Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14163 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14163 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
Oggetto
Mandato -Impugnazione licenziamento -Inadempimento -Danni -Nesso causale – Prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15300/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente -avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1068/2021 depositata in data 1 aprile 2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 maggio 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito in conseguenza del non corretto adempimento del mandato ad essa conferito di impugnare il licenziamento comunicatogli con un sms dal proprio datore di lavoro. Espose a fondamento che la lettera contenente detta impugnativa era stata tardivamente spedita dal sindacato, quando era già scaduto il termine di decadenza di sessanta giorni previsto dall’art. 6 legge n. 604 del 1966.
Con sentenza n. 53 del 2019 il Tribunale accolse la domanda e liquidò equitativamente il danno in Euro 8.000,00.
Con sentenza n. 1068/2021, resa pubblica il 1° aprile 2021, la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE e, in totale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda del COGNOME, condannandolo a restituire quanto ottenuto in esecuzione della sentenza di primo grado ed a rifondere le spese di entrambi i gradi di giudizio, distratte in favore dei procuratori antistatari.
Premesso che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, il mandato risultava in effetti conferito anche al fine di impugnare il licenziamento e che lo stesso doveva considerarsi malamente eseguito a causa del ritardo con cui tale impugnativa era stata proposta, la Corte milanese ha tuttavia rilevato che non risultava data
prova del nesso causale tra detto inadempimento e il danno reclamato, il quale doveva considerarsi escluso dal momento che il licenziamento risultava giustificato dalla chiusura dell’attività (di ristorazione) cui era riferito il rapporto di lavoro, ragione per cui l’impugnativa medesima non avrebbe comunque potuto trovare esito favorevole in un eventuale giudizio.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste la RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo ─ rubricato « violazione dell’art. 132, comma II, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.; motivazione manifestamente contraddittoria circa la sussistenza di profili di responsabilità contrattuale del sindacato; omesso esame di elementi istruttori aventi carattere decisivo » ─ il ricorrente lamenta che contraddittoriamente la Corte territoriale abbia prima affermato che non vi era prova di un comportamento colposo del sindacato, quindi riconosciuto l’effettiva esistenza di un inadempimento al mandato conferito al sindacato di impugnare il licenziamento e, infine, escluso la responsabilità contrattuale del mandatario per insussistenza del danno.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia « falsa applicazione dell’art. 3 L. 604/1966 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; erronea qualificazione del licenziamento quale licenziamento per giustificato motivo oggettivo » per avere la Corte d’appello ritenuto che il licenziamento cui era riferito il mandato non correttamente adempiuto fosse da considerare legittimo in quanto motivato da
giustificato motivo oggettivo.
Osserva al riguardo che:
─ l’attività ispettiva aveva comportato la sospensione dell’attività in questione (RAGIONE_SOCIALE) per le irregolarità previdenziali e fiscali riscontrate ma, previa regolarizzazione dei lavoratori e del pagamento della sanzione comminata, il locale ben poteva riaprire;
─ p er tale motivo il contenuto del messaggio SMS inviato dal datore di lavoro non poteva rappresentare univocamente una chiusura definitiva del rapporto di lavoro; il tenore del testo («… grazie per la collaborazione la RAGIONE_SOCIALE … ») poteva essere interpretato come un avviso di chiusura momentanea; in ogni caso, non emergeva in maniera inequivoca la volontà datoriale di licenziare;
─ correttamente il Tribunale aveva rilevato che « appare … più verosimile, ed il tenore dell’SMS così come riferito sembra far propendere per detta tesi, che in una eventuale disamina avanti il Giudice del Lavoro competente il licenziamento sarebbe stato qualificato quale licenziamento ingiustificato poiché il datore di lavoro ben avrebbe potuto proseguire la sua attività imprenditoriale regolarizzando la posizione dei suoi lavoratori e versando la sanzione comminatagli »;
─ la pretesa risarcitoria, peraltro, non atteneva al mancato raggiungimento del risultato sperato ma al risarcimento per perdita di chance , come del resto aveva riconosciuto il giudice di primo grado che, assumendo il carattere aleatorio della vicenda, aveva affermato che « l’incertezza sulla eventuale qualificazione giuridica del licenziamento al vaglio del Giudice del Lavoro e delle sue competenze specifiche nonché circa i criteri che avrebbe valutato per la determinazione della somma effettiva da riconoscere al COGNOME consentono di propendere per una valutazione equitativa del danno in
misura pari ad € 8.000,00 ».
Con il terzo motivo ─ rubricato « vizio di motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.; omesso esame e motivazione manifestamente contraddittoria e incomprensibile circa l’asserita insussistenza dei lamentati danni » ─ il ricorrente lamenta, in subordine, che erroneamente la Corte milanese abbia ritenuto, a sostegno della ritenuta insussistenza di alcun danno conseguente all’inadempimento, che lo stesso non impedisse al lavoratore di reclamare l’unica pretesa economica riconosciutagli dalla legge, costituita dall’indennità di mancato preavviso, per non essere ancora maturato alla data della sentenza il termine di prescrizione di cui all’art. 2948 n. 5 c.c..
Osserva di contro al riguardo che:
─ anche l’indennità sostitutiva del preavviso risulta essere domanda e diritto non più azionabile dal lavoratore a causa della mancata tempestiva impugnazione del licenziamento;
─ ai sensi dell’art. 2948, n. 5, cod. civ. le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro si prescrivono in cinque anni.
Soggiunge che, a causa dell’inadempimento, è stato altresì precluso l’acceso al RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE che avrebbe consentito comunque il recupero quanto meno parziale del credito; « fatto questo » rileva « già evidenziato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e mai contestato da controparte ».
Con il quarto motivo ─ rubricato « omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: la rinnovata richiesta di istruttoria » ─ il ricorrente lamenta che la Corte d’appello nulla abbia statuito circa le richieste istruttorie, che afferma di aver sempre reiterato sin dalla comparsa conclusionale di primo grado.
Il primo motivo è manifestamente infondato, quando non inammissibile.
5.1. La Corte d’appello non ha affermato che l’impugnativa di licenziamento sia stata spedita nella pendenza del termine decadenziale previsto dall’art. 6 legge n. 604 del 1966, ma solo che era stata « predisposta » entro quel termine e tuttavia spedita dopo la sua scadenza. Quest’ultima circostanza è stata dunque correttamente considerata, donde la palese insussistenza del denunciato vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti dedotto in rubrica.
5.2. Non vi è alcuna contraddizione tra l’accertamento del non corretto adempimento del mandato conferito e l’insussistenza di un danno ad esso legato da nesso causale.
L’inadempimento è solo uno degli elementi che compongono il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno. Esso connota la condotta causativa del danno in termini di disvalore, in quanto violativa dell’obbligo contrattualmente assunto , e dunque idonea a costituire criterio di imputazione soggettiva del danno, ma non coincide certo con il danno risarcibile (danno conseguenza), e ancor prima non vale di per sé a dimostrare nemmeno l’esistenza di un evento di danno, ossia della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato: evento legato alla condotta da nesso di causalità materiale ma da essa naturalisticamente distinto, come dimostra l’art. 1227 c.c., primo comma, che disciplina proprio il fenomeno della causalità materiale rispetto al danno evento sotto il profilo del concorso del fatto colposo del creditore.
Se nelle obbligazioni di dare o facere non professionale il danno evento può considerarsi provato già d all’inadempimento, poiché quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto (si parla in tal caso di « assorbimento pratico » della causalità materiale nell’inadempimento, ma sarebbe più appropriato parlare di « prova evidenziale », poiché quel che accade in questi casi è che la stessa fattispecie legale sta a dimostrare ex se il nesso
causale, senza però che per tal motivo si possa negare, concettualmente e naturalisticamente, la relazione tra due fatti che restano distinti), nelle obbligazioni di diligenza professionale (qual è quella per cui è causa), dove l’interesse corrispondente alla prestazione (tempestiva impugnativa del licenziamento) è solo strumentale all’interesse primario del creditore (declaratoria della illegittimità del licenziamento e connesse tutele), causalità ed imputazione per inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale, ossia della prova, e non solo su quello strutturale, perché il danno evento consta non della lesione dell’interesse alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato (v. Cass. 11/11/2019, nn. 28991-28992).
Il diritto al risarcimento sorge poi -va ribadito – solo in presenza di un danno conseguenza, distinto a sua volta dal danno evento e ad esso legato da un nesso di causalità giuridica (art. 1223 cod. civ.), da verificare secondo i medesimi criteri probabilistici. Come è stato ripetutamente precisato, infatti, in tema di responsabilità professionale per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del « più probabile che non » si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa (Cass. 24/10/2017, n. NUMERO_DOCUMENTO; 26/06/2018, n. NUMERO_DOCUMENTO; 14/11/2022, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Il secondo motivo è inammissibile.
6.1. L ungi dall’evidenziare le affermazioni contenute in sentenza
che rivelino una erronea impostazione qualificatoria, sotto i profili indicati, della fattispecie così come accertata, le censure intendono investire proprio tale accertamento di fatto, sollecitandone una inammissibile revisione in questa sede, peraltro anche in termini inosservanti dell’onere di cui agli artt. 366 n. 6 c.p.c. .
6.2. La prospettazione della causa petendi in termini di danno da perdita di chance , oltre a introdurre inammissibilmente tema ontologicamente diverso da quello trattato nel giudizio di merito, non può comunque trovare spazio in tema di danni da responsabilità professionale di avvocato.
Giova rammentare al riguardo che quello da perdita di chance è danno distinto da quello da perdita definitiva del vantaggio atteso non perché connotato da minore gradiente causale o probatorio, ma per ragioni legate alla sua stessa essenza.
Chance , infatti, è bensì (soltanto) la possibilità di conseguire un risultato vantaggioso (ovvero di evitarne uno sfavorevole), ma il termine implica anche e soprattutto incertezza e l’incertezza è la cifra che connota, come dato essenziale, il concetto anche nelle sue declinazioni giuridiche.
L’essenza della figura è, dunque, rappresentata da una condizione di insuperabile incertezza eventistica .
La chance (tanto di carattere patrimoniale quanto non patrimoniale) resta confinata nelle relazioni incerte tra eventi non interdipendenti, in quanto non causalmente collegati da una «legge di connessione».
Per converso se una tale connessione è possibile (e in tema di responsabilità professionale di avvocato lo è sempre atteso che è sempre possibile formulare un giudizio prognostico sulle aspettative di successo di un certo mandato sulla base delle leggi e dei principi applicabili al caso, sebbene in termini di mera probabilità) non si ricade più nel campo della chance ma in quello della relazione causale
tra condotta ed evento di danno (inteso come lesione piena ed effettiva dell’interesse avuto di mira) (v. sul tema, con riferimento alla perdita di chance a carattere non patrimoniale, ma con argomenti spendibili anche in ambito patrimoniale: Cass. 11/11/2019, n. 28993, e, prima ancora, Cass. 09/03/2018, n. 5641; Cass. 19/03/2018, n. 6688; v. anche Cass. 07/10/2021, n. 27287; Cass. 26/01/2022, n. 2261).
In tal senso va ricordato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui « la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente » (Cass. n. 10966 del 2004; n. 34787 del 2022), con la conseguenza che « la mancanza di elementi probatori, atti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell’attività del prestatore d’opera, induce ad escludere l’affermazione della responsabilità del legale, in quanto, la responsabilità dell’esercente la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone » (v., ex multis , Cass. n. 11901 del 2002, citata in sentenza; n. 9917 del 2010; n. 22376 del 2012; n. 2638 del 2013; n. 1984 del 2016; n. 25112 del 2017; n. 13873 del 2020; n. 4655 del 2021; n. 33466 del 2022).
6.3. Sotto altro profilo occorre, peraltro, anche rammentare che quello sul detto nesso causale è giudizio ─ da compiere, come detto, sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica ─ che è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa
Corte se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ratione temporis vigente.
È vero, infatti, che, nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale è una valutazione connotata da un contenuto giuridico, fondata cioè su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico, ma nel giudizio di responsabilità professionale dell’avvocato tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici (in tal senso, Cass. 13/02/2014, n. 3355, secondo cui « nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione »; v. anche, in senso conforme, Cass. 20/08/2015, n. 17016; 28/06/2016, n. 13292; 08/11/2016, n. 22606; 26/09/2017, n. 22420; 20/03/2018, n. 6862; 26/06/2018, n. 16803; 12/07/2018, n. 18455; 14/11/2022, n. 33466; 25/07/2023, n. 22451;
Il terzo motivo è in parte infondato, in altra parte inammissibile.
7.1. La tesi secondo cui la mancata tempestiva impugnazione del licenziamento precluda anche la possibilità di ottenere l’indennità per mancato preavviso (del licenziamento) non trova alcun fondamento nel sistema. Se il licenziamento, non preceduto da preavviso, è illegittimo e tale illegittimità viene fatta valere nei termini di legge, il lavoratore ne otterrà i rimedi relativi; se è legittimo o se la sua illegittimità non viene fatta valere nei termini di legge, il lavoratore avrà comunque diritto all’indennità prevista dal secondo comma
dell’art. 2118 cod. civ. , che non può in alcun modo ritenersi subordinata alla tempestiva impugnativa del recesso del datore.
È vero, poi, che tale indennità è soggetta al termine prescrizionale breve di cinque anni ex art. 2948 n. 5 cod. civ. (v. Cass. 12/06/2008, n. 15798; 21/05/2021, n. 14062) e che, pertanto, è erronea l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui il relativo termine non poteva considerarsi maturato alla data della sua pronuncia (24 febbraio 2021) per l’effetto interruttivo di una diffida del 10 febbraio 2014 (dunque risalente a più di cinque anni prima). Ciò non toglie tuttavia che anche l’eventuale perdita di tale diritto conseguente alla prescrizione che sarebbe verosimilmente eccepita non possa imputarsi, in mancanza di alcun nesso tra i due istituti, alla mancata tempestiva impugnazione del licenziamento. Anche sul punto, dunque, la decisione si rivela corretta, occorrendo soltanto emendare la motivazione, nei sensi appena detti, ex art. 384, ult. comma, cod. proc. civ..
7.2. Il motivo è invece inammissibile là dove fa riferimento all’accesso al RAGIONE_SOCIALE di garanzia dell’RAGIONE_SOCIALE, asseritamente precluso dalla mancata tempestiva impugnazione.
Viene in tal modo prospettata questione nuova che non risulta dedotta con l’appello, né tanto meno esaminat a dalla Corte territoriale.
Va al riguardo ribadito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante,
Cass. n. 15430/2018).
Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (v., tra le molte, Cass. n. 31227 del 2019; n. 15196 del 2018).
Può comunque incidentalmente rilevarsi che anche rispetto a tale beneficio non può vedersi alcuna ragione ostativa nella mancata tempestiva impugnazione del licenziamento, la quale non ne costituisce presupposto indefettibile.
8. Il quarto motivo è inammissibile.
In disparte il richiamo in rubrica a vizio cassatorio non più previsto dall’attuale formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , appare evidente la genericità del richiamo a richieste istruttorie asseritamente non esaminate, delle quali si omette ogni indicazione contenutistica e localizzazione nel fascicolo di causa, in palese inosservanza dell’onere di di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ..
9. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Avuto tuttavia riguardo alla peculiarità della fattispecie ed al diverso esito dei due gradi del giudizio di merito, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza