Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7026 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 7026  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15255/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati  in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  NAPOLI  n.  4479/2022 depositata il 11/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE:
Con  sentenza  dell’1.1.23  la  corte  d’appello  di  Napoli,  in  parziale riforma della sentenza 16.7.20 del tribunale della stessa sede, ha condannato  RAGIONE_SOCIALE  al  pagamento  in  favore  del  lavoratore  in epigrafe  di  somme  per  ferie  e  permessi  non  goduti,  nonché  ha condannato  le  appellate  in  solido  al  pagamento  del  TFR;  ha condannato quindi il RAGIONE_SOCIALE a manlevare RAGIONE_SOCIALE di quanto pagato.
Nel caso di specie i lavoratori erano dipendenti di RAGIONE_SOCIALE che aveva svolto appalto del servizio di RAGIONE_SOCIALE, approvvigionamento cibi e bevande e smaltimento rifiuti a bordo dei treni, all’esito di appalto dato dalle RAGIONE_SOCIALE (committente) a NOME e subappaltato poi da questo al RAGIONE_SOCIALE e da questo ad RAGIONE_SOCIALE; i lavoratori chiedevano gli emolumenti verso il datore nonché versi i committenti e altri, nonché nei confronti di NOME anche quale cessionario di azienda della RAGIONE_SOCIALE.
Il  giudizio  di  appello,  interrotto  per  il  fallimento  di  RAGIONE_SOCIALE,  veniva riassunto verso le altre società e verso il fallimento.
La sentenza ha ritenuto inapplicabile il decreto 163 del 2006, non originariamente richiamato, sicché la domanda che invocava quella
disciplina era ritenuta una modifica inammissibile di quella originaria (tanto più che comunque la disciplina veniva interpretata dalla corte come riguardante solo il rapporto interno inerente l’appalto e non anche il rapporto nei confronti dei lavoratori); la corte territoriale ha ritenuto applicabile l’articolo 29 del decreto legislativo 276 del 2003 per gli emolumenti richiesti che avevano natura retributiva e quindi per il TFR, ma non anche per l’indennità sostitutiva delle ferie e i permessi, non avendo essi tale natura esclusiva ma avendo anche componente risarcitoria. La sentenza ha quindi escluso il beneficium escussionis sulla base del decreto legge 25 del 17, convertito in legge 49 del 17, applicabile quale norma vigente all’epoca della cessazione del rapporto e della maturazione del diritto al TFR.
Il  Collegio,  all’esito  della  camera  di  consiglio,  si  è  riservato  il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Avverso  tale  sentenza  ricorrono  i  lavoratori  per  due  motivi,  cui resiste NOME; gli altri sono rimasti intimati.
Il  primo  motivo  deduce  violazione dell’articolo  113  nonché  118 comma 6 del decreto legislativo 163 del 2006, per aver ritenuto la modifica della domanda sebbene i fatti sono immutati.
Il  secondo  motivo  deduce  violazione  dell’articolo  217  lettera  E decreto  legislativo  50  del  16,    per  la  ritenuta  inapplicabilità  della disciplina degli appalti pubblici.
Il  primo motivo può essere accolto perché i fatti sono immutati e non vi è modifica  della  domanda, essendovi mera applicazione di una diversa normativa a fondamento della identica pretesa volta a far valere la responsabilità  solidale  del  sub  committente  per l’adempimento degli obblighi contrattuali.
E’ invero consolidato in giurisprudenza (Sez. 5, Sentenza n. 12621 del  20/07/2012, Rv. 623842 -01;  Sez.  2,  Sentenza  n.  1585  del
28/01/2015, Rv. 633977 -01; Sez. 2 – , Ordinanza n. 20716 del 13/08/2018, Rv. 650015 – 01) che si ha “mutatio libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio oppure una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa petendi”, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere.
Del resto, come precisato di recente da Cass. Sez. Lavoro sentenza n. 5527/25 ed altre coeve del 4/2/25, per risalente e consolidato orientamento, pur in presenza di una diversa norma di legge rispetto a quella invocata in primo grado, il giudice, ha sempre il potere/dovere di qualificare la domanda, in base al principio iura novit curia ex art.113 c.p.c., e di individuare la norma applicabile in funzione dell’interesse sostanziale che muove al ricorso, fermo restando l’immutabilità dei fatti storici e/o il divieto di riconoscere beni non richiesti o diversi da quelli domandati (tra le tante Cass. n. 20932/2019, n. 30607/2018, n. 5832/2021). E ciò vale anche per il giudice di appello, salvo il caso in cui sulla qualificazione accolta dal primo giudice si sia formato il giudicato interno (Cass. n. 36272/2023).
Il secondo motivo resta assorbito.
La  sentenza  impugnata,  che  non  si  è  attenuta  al  principio  su esteso,  va  cassata  e  la  causa  va  rimessa  alla  medesima  corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  primo  motivo,  assorbito  il  secondo,  cassa l’impugnata  sentenza  in  relazione  al  motivo  accolto  e  rinvia  la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del  12  febbraio