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Responsabilità sindacato: nesso causale è cruciale

Un lavoratore ha citato in giudizio un sindacato per aver impugnato tardivamente il suo licenziamento. La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento, stabilendo un principio fondamentale: la responsabilità del sindacato sorge solo se si dimostra il nesso causale tra il suo errore e il danno subito. Poiché il licenziamento era comunque legittimo per chiusura dell’attività, un’impugnazione tempestiva non avrebbe cambiato l’esito. Pertanto, nessun danno è stato causato dall’inadempimento del sindacato.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità Sindacato: L’Inadempimento Non Basta, Serve il Nesso Causale

L’ordinanza n. 14163/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per i lavoratori e gli operatori del diritto: la responsabilità del sindacato in caso di tardiva impugnazione di un licenziamento. La pronuncia chiarisce che il semplice errore del mandatario non è sufficiente a fondare una richiesta di risarcimento. È indispensabile dimostrare il cosiddetto “nesso causale”, ossia che quell’errore ha effettivamente causato un danno concreto al lavoratore. Questo significa provare che, senza la negligenza del sindacato, l’impugnazione avrebbe avuto ragionevoli probabilità di successo.

Il caso: un’impugnazione tardiva e la richiesta di risarcimento

Un lavoratore, dopo aver ricevuto la comunicazione di licenziamento tramite un semplice SMS dal suo datore di lavoro, conferiva mandato a un’organizzazione sindacale per impugnare il provvedimento. Il sindacato, tuttavia, spediva la lettera di impugnazione oltre il termine di decadenza di 60 giorni previsto dalla legge, rendendola inefficace.

Il lavoratore decideva quindi di agire in giudizio contro il sindacato, chiedendo il risarcimento del danno subito a causa del non corretto adempimento del mandato. In primo grado, il Tribunale gli dava ragione, liquidando un danno in via equitativa di 8.000,00 Euro. La vicenda, però, prendeva una piega diversa in appello.

La decisione della Corte d’Appello: inadempimento senza danno

La Corte d’Appello di Milano ribaltava completamente la decisione di primo grado. Pur riconoscendo che il sindacato aveva effettivamente eseguito in modo negligente il mandato ricevuto, ha ritenuto che mancasse un elemento fondamentale per il risarcimento: la prova del nesso causale tra l’inadempimento e il danno.

Secondo i giudici di secondo grado, il licenziamento era avvenuto per un motivo oggettivo legittimo, ovvero la chiusura definitiva dell’attività di ristorazione in cui il lavoratore era impiegato. Di conseguenza, anche se il sindacato avesse impugnato il licenziamento nei termini corretti, l’azione non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo. Poiché l’esito finale sarebbe stato lo stesso, il lavoratore non aveva subito alcun danno economicamente valutabile a causa del ritardo del sindacato.

La valutazione della Cassazione sulla responsabilità del sindacato

Il lavoratore, non soddisfatto, ricorreva in Cassazione. Gli Ermellini, tuttavia, hanno confermato la decisione d’appello, rigettando il ricorso e fornendo importanti chiarimenti sulla responsabilità del sindacato e, più in generale, sulla responsabilità professionale.

La distinzione tra inadempimento e danno risarcibile

La Corte ha ribadito un principio cardine del diritto civile: l’inadempimento contrattuale (l’errore del sindacato) e il danno risarcibile sono due concetti distinti. L’inadempimento è la condotta colpevole, ma da solo non genera automaticamente un diritto al risarcimento. Per ottenere un indennizzo, il danneggiato deve dimostrare che quella condotta ha prodotto un “danno-conseguenza”, ovvero una perdita patrimoniale che non si sarebbe verificata senza l’errore del professionista.

Il giudizio prognostico e l’esclusione della perdita di chance

Nel contesto della responsabilità professionale, questa prova si traduce in un “giudizio prognostico”. Il giudice deve valutare, con un criterio di probabilità, quale sarebbe stato l’esito dell’azione giudiziaria se fosse stata correttamente e tempestivamente avviata. Se, come nel caso di specie, l’esito più probabile sarebbe stato comunque sfavorevole per il cliente, allora non vi è nesso causale e nessun danno può essere risarcito. La Corte ha anche specificato che in questi casi non si può parlare di “perdita di chance”, poiché è possibile formulare una previsione sull’esito del giudizio, anche se in termini di mera probabilità.

L’indennità di mancato preavviso e l’accesso al fondo INPS

Il lavoratore lamentava anche di aver perso, a causa dell’errore del sindacato, il diritto all’indennità di mancato preavviso. La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, chiarendo che il diritto a tale indennità, in caso di licenziamento legittimo non preceduto da preavviso, non dipende dalla tempestiva impugnazione del recesso. Le due questioni sono giuridicamente separate.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta separazione tra la condotta inadempiente e il danno che ne deriva. In ambito di responsabilità professionale, specialmente quella di avvocati o sindacati, non è sufficiente dimostrare l’errore (es. la scadenza di un termine). È onere del danneggiato provare che, senza quell’errore, avrebbe ottenuto un risultato favorevole. Questo accertamento, definito “giudizio prognostico”, è una valutazione del probabile esito della causa che si sarebbe dovuta intraprendere. Se la prognosi è negativa, come nel caso di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto a chiusura aziendale, la catena causale si interrompe. L’errore del professionista, pur sussistendo, diventa giuridicamente irrilevante ai fini del risarcimento perché non ha causato alcuna perdita effettiva al cliente.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento rigoroso in materia di responsabilità del sindacato e dei professionisti in generale. Per ottenere un risarcimento, non basta lamentare un errore tecnico; è necessario fornire al giudice elementi concreti per dimostrare che, in assenza di tale errore, si sarebbe ottenuto un beneficio economico o si sarebbe evitato un pregiudizio. Questa pronuncia serve da monito per i lavoratori: prima di intraprendere un’azione di responsabilità, è fondamentale una valutazione realistica delle effettive possibilità di successo che avrebbe avuto l’azione originaria non promossa o promossa tardivamente.

Un sindacato è sempre responsabile se impugna tardivamente un licenziamento?
No. La responsabilità del sindacato non è automatica. È necessario che il lavoratore dimostri che, oltre all’errore del sindacato, l’impugnazione, se fosse stata tempestiva, avrebbe avuto concrete probabilità di successo. Se il licenziamento era comunque legittimo, non sorge alcun diritto al risarcimento.

Per ottenere un risarcimento dal sindacato, basta dimostrare il suo errore?
No, non è sufficiente. Oltre a provare l’inadempimento del sindacato (l’errore), il lavoratore deve dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra tale errore e un danno concreto. Deve cioè provare che, senza la negligenza del sindacato, avrebbe ottenuto un risultato favorevole.

La tardiva impugnazione del licenziamento impedisce al lavoratore di chiedere l’indennità di mancato preavviso?
No. La Corte ha chiarito che il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, quando dovuta, non è subordinato alla tempestiva impugnazione del licenziamento. Si tratta di due diritti distinti e la perdita di uno non è causata dalla mancata tutela dell’altro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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