligatoria la tenuta, ma fornendo la prova rigorosa di evidenze, soprattutto documentali, che attestino l’assenza di intento fraudolento e la sua buona fede. Ciò forma oggetto di concreto accertamento da parte dei giudici
di merito, al fine di “accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata” (Cass. n. 17970, cit.).
Nella specie, la Corte di appello ha accertato che il gruppo COGNOME non aveva versato la contribuzione ordinaria per le somme denunciate con la modulistica obbligatoria e come emerso dal LUL, tuttavia aveva erogato considerevoli importi a titolo di diaria e/o diaria Italia esente, escludendoli in tal modo (con l’intenzione di occultarli), dall’imponibile previdenziale e fiscale. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, perché non si confronta con la statuizione espressa dalla Corte d’appello, in sintonia con la giurisprudenza di legittimità, che il DURC non ha effetti liberatori per l’impresa, restando impregiudicata l’azione p er l’accertamento e il recupero di eventuali somme che successivamente risultassero dovute (cfr. Cass. n. 27107/18).
Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Ciò che si censura sono le valutazioni istruttorie espresse dalla Corte, che sono di competenza esclusiva del giudice del merito ed incensurabili in cassazione, se non nei limiti previsti da ll’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., nella specie non ricorrenti. Peraltro il motivo è, altresì, infondato, attesa l’efficacia probatoria dei verbali ispettivi, non solo in sede monitoria, ma anche nella successiva fase di opposizione (cfr. Cass. n. 15208/14).
L’ultimo motivo del ricorso principale è inammissibile, per difetto di specificità. Nel ricorso, infatti, non sono riportati, il testo dei contratti che la Corte d’appello ha ritenuto costituire un unico contratto di appalto prorogato più volte, con il risultato che non si era verificata alcuna decadenza dal termine biennale per la richiesta dei contributi all’obbligata in solido, in quanto l’ultima proroga sarebbe stata stipulata in data 31.12.2010 (cfr. p. 32
del ricorso) mentre la notifica del verbale ispettivo è stata effettuata il 10.12.2010 (cfr. p. 29 del ricorso). Il motivo, pertanto, nonostante l’apparente rubrica, non deduce un vizio di legge ma contesta sia la valutazione del materiale istruttorio che l’accertamento dei fatti, questione di esclusiva competenza del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. novellato.
Al complessivo rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento della censura formulata con il ricorso incidentale. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrente principale a pagare le spese del giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di € 12.000,00 per compensi professionali , € 200,00 per esborsi, il 15% per spese generali, oltre accessori di legge
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8.4.25.
Il Presidente NOME COGNOME