Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4329 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4329  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10257/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE ANCONA n. 1327/2020 depositata il 24/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto depositato il 24.2.2020 il Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da NOME COGNOME avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva rigettato la sua domanda di insinuazione in privilegio ex art. 2751 bis n. 2 cod. civ. del credito dell’importo di € 33.028,97 richiesto a titolo di compenso maturato per lo svolgimento dell’attività di sindaco della società fallita per gli esercizi 2016, 2017 e parte del 2018.
Il Tribunale di Ancona, dopo aver premesso che l’inadempimento imputabile al singolo membro del consiglio RAGIONE_SOCIALE è individuabile ogniqualvolta l’organo di controllo ometta di adottare misure di intervento tempestive e concrete idonee a contenere e contrastare efficacemente la mala gestio degli organi gestori, ha evidenziato che il COGNOME non aveva posto in essere concreti strumenti di reazione rispetto alla scrittura ‘ricognitiva’ del 1.1.2014 sottoscritta dalla società fallita e dalla capoRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con la quale la stessa fallita aveva accettato una ingiustificabile posticipazione delle aspettative di restituzione di un finanziamento alla RAGIONE_SOCIALE (che era stato, peraltro, destinato in attività di impresa del tutto estranee alla sfera di pertinenza della partecipata poi fallita), senza alcun ragionevole supporto causale, anche tenuto conto dell’assoluta necessità del tutto pretermessa -di reperire risorse per fronteggiare l’ingente esposizione debitoria e la crisi finanziaria in cui versava.
In sostanza, il COGNOME non aveva posto in essere alcuno strumento di reazione  idoneo  ad  evitare  le  conseguenze  negative
poi verificatesi che avevano  contribuito ad aumentare  il già conclamato  dissesto  della  società,  portando  alla  dichiarazione  di fallimento.
Ulteriore profilo di grave inadempimento è stato individuato in capo all’opponente per la mancata reazione all’indicazione a bilancio da parte della società poi fallita del credito di € 782.789 vantato verso RAGIONE_SOCIALE (società del RAGIONE_SOCIALE di cui faceva parte la fallita), nonostante la grave crisi in cui versava la debitrice, circostanza che non poteva non essere nota al COGNOME, che rivestiva contestualmente la qualità di sindaco della RAGIONE_SOCIALE ed era quindi pienamente consapevole che la società del RAGIONE_SOCIALE era stata esclusa dai piani di risanamento ex art. 67 legge fall. in quanto del tutto decotta. In sostanza, è stato imputato l’omesso controllo in relazione all’omessa svalutazione da parte degli amministratori del credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Tali  argomentazioni  consentivano  di  accertare  la  legittimità  del provvedimento di esclusione del credito insinuato dal COGNOME, in considerazione  della  non  superata  ed  assorbente  eccezione  di inadempimento  ex art. 1460 cod. civ..
Avverso  il  predetto  decreto  ha  proposto  ricorso  per  cassazione NOME COGNOME affidandolo a sei motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 2407 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 1460 cod. civ., in tema di mancato prodromico accertamento della mala gestio degli amministratori.
Espone  il  ricorrente  che  la  responsabilità  dei  sindaci  per  omesso controllo  è  ipotizzabile  se  e  in  quanto  esista  in  concreto  una accertata mala  gestio da  parte  degli  amministratori  che  abbia cagionato danni patrimoniali alla società e ai creditori.
Nel caso di specie, la responsabilità degli amministratori non solo non  era  stata  contestata,  ma  neppure  incidentalmente  accertata nel dal G.D. né dal Tribunale in sede di opposizione ex art. 98 legge fall..
 Con  il  secondo  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  2403  e  2403  bis  cod.  civ.  in  combinato disposto  dell’art.  1460  cod.  civ.,  oltre  alla  violazione  dell’art.  360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.
Espone il ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE nel 2014 non era assolutamente in una situazione di insolvenza irreversibile, tanto è vero che si era curata di realizzare un piano di risanamento ex art. 67 legge fall., elemento che rappresenta un indice che la situazione debitoria era indubbiamente pesante, ma non compromessa. Non a caso, il fallimento era stato dichiarato solo quattro anni più tardi, dopo un concordato non ammesso. Inoltre, la società poi fallita non solo nel 2014 non aveva erogato finanziamento alla RAGIONE_SOCIALE, ma aveva già progressivamente ridotto l’esposizione creditoria nei confronti della stessa.
Il ricorrente assume che la circostanza che il finanziamento erogato alla  RAGIONE_SOCIALE  fosse  pari  a  sette  milioni  di  euro  non  ne  prova l’anomalia,  tenuto  conto  che  nel  triennio  antecedente  al  2014  la società RAGIONE_SOCIALE era in forte crescita ed adeguatamente patrimonializzata e con un importante attivo. Inoltre, a fronte dei citati  finanziamenti,  la  RAGIONE_SOCIALE  aveva  rilasciato  ampie  garanzie fideiussorie in favore della unipersonale fino a 34 milioni di euro.
Il  ricorrente  si  duole  che  il  Tribunale  gli  rimprovera  di  non  aver posto in essere concreti strumenti di reazione rispetto alla scrittura ‘ricognitiva’  del 2014, ma non ha individuato quali sarebbero tali
strumenti  di  reazione.  In  ogni  caso,  tale  atto  ricognitivo  sarebbe dovuto essere esaminato unitamente al piano di ristrutturazione del 2014, che aveva consentito il permanere della garanzia fideiussoria prestata dalla RAGIONE_SOCIALE ed il conseguente mantenimento delle linee di credito.
In conclusione, ad avviso del ricorrente, il Tribunale aveva attribuito al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE una sorta di responsabilità oggettiva, senza  enunciare  quale  fosse  la  macroscopica  violazione  che  la giurisprudenza di questa Corte (è stata citata Cass. n. 16314/2017) richiede ai  fini  della  configurabilità  della  responsabilità  dell’organo di controllo.
 Con  il  terzo  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  dell’art.  2407 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 1460 cod. civ.
Espone  il ricorrente che  né  la curatela ha  dimostrato,  né  il Tribunale ha specificamente argomentato la sussistenza di violazioni  del  sindaco,  né  men  che  meno  il  nesso  di  causalità  tra queste ed il danno asseritamente verificatosi.
I primi tre motivi, da esaminarsi unitariamente in ragione della stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
Ritiene questo RAGIONE_SOCIALE che, ove il sindaco di una società fallita proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali, e ciò in applicazione dei principi in tema di onere della prova nell’adempimento delle obbligazioni enunciati da questa Corte a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n 13533/2001 (conf. 8615/2006, n. 15659/2011, n. 826/2015, n. 98/2019), che vanno
modellati in relazione alla peculiarità delle funzioni del sindaco, che svolge un’attività di vigilanza dell’operato altrui.
In particolare, ove sia sollevata l’eccezione di inesatto adempimento, è onere del curatore allegare e provare quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di generale vigilanza esigibile dal sindaco, nonché l’allegazione di un comportamento specifico e negligente integrante l’inesatto adempimento del sindaco al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società; spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.); questi ultimi, in effetti e a loro volta, non si esauriscono nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge ma comportano l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie.
Questa  Corte  (vedi  Cass.  n.  16314/2017;  Cass.  n.  20651/2019; Cass. n. 32397/2019) ha infatti, più volte, enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c.c. non richiede l’individuazione di
specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.
Nel caso di specie, Il Tribunale ha correttamente applicato i principi enunciati da questa Corte.
A differenza di quanto assume il ricorrente, il Tribunale di Ancona ha,  preliminarmente,  accertato  in  concreto,  in  via  incidentale,  la mala gestio degli amministratori, descrivendo -come già riportato in narrativa – gli atti di gestione posti in essere dagli amministratori in danno della società poi fallita (che già versava in una situazione di conclamata  crisi) che  avevano  contribuito ad  aggravare  il dissesto che avrebbe poi portato alla dichiarazione di fallimento.
Dunque, il Tribunale ha pienamente colto l’esigenza prodromica di accertare  i  fatti  storici,  attinenti  alla  gestione  ovvero  al  concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si è innestata  la  deviazione  della  condotta  di  generale vigilanza  esigibile  dal  sindaco,  stigmatizzando  proprio  la  mancata tempestiva e concreta reazione del sindaco alle operazioni di mala gestio poste in essere dall’organo amministrativo .
In  ordine  a  tale  punto,  la  censura  del  ricorrente  secondo  cui  il decreto impugnato non avrebbe indicato gli strumenti di reazione che  l’organo  di  controllo  avrebbe  dovuto  attivare  è  infondata:  è evidente  che,  in  difetto  di  altra  precisazione,  il  tribunale  abbia implicitamente inteso far riferimento, indifferentemente, agli strumenti  di  reazione  offerti  ai  sindaci  dalla  legge  (codice  civile), come  la  convocazione,  in  caso  di  fatti  censurabili  di  rilevante
gravità , a norma dell’art. 2406 comma 2° cod. civ., o la denunzia al Tribunale ex art. 2409 ult. comma cod. civ.
Il Tribunale di Ancona ha, altresì, avuto cura di individuare ed argomentare la condotta omissiva (ovvero la mancata tempestiva reazione) del sindaco nonché la sussistenza di un nesso di causalità rispetto ai danni patiti dalla società fallita, avendo evidenziato, quale sopra premesso, come la mancata reazione tempestiva dell’organo di controllo agli atti di mala gestio non avesse consentito di evitare le conseguenze negative di tali atti, contribuendo ad aggravare il dissesto della società (l’aggravamento del dissesto rappresenta quindi il danno alla società fallita che è stato imputato al sindaco, pregiudizio che, peraltro, rappresenta un quid pluris rispetto all’inadempimento).
Il ricorrente nell’affermare che la società poi fallita non si trovasse, in realtà, in una situazione di grave crisi quando ha sottoscritto con la RAGIONE_SOCIALE, nel 2014, la scrittura ‘ricognitiva’ che aveva determinato un’ingiustificata (e quindi senza una ragionevole causa) posticipazione della restituzione del finanziamento precedentemente erogato alla stessa RAGIONE_SOCIALE (sette milioni di euro), che, anzi, la predetta società era, invece, in forte crescita, e con un attivo, e che comunque l’esposizione creditoria verso la RAGIONE_SOCIALE era stata progressivamente ridotta – non ha fatto altro che, inammissibilmente, svolgere censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dal Tribunale di Ancona, attività non consentita in sede di legittimità.
La  Corte  di  Cassazione  non  può,  infatti,  sindacare  valutazioni  in fatto riservate al giudice di merito, se non per vizio di motivazione (nel caso di specie neppure dedotto) nei ristretti limiti della nuova formulazione  dell’art.  360  comma  1°  n.  5  cod.  proc.  civ.,  come
interpretato  dalle  Sezioni  Unite  di  questa  Corte  nella  sentenza  n. 8053/2014.
Inoltre, il ricorrente, nell’affermare che il Tribunale di Ancona non aveva tenuto conto, nella valutazione della dannosità dell’operazione riconducibile alla scrittura ‘ricognitiva’ del 2014, del vantaggio compensativo rappresentato dalla fideiussione di ben 34 milioni di euro prestata dalla RAGIONE_SOCIALE (circostanza che avrebbe consentito alla fallita di mantenere gli affidamenti bancari), e di quanto stabilito nel piano di risanamento ex art. 67 legge fall., non ha avuto cura di precisare ‘dove’ e ‘come’ nel giudizio di opposizione ex art. 98 legge fall. tali circostanze fattuali avessero eventualmente formato oggetto di discussione tra le parti e sarebbero, quindi, state sottoposte all’esame del giudice di merito, con la conseguenza che, sotto tale profilo, il ricorso per cassazione difetta anche di autosufficienza (il ricorrente non ha neppure indicato, sia pure sommariamente, il contenuto del piano di risanamento ex art. 67 legge fall.).
Va, infine, osservato che in tutti primi tre motivi il ricorrente ha invocato la concomitante violazione dell’art. 1460 cod. civ. senza minimamente illustrare come si sarebbe perpetrata tale violazione. Sul punto, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto secondo cui i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, con -fra l’altro- l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile la censura nella quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr. Cass. n. 7692/2014).
Proprio in considerazione della totalmente omessa illustrazione da parte del ricorrente della dedotta violazione dell’art. 1460 cod. civ.,
non  vi  è  dubbio  che  la  seconda ratio  decidendi del  Tribunale  di Ancona (la prima è che la curatela aveva provato la responsabilità del  sindaco),  ovvero  che  non  era  stata  superata  dal  ricorrente l’assorbente  eccezione  di inadempimento  ex  art.  1460  cod.  civ., deve ritenersi non specificamente aggredita e quindi censurata.
   Con  il quarto  motivo  è  stato  dedotto  l’omesso  esame  di  un fatto  decisivo  per  il  giudizio  (inerente  la  svalutazione  dei  crediti), omessa  e/o  insufficiente  motivazione,  in  relazione  all’art.  360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ..
Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Ancona non avrebbe letto, o lo avrebbe fatto in maniera del tutto superficiale, le relazioni del RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  essendo  stati  proprio  i  sindaci  ad  indurre  gli amministratori a svalutare i crediti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE nel bilancio 2014. In particolare, su espressa indicazione dei sindaci, i crediti verso RAGIONE_SOCIALE erano stati svalutati del 74%.
Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di localizzazione processuale.
Va osservato che il ricorrente, nell’invocare l’omesso esame di fatto decisivo,  si  è  limitato,  in  primo  luogo,  a  fare  genericamente riferimento ‘ai verbali del RAGIONE_SOCIALE dal 2011 in avanti’ di cui il giudice di merito avrebbe omesso l’esame.
L’unico riferimento più specifico riguarda il contenuto della pag. 129 del libro verbale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, documento che il ricorrente ha allegato di aver prodotto nel giudizio di opposizione ex art. 98 legge fall. come doc. n. 4, senza, tuttavia, illustrare ‘dove’ e ‘come’ tale punto fosse stato oggetto di specifica trattazione nel ricorso ex art. 98 legge fall.. Non è sufficiente, infatti, allegare l’avvenuta produzione in giudizio di un documento, peraltro di consistenza molto corposa, per provare che lo stesso avesse formato oggetto di specifica discussione tra le parti nel giudizio di merito.
Il  ricorrente  non  ha  quindi  assolto  all’onere  di  allegazione  sullo stesso incombente.
 Con  il  quinto  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  dell’art.  96 comma 3° cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 2° Cost.
Espone  il  ricorrente  che  lo  stesso  non  ha  affatto  abusato  dello strumento processuale, essendosi limitato all’esercizio del diritto di difesa,  svolgendo  puntuali  rilievi  alle  determinazioni  degli  organi fallimentari.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass.  n.  7222/2022,  5337/2007,  327/2010;  13071/2003)  quello secondo  cui  l’accertamento  della  responsabilità  aggravata,  che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con  mala  fede  o  colpa  grave,  rientra  nei  compiti  del  giudice  del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure dedotto il vizio di motivazione,  il  quale  può  comunque  essere  sollevato  solo  nei  più circoscritti  limiti  della  nuova  formulazione  dell’art.  360  comma  1° n. 5 cod. proc. civ., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Ne consegue che l’accertamento del giudice di merito in ordine alla responsabilità aggravata non è sindacabile in sede di legittimità.
 Con  il  sesto  motivo  è  stata  dedotta  la  violazione  e  falsa applicazione  dell’art.  13  quater d.P.R.  n.  115/2012,  per  averlo  il Tribunale  di  Ancona,  senza  motivazione  alcuna,  condannato  al pagamento  di  un  ulteriore  contributo  unificato, pari a quello dell’opposizione ex art. 98 legge fall.
Ad avviso del ricorrente, tale statuizione è censurabile nella parte in cui il giudice di merito ha esteso l’applicazione dell’istituto del cd. doppio  contributo  al  giudizio  di  opposizione  allo  stato  passivo,  in
quanto la normativa richiede quale presupposto imprescindibile la natura  impugnatoria,  che  sarebbe  assente  nel l’opposizione  allo stato passivo.
Inoltre,  la  funzione  sanzionatoria  dell’istituto  di  cui  all’art.  13 quater d.P.R. n. 115/2012 (introdotto allo scopo di disincentivare le azioni giudiziarie) ne determina la natura eccezionale con conseguente necessità di applicazione restrittiva.
10. Il motivo è infondato.
Va, preliminarmente, osservato che le Sezioni Unite di questa Corte (vedi Cass. n. 4315/2020) hanno chiaramente enunciato il principio di diritto secondo cui è riservata al giudice la valutazione del ‘presupposto processuale’ che determina in astratto il raddoppio del contributo, ossia l’aver adottato una pronuncia integrale di rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione: è proprio quello che è avvenuto nel caso di specie, in cui il Tribunale di Ancona ha adottato tale statuizione dopo aver rigettato l’opposizione allo stato passivo.
Inoltre, la prospettazione del ricorrente secondo cui l’opposizione ex art. 98 legge fall. non sarebbe un procedimento di natura impugnatoria, è smentita -così chiedendo un’immotivata interpretazione antitestuale oltre che dalla rubrica dell’art. 98 legge fall., che testualmente recita ‘ impugnazioni ‘, anche dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. n. 6279/2022; Cass. 9730/2022; Cass. n. 21490/2020; Cass. n. 26225/2017; Cass. 22006/2017), che ha invece costantemente affermato la natura impugnatoria, sia pur sui generis , dell’opposizione allo stato passivo, tanto è vero che è esclusa l’ammissibilità di domande nuove, non proposte in sede di verifica dello stato passivo. Si tratta di duplice e convergente argomentazione che permette così di rinnovare e consolidare, nell’interpretazione qui seguita, l’indirizzo correttamente seguito dal giudice del merito.
Le  spese  di  lite  seguono  la  soccombenza  e  si  liquidano  come  in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto  della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento  da  parte del  ricorrente  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16.1.2024