Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 915 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 915 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2654/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . NOME COGNOME NOME EMAIL, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
(EMAIL, giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
presso lo studio dell’avv. COGNOME NOME EMAIL, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME EMAIL, giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . NOME EMAIL, rappresentato e difeso dall’avv. NOME EMAIL, giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (EMAIL, giusta procura in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
NOME
–
intimata – avverso la sentenza del Tribunale di Venezia n. 1203/2020 depositata il 30/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/10/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
1. NOME Raffaele conveniva in giudizio avanti al Giudice di Pace di Mestre la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di società proprietaria dell’autovettura Audi TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, e RAGIONE_SOCIALE, compagnia di assicurazione per la r.c.a. sulla predetta vettura, per sentirle condannare in via solidale, previo accertamento dell’esclusiva responsabilità di NOME, conducente dell’Audi A3 di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, nella causazione dell’asserito tamponamento da lui asseritamente subìto in data 20 Aprile 1999 verso le 12:40, in località Tessera (VE), lungo la via doppia INDIRIZZO, mentre si trovava alla guida del proprio veicolo Daewoo Nubira targato TARGA_VEICOLO, assicurato per la r.c.a. presso RAGIONE_SOCIALE, sulla corsia di sinistra in direzione statale triestina, intento nella manovra di svolta a sinistra, già segnalata, all’altezza di un’intersezione, al risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non, asseritamente riportati nel sinistro.
Si costituiva resistendo la RAGIONE_SOCIALE, che in via riconvenzionale allegava l’esclusiva responsabilità dell’attore nel sinistro e chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali patiti; chiedeva ed otteneva inoltre di essere autorizzata alla chiamata in causa della propria compagnia assicurativa RAGIONE_SOCIALE
A seguito della domanda riconvenzionale l’attore COGNOME chiedeva ed otteneva autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia assicurativa RAGIONE_SOCIALE
A seguito delle chiamate si costituivano entrambe le terze
chiamate, RAGIONE_SOCIALE, contestando la pretesa risarcitoria del RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE contestando le pretese della RAGIONE_SOCIALE
Frattanto, NOME conveniva avanti al Giudice di Pace di Mestre NOME Raffaele e RAGIONE_SOCIALE per i medesimi fatti e per sentirli condannare in solido tra loro – previo accertamento dell’esclusiva responsabilità del COGNOME, il quale, a suo dire, in prossimità di una strada laterale con obbligo di arresto con segnale di stop, era provenuto da destra senza arrestarsi allo stop così invadendo la corsia di sinistra ove lei stava viaggiando e di conseguenza provocando l’inevitabile collisione tra i veicoli – al risarcimento dei danni tutti patiti, patrimoniali e non.
Si costituiva resistendo il Cirillo.
Riuniti i due procedimenti, con sentenza del 27 settembre 2004 il Giudice di Pace di Mestre condannava in solido NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni in favore di NOME
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME proponeva appello.
Si costituivano resistendo congiuntamente RAGIONE_SOCIALE ed NOMECOGNOME nonché RAGIONE_SOCIALE, la quale anche proponeva appello incidentale, mentre rimaneva contumace RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 1203/2020 del 30 luglio 2020, notificata il 23 novembre 2020, il Tribunale di Venezia rigettava l’appello principale proposto da NOME COGNOME accoglieva l’appello incidentale proposto da Assicurazioni Generali, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, condannava NOME COGNOME a rifondere a Generali Assicurazioni s.p.a. le spese sostenute nel giudizio di primo grado.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE quale incorporante la RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE
Sebbene ritualmente intimata, NOME non ha svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente e le resistenti hanno depositato rispettive memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4 , cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione del principio dell’integrità del contraddittorio tra litisconsorti processuali necessari.
Lamenta error in procedendo per violazione dell’art. 331 cod. proc. civ. per avere il Tribunale di Venezia, in funzione di giudice dell’appello, pronunciato la sentenza n. 1203/2020 senza che il litisconsorte processuale necessario RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, dichiarato contumace, fosse stato ritualmente evocato nel giudizio di appello per contraddire alla domanda svolta da RAGIONE_SOCIALE con l’appello incidentale, avente ad oggetto la riforma della sentenza di primo grado che aveva compensato le spese di lite tra questa e l’assicurato appellante principale NOME COGNOME
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta che con l’affermazione sopra virgolettata ed indicata nella rubrica del motivo l’impugnata sentenza <>; invece, secondo la corretta applicazione dell’art. 2054 cod. civ., da un lato l’unico onere probatorio, che nel caso di specie non è stato per nulla violato, doveva riguardare il fatto storico dello scontro tra due veicoli, mentre, per altro verso, spettava alla appellata COGNOME dimostrare di aver rispettato ogni precetto circolatorio applicabile alla fattispecie, pena il restare soggetta alla presunzione di corresponsabilità.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte di merito ha fatto malgoverno dell’art 149 c.d.s., addebitando al solo COGNOME alcune condotte improprie, e giudicando invece la controparte COGNOME esente da responsabilità, senza considerare la domanda, svolta in sede di appello, di verificare l’addebito alla COGNOME di essere rimasta
incapace di arrestarsi di fronte ad una manovra del Cirillo di svolta a sinistra, e questo per aver violato la distanza di sicurezza.
Di talché la sentenza impugnata, che si è limitata ad escludere la ricorrenza di un tamponamento tra veicoli, ed ha affermato essere intervenuto solo un urto laterale con l’auto repentinamente svoltante a sinistra, ritenendo così superata ed irrilevante la censura dell’appellante fondata sul mancato rispetto della distanza di sicurezza, prescritta per scopi molto più estesi dall’art. 149 c.d.s. e dall’art. 348 del relativo regolamento, pare del tutto condizionata dalla ristretta operatività erroneamente attribuita alle norme citate, il che integra errore di diritto ricorribile per cassazione.
Con il quarto motivo ricorrente denuncia <<error in procedendo per avere la sentenza qui ricorsa apoditticamente affermato alla pagina 7: a) che la manovra di svolta a sinistra dell'appellante NOME in quanto repentina e condotta in spregio alle prescrizioni dell'art. 154 c.d.s. dovesse considerarsi per la sopraggiungente Albanese 'imprevedibile e imprevenibile'; b) che la velocità di quest'ultima era 'moderata e comunque adeguata' (art . 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.)
Lamenta che siffatta qualificazione (<>) avrebbe dovuto essere accompagnata dalla spiegazione di cosa il giudice d’appello intendesse, trattandosi di terminologia giuridica da ricollegarsi a precetti del codice della strada, e tenuto conto che nel corso del giudizio non era neppure stata espletata perizia cinematica.
Sotto questo profilo si ravviserebbe soltanto un simulacro motivazionale, insufficiente ad integrare il precetto dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., e quindi a far capire la ragione per la quale siffatta svolta, lungi dall’essere imprevedibile, non potesse essere messa nel conto delle possibilità da parte della
conducente retro veniente; senza contare che, essendo il sinistro avvenuto in una intersezione presegnalata, avvistabile lungo la strada rettilinea ed in assenza di ostacoli, il dovere giuridico di un diligente automobilista era proprio quello di ridurre grandemente la propria velocità e di considerare doverosamente anche la possibilità che il conducente fronte stante potesse svoltare a sinistra anche all’ultimo momento, attuando così le necessarie ben praticabili manovre preventive.
5. Il primo motivo è inammissibile.
Non offre infatti un’indicazione, rispettosa dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ., dell’appello incidentale e dell’atteggiarsi delle domande coinvolgenti il ricorrente, RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE
5.1. Il motivo è anche, gradatamente, infondato.
Occorre anzitutto rilevare, sulla base del contenuto del motivo, che nel giudizio di primo grado RAGIONE_SOCIALE era stata chiamata in causa dal COGNOME, quale sua assicuratrice, per essere manlevato dalla domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, proprietaria del veicolo danneggiato nel sinistro, e dalle pretese della Generali Assicurazioni; pertanto, con riferimento a quel giudizio la RAGIONE_SOCIALE, quale garante del COGNOME, rivestiva la posizione di litisconsorte necessario processuale (tra le tante, v. Cass., 31/10/2017, n. 25822)
La RAGIONE_SOCIALE era stata poi direttamente evocata nel secondo giudizio introdotto dalla Albanese con azione diretta ex art. 18 l. 990/1969, ed in esso risultava invece litisconsorte necessaria ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ. (Cass., 16/02/2023, n. 4994; Cass., 09/07/2020, n. 14466).
Orbene, la compensazione delle spese impugnata con l’appello incidentale dalla Generali era relativa al primo giudizio e, dunque, come si è detto ad una situazione di litisconsorzio
necessario processuale; peraltro, per quel che si dice nel ricorso, l’impugnazione era stata proposta da Generali solo nei confronti del Cirillo e non anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
5.2. Ora, in ragione della situazione di litisconsorzio necessario processuale, l’appello incidentale avrebbe dovuto essere proposto anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ed il giudice d’appello avrebbe dovuto ordinare la notifica dell’appello incidentale nei confronti della stessa ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. (v. Cass., 07/07/2021, n. 10379; Cass., 15/10/2021, n. 28298; Cass., 19/09/2014, n. 19722).
Il giudice di appello non assunse alcun provvedimento in tale senso, ma allora l’odierno ricorrente avrebbe dovuto a sua volta eccepire la violazione dell’art. 331 cod. proc. civ. fino al momento in cui durava il potere del giudice di appello di rilevarla. Poiché quel giudice avrebbe potuto (e dovuto) esercitare il potere di rilevazione fino al momento della decisione, il ricorrente a sua volta avrebbe potuto e dovuto esercitare il potere a sua vlta (sollecitando, naturalmente, il giudice ad ordinare l’integrazione) fino al momento finale di possibile interlocuzione con lo stesso giudice, cioè con la memoria di replica ex art. 190 cod. proc. civ.; non avendo invece eccepito alcunché, l’odierno ricorrente ha egli stesso causato la relativa nullità e quindi non la può ora dedurre e non se ne può dolere in questa sede.
Infatti, un ormai costante orientamento di questa Corte ha già avuto modo di affermare in linea generale che la norma dell’art. 157, terzo comma 3, cod. proc. civ., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, trova applicazione -al contrario di quanto riteneva un vecchio orientamento di questa Corte -anche alle nullità rilevabili d’ufficio, nel senso che il potere della parte di rilevare la nullità si preclude quando la parte non abbia esercitato il relativo potere
entro il termine entro il quale la legge prevede l’esercizio del potere officioso da parte del giudice. Se il potere di ufficio del giudice è previsto per tutta la durata di un grado d giudizio, la durata del potere della parte è identica e se la parte non ha esercitato il potere come non l’ha esercitato il giudice, le è precluso di esercitarlo con l’impugnazione, a meno che l’ordinamento non contenga una regola che estenda il potere officioso oltre il grado.
Il nuovo orientamento è stato inaugurato da Cass., 30/08/2018, n. 21381, la quale, con particolare riferimento alla violazione dell’art. 331 c.p.c. ha precisato che, una volta sopravvenuta la decisione senza che sia stata rilevata la violazione dell’art. 331 cod. proc. civ., né dalla parte né dal giudice, tuttavia, il potere del giudice (che non può essere quello che ha gestito l’impugnazione, che ha esaurito il suo compito), si atte ggia diversamente secondo che l’inscindibilità si ascriva ad una ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 102 c od. proc. civ., oppure ad una ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, cioè, in pratica, a tutti gli altri casi in cui ricorre la fattispecie dell’art. 331.
Infatti, il potere officioso di rilevazione della nullità si trasferisce al giudice che riceve l’impugnazione, cioè alla Corte di Cassazione, se la violazione dell’art. 331 ha riguardato in appello una fattispecie di litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ..
Non si trasferisce affatto se invece quella violazione ha riguardato una diversa ipotesi di inscindibilità che, né le parti né il giudice della sentenza impugnata hanno rilevato.
La prima affermazione si giustifica perché, com’è noto, il potere di rilevazione della violazione dell’art. 102 c od. proc. civ., è esercitabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ove non vi sia stata una pronuncia specifica sul punto relativo alla
integrità del contraddittorio affermativa della sua esistenza (nel qual caso occorre impugnare la statuizione, formandosi altrimenti cosa giudicata interna), essendo sufficiente l’impugnazione della sentenza perché il giudice dell’impugnazione possa e debba prendere in esame il problema relativo, anche d’ufficio, cioè senza necessità, non solo di un’impugnazione incidentale, ma nemmeno di deduzioni e di eccezioni di parte, essendo il difetto di integrità del contraddittorio -salvo il limite del giudicato derivato da specifica pronuncia sul punto, non impugnata rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (si veda già la remota Cass., Sez. Un. n. 1382 del 1973 e si consideri la concorde opinione della dottrina).
Se dunque la regola di litisconsorzio necessario iniziale, pur osservata in primo grado, risulti violata nel giudizio di appello per essere stata l’impugnazione proposta senza coinvolgere tutti i litisconsorti necessari pur evocati con l’introduzione del processo in primo grado, e, dunque, per non essersi disposto ai sensi dell’art. 331 c od. proc. civ., il potere officioso del giudice di rilevare la nullità, consumatosi per quello di appello, permane in capo alla Corte di Cassazione, la quale dunque può e deve ravvisare che il giudizio di appello si è svolto in violazione certamente dell’art. 331 cod. proc. civ., ma perché risulta violata, sebbene solo nel giudizio di appello, la regola dell’art. 102 c od. proc. civ., la quale imponeva certamente la perpetuazione del contraddittorio di tutti i litisconsorti pure in appello.
Una regola simile e, dunque, il predicare la permanenza del potere di ufficio della Corte di Cassazione si può giustificare, come viene giustificata (v. Cass. n. 9131 del 2016), nei casi nei quali in primo grado era stato disposto un intervento coatto ai sensi dell’art. 107 c od. proc. civ., cioè iussu iudicis , e in appello il terzo non era stato coinvolto: in tal caso, poiché la partecipazione del terzo era divenuta necessaria per ordine del giudice, la
mancata rilevazione da parte del giudice d’appello della non evocazione del terzo non toglie che nel processo l’ordine a suo tempo disposto dal giudice, in quanto il giudice d’appello non lo ha rimosso, ma se ne è solo disinteressato, come le parti, debba avere e conservi rilevanza.
Allorché, invece, in appello la situazione di inscindibilità risulti correlata ad una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale (fuori da quella di cui all’art. 107 c od. proc. civ.), ove né la parte che ha introdotto il processo di appello né quella o quelle che vi sono state coinvolte né il giudice abbiano rilevato la violazione dell’art. 331 c od. proc. civ., la pronuncia della sentenza in violazione dell’art. 331 c od. proc. civ., è imputabile certamente alle parti ed al giudice, ma, in mancanza di una regola che stabilisca che detta violazione sia rilevabile d’ufficio al di fuori del grado di impugnazione in cui si è verificata, e, dunque, di una regola che -come nel caso dell’art. 102, e dell’art. 107, estenda, nel caso di verificazione della violazione in grado d’appello, al grado di cassazione il potere officioso, tale potere si è consumato con la sentenza e si è consumato pure per il giudice.
Ne consegue che nelle dette situazioni l’art. 157, comma 3, cod. proc. civ., in quanto regola la cui deroga trova giustificazione allorquando si tratti di una nullità rilevabile d’ufficio , fino a che il potere di rilevazione d’ufficio del giudice persista, si riespande e, pertanto, la sua ratio impedisce alle parti del giudizio di appello, svoltosi in violazione della regola dell’art. 331 cod. proc. civ. di dedurre in via di ricorso principale o di ricorso incidentale come ragione di nullità della sentenza quella violazione. Ciò perché anche la regola dell’art. 161 c od. proc. civ ., comma 1, soggiace all’applicazione della regola dell’art. 157 cod. proc. civ., comma 3, qualora la nullità di cui si tratti non sia rilevabile per previsione del legislatore d’ufficio dal giudice
dell’impugnazione e, dunque, nella specie dalla Corte di Cassazione.
5.3. Implicazione necessaria di quanto osservato è allora che, in presenza di un ricorso introdotto contro una sentenza pronunciata in violazione dell’art. 331 c od. proc. civ., al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 102 e 107 cod. proc. civ., e dunque nelle situazioni di c.d. litisconsorzio necessario processuale (eccetto quella dell’art. 107 appunto) la Corte di Cassazione non può rilevare d’ufficio quella violazione.
5.4. Qualora poi, nel caso di specie, l’appello incidentale fosse stato proposto dalle Generali anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, si sarebbe peraltro configurato, essendosi realizzato il contraddittorio sul litisconsorzio necessario processuale, il problema della notifica dell’appello incidentale alla stessa RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 292 cod. proc. civ., ma della violazione di tale norma solo la stessa RAGIONE_SOCIALE, ora Aviva, avrebbe potuto dolersi, il che non si è invece verificato, non avendo la stessa proposto ricorso incidentale (<>: Cass., 29/10/2019, n. 27585).
6. Il secondo motivo è infondato.
In disparte il non marginale rilievo di inammissibilità per cui sostanzialmente riproduce le censure svolte in appello e tende a sollecitare una diversa lettura dei fatti di causa e delle risultanze processuali, il motivo deduce censure pretestuose e si limita ad estrapolare solo un breve passaggio della sentenza, ignorando la motivazione precedente e successiva, e lamentando che la medesima <> esso ricorrente, in allora appellante, di non aver fornito idonea prova della corresponsabilità dell’altra conducente COGNOME.
Invero, come emerge dalla complessiva lettura della impugnata sentenza, la corte d’ appello ha esaminato il complessivo quadro probatorio, sulla cui base ha poi da un lato, affermato la responsabilità del NOME e, dall’altro, espressamente escluso qualsivoglia responsabilità in capo ad NOME (v. pp. 4 e 5 della sentenza impugnata).
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, anche in caso di accertamento della colpa grave di uno dei due conducenti, il giudice del merito ha l’obbligo di accertare la eventuale responsabilità concorrente dell’altro conducente. In tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, il giudice che abbia in concreto accertato la colpa di uno dei conducenti non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054 c.c., comma 2, ma è tenuto ad accertare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida irreprensibile (Cass., 09/12/2010, n. 24860).
Orbene, nell’affermare che <> il giudice di merito ha fatto buon governo dei suindicati principi ed ha correttamente applicato l’art. 2054 c od. civ., anche sotto il profilo della presunzione di responsabilità che, quanto alla posizione della COGNOME, è stata superata in ragione dei puntuali riscontri probatori di cui la sentenza ha dato atto.
7. Il terzo motivo è inammissibile.
Il ricorrente denuncia che il giudice di appello, non avendo (a suo dire) conoscenza della ratio e della portata normativa dell’art. 149 del codice della s trada e dell’art. 348 del regolamento, non avrebbe adeguatamente considerato che <> (p. 23 ricorso).
Sotto la formale invocazione della violazione di norme di diritto il ricorrente sostanzialmente propone una diversa ricostruzione della fattispecie concreta, pertanto sollecitando sulla valutazione del merito e delle risultanze istruttorie un nuovo sindacato che è del tutto precluso in questa sede (<>: Cass., 19/07/2018, n. 19192; Cass., 18/10/2011, n. 21486; Cass., 20/04/2011, n. 9043; Cass., 13.01.2011, n. 313; Cass., 03.01.2011, n. 37; Cass., 03.10.2007, n. 20731; Cass., 21.08.2006, n. 18214; Cass., 16.02.2006, n. 3436; Cass., 27.04.2005, n. 8718).
Inoltre, il ricorrente propone un’interpretazione capziosa dell’art. 149 del codice della strada e dell’art. 348 del relativo regolamento che non è in alcun modo riferibile alla fattispecie in
esame, posto che la citata normativa si riferisce a veicoli che procedono incolonnati, ipotesi che non è riferibile al sinistro oggetto di causa, che ha avuto una diversa dinamica, non riconducibile ad un tamponamento.
8. Il quarto motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, gli estremi della dedotta doglianza di nullità processuale della sentenza (per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente) sono integrati nell’ipotesi di «assenza» della motivazione, quando cioè «non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione», non configurabile invece nel caso di «una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata» (ad es., da ultimo, Cass., 15/11/2019, n. 29721), ovvero nel caso di «motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado» (cfr. Cass., Sez. L, 25/10/2018, n. 27112) ovvero qualora la motivazione «risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione» (Cass., 25/09/2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione»: Cass., 25/06/2018, n. 16611).
Si è precisato che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto e tale situazione non può dirsi verificata quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto
quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia (in questi termini, Cass., 26/3/2020, n. 7532; Cass., 13/10/2017, n. 24155).
Ancora, è stato affermato che il vizio di motivazione deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza e non già dal riesame degli atti di causa inammissibile in sede di legittimità (Cass., 26/03/2010, n. 7394).
Orbene, il motivo sostiene, evocandola nell’illustrazione, la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. addebitandola a due brevi espressioni usate dalla sentenza, dimenticando che esse sono la chiusura di un’ampia disamina del materiale istruttorio nella due pagine precedenti. Ne discende che la censura non si correla all’effettiva motivazione, di cui le due espressioni sono appunto il momento finale.
Dalla complessiva lettura della sentenza impugnata emerge invece che la stessa ha preso in considerazione tutto il materiale istruttorio onde accertare la eventuale concorrente la responsabilità, poi invece in concreto esclusa, dei due conducenti coinvolti nel sinistro, facendo riferimento alla posizione finale dei veicoli dopo l’urto, alle tracce di frenata della vettura dell’Albanese, al rapporto dei pubblici ufficiali, intervenuti nell’immediatezza, che hanno sanzionato soltanto il COGNOME.
Per la considerazione di questo complessivo materiale probatorio il giudice d’appello ha espressamente motivato nel senso della superfluità di disporre una consulenza dinamicoricostruttiva (p. 6 della sentenza; sul potere discrezionale, purché motivato, del giudice di merito di disporre o meno la consulenza tecnica, ex multis , Cass., 16/10/2018, n. 25851; Cass., 13/12/2022, n. 36259).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza