Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3689 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3689 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2523/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Napoli alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2097/2021 depositata il 07/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2008 la società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, per brevità, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, Poste Italiane S.p.A., al fine di sentirla condannare al pagamento di Euro 421.862,44, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento del danno da mancato recapito ai propri clienti di 254 assicurate – del valore di Euro 12.700,00 e con costo di spedizione pari ad Euro 1.901,44 – contenenti altrettante smart cards del valore complessivo di Euro 55.661,00, in uno al danno da perdita delle chances contrattuali dopo tale inadempimento verso la clientela e al danno all’immagine subìto dalla società.
Costituitasi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE contestava le pretese attoree, deducendo che la materia del servizio postale fosse regolata dalla normativa speciale di cui al d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nonché dalla Carta della qualità sui prodotti di corrispondenza, approvata e sottoscritta da Poste Italiane e dalle principali associazioni dei consumatori. Asseriva, pertanto, che essa fosse esonerata da responsabilità per mancato ovvero tardivo recapito della corrispondenza, salvo corresponsione di indennizzo.
Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 9688/2016, condannava Poste Italiane S.p.A. al risarcimento del danno emergente – che riteneva essere stato provato documentalmente dall’attrice –
liquidato in Euro 55.661,00, nonché al risarcimento delle spese di spedizione sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE, per ulteriori Euro 1.901,44; rigettava, invece, la domanda risarcitoria limitatamente agli ulteriori danni lamentati dall’attrice, poiché da questa non provati; compensava le spese di lite.
2. Poste Italiane S.p.ARAGIONE_SOCIALE proponeva appello, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva liquidato il danno per una somma superiore ad Euro 12.700,00 (ossia l’importo corrispondente al valore dichiarato dall’assicurato, che aveva sostenuto un costo di spedizione di Euro 1.901,44). Deduceva che gli artt. 28, 48, 49 e 96 del d.P.R. n. 156 del 1973, pur non prevedendo la totale esclusione della responsabilità di Poste Italiane S.p.A. (come, invece, stabiliva l’abrogato art. 6 cod. post.), limitano tuttavia tale responsabilità e l’eventuale risarcimento, con la previsione di determinati indennizzi. Censurava, ancora, la decisone nella parte in cui Tribunale avrebbe accolto la domanda della RAGIONE_SOCIALE sulla base di quanto dalla stessa meramente asserito in relazione al quantum; sosteneva, infatti, che l’attrice non avrebbe introdotto, nel giudizio di primo grado, alcun elemento di prova tale da poter confermare il danno come stimato in atti dalla stessa.
Costituitasi nel giudizio d’appello, la società RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rigetto dell’impugnazione e proponeva, a sua volta, appello incidentale avverso il rigetto parziale della domanda per il risarcimento del lucro cessante, del quale chiedeva la liquidazione anche in via equitativa.
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 2097/2021, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello principale, condannando Poste Italiane S.p.A. al pagamento del minor importo, per le spese di spedizione sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE, di Euro 1.901,44, oltre rivalutazione e interessi come
riconosciuti nella sentenza di primo grado; rigettava l’appello incidentale e compensava le spese di lite.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli ricorre la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, la RAGIONE_SOCIALE denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 ss., 1223 e 1678 c.c.
Deduce che, dopo la sentenza n. 254/2002 e la più recente sentenza n. 46/2011 della Corte Costituzionale, deve ritenersi superata quella immunità dell’ente postale che permeava di sé il regime legislativo previgente, dovendosi ricondurre la responsabilità da disservizi postali, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, nell’ambito della generale responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c., del quale lamenta la violazione da parte della Corte partenopea.
Di poi, si duole del mancato risarcimento, da parte del Giudice d’appello, del danno da mancato recapito delle assicurate – che assume aver provato documentalmente – nonché della violazione degli artt. 1218 ss., 1223 e 1678 c.c., per avere la Corte partenopea limitato la responsabilità di Poste Italiane S.p.A.RAGIONE_SOCIALE senza considerare la perdita e il mancato incasso in contrassegno del prezzo dei medesimi prodotti che la RAGIONE_SOCIALE inviava. Sostiene di contro – la correttezza delle statuizioni del Giudice di primo grado, che aveva condannato RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno emergente, consistente nel valore commerciale dei plichi raccomandati e non recapitati.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 49, 24 e 48 del d.P.R. 23 marzo 1973, n. 156, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto il danno emergente, rappresentato dalla perdita del semplice valore delle merci trasportate e andate perse per colpa ascrivibile esclusivamente al gestore del servizio postale.
Osserva che, ai fini della determinazione del valore delle merci, non sarebbe stato necessario effettuare alcuna particolare valutazione o analisi, ma semplicemente riconoscere l’indennizzo pari a quanto dagli stessi atti emergeva fosse andato perduto.
4.3. Con il terzo motivo, la RAGIONE_SOCIALE si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., della violazione degli artt. 48 e 49 del d.P.R. 23 marzo 1973, n. 156, in combinato disposto con gli artt. 1324, 1218 e 1176 c.c., in relazione alla quantificazione del risarcimento.
Parte ricorrente deduce che, pur volendo ritenersi applicabile, nel caso di specie, l’art. 48, in tema di raccomandate, in luogo dell’art. 49 d.P.R. 156/1973, in tema di assicurate, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto diritto ad una indennità comunque diversa e nettamente superiore rispetto al danno liquidato dal Giudice d’appello.
Sostiene – pertanto – che la Corte territoriale abbia erroneamente quantificato il risarcimento, e confuso, in ogni caso, raccomandate e assicurate.
Ritiene che la Corte d’appello, in questo modo, abbia altresì violato l’art. 1324 c.c. – che prevede, salvo diversa disposizione di legge, l’applicazione delle norme che regolano i contratti anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, in quanto compatibili – dopo aver qualificato la Carta dei servizi in guisa di promessa unilaterale, definendola ‘una tutela aggiuntiva offerta dal gestore all’utente’.
4.4. Con il quarto motivo viene denunciata – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., per contraddittoria e anomala motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte partenopea attribuito alla Carta dei servizi rilievo di promessa unilaterale, tale da offrire una tutela aggiuntiva da parte del gestore all’utente, salvo poi condannare Poste Italiane S.p.A., in maniera del tutto illogica, al solo rimborso del servizio non usufruito dall’utente, e non al pagamento di 10 volte il diritto di raccomandazione (come previsto dall’art 48 cod. post.), ovvero al pagamento dell’importo corrispondente al valore dei plichi dichiarato o – quantomeno – al valore assicurato (come previsto dall’art. 49 cod. post.).
4.5. Con il quinto motivo, parte ricorrente lamenta – ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti’.
Sostiene che la Corte territoriale abbia omesso ‘radicalmente ed erroneamente di valutare l’effettiva documentazione offerta dalle parti’; documentazione che, qualora effettivamente esaminata e valutata dal Giudice d’appello, avrebbe consentito di rigettare l’impugnazione e di liquidare il danno in misura pari a quanto dichiarato dalla RAGIONE_SOCIALE per il mancato incasso dei corrispettivi, in considerazione del tipo di servizi assicurati e della natura del contenuto dei plichi, ciò che – ad avviso della ricorrente – la Corte d’appello avrebbe potuto facilmente dedurre già solo dalla semplice lettura della citazione.
5.1 . Il primo motivo è infondato.
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, in caso di omesso o tardivo recapito di corrispondenza, è configurabile una responsabilità da inadempimento nei confronti del mittente, nonché del destinatario, discendente dalla violazione dell’obbligo di trasporto e di consegna della corrispondenza, che trova la sua fonte in un contratto a favore di terzo (in tal senso, Sez. 3,
Ordinanza n. 9276 del 04/04/2023, che riprende Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2261 del 26/01/2022; Sez. 3, Sentenza n. 25828 del 01/09/2022).
In proposito, già dalla sentenza n. 254/2002 e dalla successiva sentenza n. 46/2011 della Corte Costituzionale, nonché dalla sentenza n. 15559/2004 di questa Corte, deve considerarsi del tutto superato quel regime di sostanziale immunità da ogni vincolo di responsabilità per ritardi e/o omissioni nel recapito della corrispondenza di cui beneficiava l’ente gerente il servizio postale, attualmente costituito in società per azioni.
Ne deriva che, in caso di mancato recapito di una lettera raccomandata, telegramma e/o assicurata, è configurabile una responsabilità risarcitoria di Poste italiane S.p.A. a titolo contrattuale.
Per le medesime ragioni, questa Corte, con Ordinanza n. 8070 del 25/03/2024, ha dichiarato la nullità della eventuale clausola contrattuale di esclusione o limitazione della responsabilità di Poste Italiane S.p.A. per ritardo nella consegna, per contrasto con norme imperative, dalla quale nullità deriva la sostituzione di diritto della relativa clausola con la regola di responsabilità di diritto comune; ha, inoltre, precisato che la circostanza che il danno sia imprevedibile – nel senso che le Poste non possono conoscere il contenuto della lettera, e dunque prevedere il danno conseguente al mancato o tardivo recapito – non esonera Poste Italiane da responsabilità, ma incide unicamente sul quantum del risarcimento, restando escluso che il danno (sempreché provato) possa essere circoscritto alla sola spesa della spedizione.
Orbene, in tema di responsabilità da inadempimento di obbligazioni diverse da quelle di c.d. facere professionale trovano applicazione i principi generali enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13533/2001.
In proposito, una volta che il creditore abbia fornito in giudizio la prova della fonte del rapporto obbligatorio (contrattuale ovvero legale) e abbia allegato l’inadempimento, opera il principio della c.d. ‘presunzione della persistenza del diritto insoddisfatto’. È onere del debitore vincere tale presunzione, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento ovvero dalla circostanza che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c. Ciò anche alla luce del diverso principio della c.d. ‘riferibilità o vicinanza alla prova’, che vuole che sia colui che è più vicino alla prova a renderla in giudizio.
Questa Corte ha più volte precisato che, sul piano eziologico, per le obbligazioni diverse da quelle di facere professionale, grava a carico del creditore della prestazione soltanto l’onere di provare la causalità giuridica, mentre l’inadempimento che ‘assorbe’ la causalità materiale (senza, però, eliderla, sul piano concettuale, poiché – diversamente opinando – non avrebbe alcun senso la norma di cui all’art. 1227, commi 1 e 2, c.c.) deve essere dal creditore soltanto allegato (in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 12760 del 09/05/2024, che richiama in motivazione Sez. 3, Sentenze nn. 28991 e 28992 dell’11/11/2019).
Altro è, infatti, l’inadempimento – che corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e, dunque, al danno evento (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 28991 dell’11/11/2019) – dal danno conseguenza risarcibile, che lo stesso attore deve provare, in uno al nesso di causalità giuridica.
Delle regulae iuris innanzi ricordate – patrimonio acquisito nel formante giurisprudenziale – ha fatto buon governo il giudice territoriale.
Invero, ancorché RAGIONE_SOCIALE non abbia fornito prova alcuna del fatto estintivo del diritto prospettato dalla società mittente, la Corte partenopea, riformando la sentenza di primo grado, non ha comunque riconosciuto alla società RAGIONE_SOCIALE
risarcimento del lamentato danno emergente, in base all’assunto secondo il quale il «danno effettivamente subito…, in virtù di quanto prodotto, non può che considerarsi rimasto allo stato di pura allegazione» (a pag. 9 della sentenza impugnata). Ciò in quanto – come si legge a pag. 8 della sentenza impugnata – «al di là di una genericissima prova testimoniale sul punto, non vi è alcun elemento (l’appellata non ha neppure depositato in questo grado il proprio fascicolo di parte del primo giudizio) che consenta di dare per dimostrato che il ‘valore commerciale’ delle smart cards fosse quello dichiarato dalla Digital World Television». Pertanto, secondo la Corte territoriale, non vi erano elementi probatori che potessero confermare l’effettivo valore delle merci trasportate e andate perdute.
Va del resto notato, ad abundantiam , che tale ultimo ragionamento, corretto in diritto, è il frutto del libero apprezzamento delle prove introdotte dalle parti nel processo. Una siffatta valutazione è riservata al giudice del merito e non è sindacabile, nel suo intrinseco contenuto fattuale, nel giudizio di legittimità (in tal senso, di recente, Sez. 3, Ordinanza n. 33125 del 18/12/2024).
Deve, pertanto, respingersi ogni censura in ordine alla lamentata violazione degli artt. 1218, 1223 e 1678 c.c.
5.2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Occorre notare, come lamenta parte ricorrente, che la Corte d’Appello ha discorso, nella motivazione della sentenza impugnata, di ‘raccomandata’ e non di ‘assicurata’, laddove ha ritenuto che «il ritardo nella consegna di una raccomandata, o, a fortiori, la perdita totale della stessa, è fonte di responsabilità contrattuale da inadempimento» (a pag. 7 della sentenza d’appello); eppure, va parimenti osservato che il Giudice d’appello ha poi discorso in
motivazione di ‘assicurata’, nella parte in cui – a pagina 8, punto C.b.) ha fatto menzione del fatto che «l’attrice, già in citazione, avesse provveduto ad una analitica elencazione dei clienti cui era indirizzata la raccomandata assicurata».
Nondimeno, tale ultima questione non assume una particolare rilevanza, nella misura in cui nella motivazione della sentenza impugnata non è mai richiamato né l’art. 48 (che parte ricorrente lamenta essere stato erroneamente applicato in luogo dell’art. 49) né l’art. 49 del Codice postale, che prevedono il diritto del mittente alla indennità per la perdita, rispettivamente, di raccomandate e di assicurate. Piuttosto, il Giudice d’appello ha correttamente sostenuto che il ritardo ovvero la totale perdita di una raccomandata è fonte di responsabilità contrattuale di RAGIONE_SOCIALE «secondo le regole generali di cui agli artt. 1218 e ss. c.c., indipendentemente dall’indennizzo previsto dalla Carta dei Servizi» (a pagg. 7-8 della sentenza impugnata).
In ogni caso, la circostanza per cui la Corte partenopea non abbia applicato né l’art. 48 né l’art. 49 d.P.R. 156/1973 non vale ad inficiare la corretta argomentazione su cui poggia la sentenza impugnata e le relative conclusioni; il Giudice d’appello, infatti, ha preliminarmente ritenuto non provato il danno nella sua effettiva entità, in assenza di elementi che potessero confermare l’effettivo valore delle merci trasportate e andate perdute. In proposito, a pag. 8, i giudici partenopei hanno statuito che, «al di là di una genericissima prova testimoniale sul punto, non vi è alcun elemento (l’appellata non ha neppure depositato in questo grado il proprio fascicolo di parte del primo giudizio) che consenta di dare per dimostrato che il ‘valore commerciale’ delle smart cards fosse quello dichiarato dalla RAGIONE_SOCIALE».
5.2.1. In via generale, preme però rilevare che parte ricorrente spesso si riferisce indistintamente alla indennità di cui all’invocato art. 49 d.P.R. n. 156 del 1973 e al risarcimento del danno
emergente, prefigurando una totale coincidenza tra istituti che sono, al contrario, autonomi e distinti.
Una tale alterità già si ricava dall’esame delle disposizioni del richiamato d.P.R., nel suo originario impianto normativo, successivamente inciso dalle declaratorie di incostituzionalità pronunciate dalla Consulta a partire dagli anni ’90.
Invero, nel contesto storico in cui venne approvato il Codice postale, considerata anche la natura pubblica dell’allora Ente Poste, l’art. 6 d.P.R. 156/73 prevedeva una totale esclusione di responsabilità -e non già soltanto una sua limitazione -introducendo una evidente deroga al regime comune della responsabilità civile, tale da configurare un privilegio anacronistico del tutto slegato dalle caratteristiche oggettive del servizio erogato e non rispondente al canone di ragionevolezza (v. Corte Cost., Sentenza n. 50/1992; Corte Cost., Sentenza n. 74/1992; Corte Cost., Sentenza n. 463/1997). L’art. 6 cod. post. si poneva, al contempo, in rapporto di stretta connessione con i successivi artt. 28, 48, 49, 70 e 85, che tuttora prevedono il diritto del mittente ad un indennizzo per i casi di perdita totale di raccomandata ovvero di perdita, manomissione o avaria di lettera assicurata, di pacco postale o, ancora, di altro oggetto della stessa specie non gravato di assegno.
La ratio dell’intervento legislativo era, dunque, quella della esclusione della responsabilità dell’Ente Poste (e quindi del risarcimento dei danni causati dal suo inadempimento); esclusione bilanciata, però, dalla previsione di un indennizzo in favore del mittente, al fine di garantire a quest’ultimo una tutela minima. Risulta, pertanto, evidente come suggerisce già solo l’argomento storico – la totale differenza tra il risarcimento del danno (escluso nella versione originaria della normativa di settore) e l’indennizzo disciplinato dai richiamati articoli.
Per tali ragioni, gli artt. 48, 49, 70 e 85 d.P.R. 156/1973 non individuano affatto le modalità di quantificazione del danno emergente per la perdita di raccomandate, assicurate, pacchi postali od oggetti della stessa specie non gravati di assegno, ma contemplano un indennizzo del tutto estraneo al risarcimento. Del resto, una eventuale assimilazione tra indennizzo e risarcimento del danno emergente svuoterebbe di significato la scelta del legislatore storico volta ad escludere la responsabilità dell’Ente Poste. Tale alterità è peraltro confermata dalla circostanza per cui gli indennizzi previsti dal Codice postale sono soggetti a limiti tali da non coprire totalmente l’eventuale danno emergente.
Nel dettaglio, sotto questo profilo, l’art. 28 cod. post. prevede che l’ammontare dell’indennità per la corrispondenza e gli oggetti affidati alla posta, nei casi in cui essa è dovuta, è determinata attraverso una fonte sub-primaria, da individuarsi allo stato nel d.P.C.M. 30 gennaio 1996, che all’All. 2 discorre di ‘rimborsi’, e specifica, nella Tabella A, i termini per le relative richieste, ricorrendo ad una terminologia prettamente ‘consumeristica’ slegata dalle logiche del risarcimento del danno, e reiteratamente adoperata anche nella recente Carta dei Servizi Postali sottoscritta da Poste Italiane S.p.A. in conformità con la legislazione vigente e con la Convenzione Postale Universale.
Depone in tal senso la previsione di cui all’All. 2 del d.P.C.M. in forza della quale «il cliente ha diritto al rimborso secondo gli importi indicati alle successive tabelle e comunque solo in seguito al risultato degli accertamenti previsti», il cui espletamento compete – evidentemente all’attuale Poste Italiane S.p.A.
Altro è, dunque, l’indennizzo previsto dal Codice postale rispetto al risarcimento dei danni (anche del solo danno emergente) di cui risponde Poste Italiane S.p.A., a titolo di responsabilità da inadempimento, in seguito agli interventi della Corte Costituzionale – a partire dalla sentenza n. 254/2002 – che hanno fatto venire
meno quegli ostacoli alla effettività della tutela risarcitoria previsti in origine dallo stesso Codice postale.
Ne deriva che, nei casi di cui agli artt. 48, 49, 70 e 85 cod. post., il cliente può ottenere da Poste Italiane S.p.A. l’indennizzo ivi previsto, presentando istanza attraverso la procedura di reclamo. Cionondimeno, il cliente (mittente e destinatario: in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 9276 del 04/04/2023) conserva (in ogni caso, e a fortiori nell’ipotesi di mancato riconoscimento dell’indennizzo) il potere di agire dinanzi all’autorità giudiziaria per ottenere il risarcimento di tutti i danni dallo stesso subìti a causa dell’inadempimento di Poste Italiane S.p.A.RAGIONE_SOCIALE secondo le normali regole di diritto comune, sempreché tali danni siano dal cliente provati in giudizio. Tra questi, anzitutto, il danno emergente, nella misura della integrale perdita subita e provata dal cliente, insensibile alle limitazioni previste dalla normativa di settore per l’indennizzo di cui agli artt. 48, 49, 70 e 85 cod. post. Tuttavia, in quest’ultimo caso, qualora sia già stata riconosciuta tale indennità, il giudice del merito dovrà detrarre, in sede di liquidazione del danno, il valore capitale dell’indennità erogata da Poste Italiane S.p.A., poiché il credito indennitario, pur avendo titolo diverso, è causalmente giustificato, sul piano funzionale, in funzione di rimozione dell’effetto dannoso dell’inadempimento di Poste Italiane S.p.A., al pari del credito risarcitorio. Diversamente, infatti, si verificherebbe l’effetto paradossale del passaggio da un assoluto diniego di tutela risarcitoria (nell’originario impianto del Codice postale) ad un assoluto ed ingiustificato eccesso della stessa, attraverso impredicabili duplicazioni risarcitorie.
5.3. Per le considerazioni già esposte, deve ritenersi infondato anche il quarto motivo.
In proposito, non si rinviene, nella motivazione della sentenza impugnata, una violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., a mente del
quale la sentenza deve contenere, tra l’altro, «la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione».
In effetti, è bensì vero che il Giudice d’appello ha dichiarato (a pag. 7 della sentenza impugnata) che «le Carte dei Servizi non sono condizioni generali di contratto e costituiscono promesse unilaterali volte ad assicurare una tutela aggiuntiva in favore dell’utente rispetto a quella che deriverebbe dalla conclusione del contratto regolata dalle norme generali» (come del resto ha affermato anche questa Corte, con specifico riferimento alla Carta di Qualità dei Servizi Postali, in Cass. n. 16787/2019), ma tale qualificazione non importa ex se alcun automatismo nel risarcimento del danno; infatti, grava sempre sull’attore l’onere di fornire la prova del danno subìto.
Nel caso in esame, l’impianto motivazionale della sentenza impugnata si regge integralmente sul preminente aspetto della prova del danno. Ciò risulta evidente dal passaggio della sentenza a pag. 8 in cui il Giudice d’appello ha espressamente dichiarato che «troppo spesso si sottovaluta la portata e l’importanza della prova nei giudizi civili, affidata a dichiarazioni testimoniali dal contenuto ‘indifferenziato’ e, per questo, totalmente privo della necessaria specificità riguardo agli elementi da porre a fondamento della pretesa azionata».
Pertanto, la Corte d’Appello, in assenza dell’effettiva prova del valore commerciale del contenuto dei plichi (risultante dall’accertamento, tipicamente fattuale, di genericità delle deposizioni rese dai testi deferiti dall’appellata, e non desumibile aliunde , visto il mancato deposito del fascicolo di parte del giudizio di primo grado), ha escluso il risarcimento del danno emergente in favore della mittente, senza che da ciò possa ravvisarsi alcun profilo di contraddittorietà rispetto alla precedente qualificazione della Carta di Qualità dei Servizi Postali in guisa di promessa
unilaterale; qualificazione confermata -peraltro -dall’art. 1 d.P.C.M. 30 gennaio 1996.
5.4. Anche il quinto motivo è infondato.
Parte ricorrente correttamente rileva che, come enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la Sentenza n. 8053/2014, «l’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il ‘tassello mancante’ alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario».
Sulla scorta di tali premesse, si duole del fatto che la Corte partenopea avrebbe omesso di valutare l’elenco dei destinatari delle raccomandate, e l’indicazione del valore da pagare in contrassegno riguardo ai singoli reclami pure prodotti nel giudizio di primo grado; sostiene – per questa via che il Giudice d’appello non poteva che valutare il danno in misura pari a quanto dichiarato per il mancato incasso dei relativi corrispettivi.
Ma tale doglianza è infondata.
Invero, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaramente che la Corte d’Appello ha indiscutibilmente valutato la documentazione prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE ritenendo – al contempo – che attraverso tale documentazione, e in assenza di ulteriore prova, l’odierna parte ricorrente avesse esclusivamente allegato il danno, senza anche provvedere alla relativa asseverazione.
In tal senso, la Corte territoriale ha dichiarato che, «sebbene l’attrice, già in citazione, avesse provveduto ad una analitica elencazione dei clienti cui era indirizzata la raccomandata assicurata, con l’indicazione dell’asserito valore commerciale riguardante i servizi garantiti dalle smart cards inviate -peraltro neppure precisati circa la loro caratteristica o natura -come
lamenta l’appellante, a fronte della chiara contestazione formulata da Poste Italiane S.p.A. già in comparsa di risposta, al di là di una genericissima prova testimoniale sul punto, non vi è alcun elemento (l’appellata non ha neppure depositato in questo grado il proprio fascicolo di parte del primo giudizio) che consenta di dare per dimostrato che il ‘valore commerciale’ delle smart cards fosse quello dichiarato dalla RAGIONE_SOCIALE».
Per le esposte ragioni, è da escludersi il vizio di omesso esame di un fatto decisivo così come prospettato dalla ricorrente.
Pertanto, la Corte rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie al 15% e accessori legali, in favore della intimata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza