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Responsabilità sanitaria: esclusa per infezione rara

Un paziente ha citato in giudizio una struttura sanitaria per i danni subiti a causa di una rara infezione contratta durante un intervento cardiochirurgico nel 2016. Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda. Nonostante sia stato provato il nesso causale tra l’intervento e l’infezione, il giudice ha escluso la colpa della struttura sanitaria, ritenendo la sua condotta adeguata alle conoscenze scientifiche disponibili all’epoca dei fatti. La rarità dell’infezione e l’incertezza dei protocolli di sanificazione hanno portato a considerare l’evento non imputabile all’ospedale, escludendo così la sua responsabilità sanitaria.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità Sanitaria Esclusa: Il Caso di un’Infezione Rara in Sala Operatoria

Una recente sentenza del Tribunale di Venezia offre un’importante riflessione sui limiti della responsabilità sanitaria di fronte a eventi infettivi rari e poco conosciuti dalla comunità scientifica al momento del fatto. Il caso riguarda la richiesta di risarcimento danni avanzata da un paziente e dai suoi familiari nei confronti di una struttura ospedaliera, a seguito di una grave infezione contratta durante un intervento cardiochirurgico. Nonostante sia stato accertato il legame tra l’operazione e l’infezione, il Tribunale ha rigettato la domanda, stabilendo un principio fondamentale: la diligenza del medico e della struttura va valutata sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili ex ante, ovvero al momento della prestazione sanitaria, e non con il senno di poi.

I Fatti di Causa: Un Intervento e le sue Conseguenze

Nel 2016, un paziente veniva ricoverato presso un ospedale per sottoporsi a un complesso intervento cardiochirurgico. Anni dopo, tra il 2019, gli veniva diagnosticata una grave infezione da Mycobacterium chimaera, un micobatterio la cui associazione con le apparecchiature utilizzate in cardiochirurgia per il riscaldamento e il raffreddamento del sangue (Heater-Cooler Units – HCU) era emersa nella comunità scientifica solo a partire dal 2015.

Il paziente e i suoi familiari citavano in giudizio la struttura sanitaria, chiedendo un cospicuo risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Sostenevano che l’infezione fosse stata causata da una negligente sanificazione delle apparecchiature e da un ritardo nella diagnosi, configurando un’ipotesi di responsabilità sanitaria contrattuale.

La struttura sanitaria si difendeva, negando ogni addebito e sostenendo di aver agito secondo i canoni di diligenza, prudenza e perizia richiesti dallo standard professionale dell’epoca. Evidenziava come le conoscenze scientifiche sul rischio specifico fossero ancora in fase embrionale e che, in ogni caso, erano state adottate le misure allora conosciute per la decontaminazione.

L’Istruttoria e l’Accertamento Tecnico

Il Tribunale, dopo aver disposto un accertamento tecnico preventivo, ha ritenuto provato il nesso causale tra l’intervento cardiochirurgico del 2016 e la contrazione dell’infezione. I consulenti tecnici hanno confermato che il micobatterio era stato trasmesso al paziente tramite aerosol proveniente dall’acqua contaminata presente nei serbatoi delle apparecchiature HCU utilizzate in sala operatoria. Tuttavia, il punto cruciale della controversia si è spostato dalla prova del nesso di causa alla valutazione della colpa della struttura sanitaria.

La Valutazione della Responsabilità Sanitaria alla Luce delle Conoscenze dell’Epoca

Il giudice ha analizzato l’evoluzione delle conoscenze scientifiche relative al Mycobacterium chimaera fino al momento dell’intervento. Nel 2016, il problema era stato portato all’attenzione della comunità medica da poco più di un anno, principalmente attraverso un documento del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) dell’agosto 2015. Tale documento, secondo il Tribunale, aveva un carattere meramente informativo ed esplorativo, volto a sensibilizzare gli operatori, ma non poteva essere considerato una linea guida operativa consolidata.

Le stesse istruzioni del produttore delle macchine HCU, pur raccomandando alcune procedure di sanificazione, erano state parzialmente seguite dall’ospedale. In particolare, non era stato effettuato un monitoraggio microbiologico dell’acqua, ma venivano comunque eseguite procedure di sanificazione periodiche. Il Tribunale ha ritenuto che, data l’incertezza scientifica dell’epoca e la novità del problema, tale omissione non integrasse una colpa grave, ma al più una colpa lieve, insufficiente per affermare la responsabilità sanitaria della struttura in un contesto di prestazioni mediche di speciale difficoltà.

Le Motivazioni della Decisione

La sentenza si fonda su un’attenta distinzione tra nesso di causalità e colpevolezza. Sebbene il paziente abbia correttamente assolto al proprio onere probatorio dimostrando che l’infezione era una conseguenza diretta dell’intervento, la struttura sanitaria ha a sua volta provato di aver agito in assenza di colpa grave. Il Tribunale ha sottolineato che la valutazione della condotta dei sanitari deve essere effettuata secondo un criterio di “prognosi postuma”, calandosi nel contesto scientifico e operativo del momento in cui i fatti si sono svolti. Nel 2016, le procedure per prevenire e eradicare il Mycobacterium chimaera non erano ancora definite con certezza, e la stessa letteratura scientifica descriveva le difficoltà nel decontaminare completamente i dispositivi. Di conseguenza, non si poteva pretendere dalla struttura un livello di prevenzione che si è consolidato solo negli anni successivi. Anche la richiesta di risarcimento per il presunto ritardo diagnostico è stata respinta, poiché non è stato provato che una diagnosi più tempestiva avrebbe modificato in meglio le condizioni cliniche attuali del paziente.

Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio cardine in materia di responsabilità sanitaria: la colpa medica non può essere valutata con il senno di poi. La conformità della condotta sanitaria agli standard di diligenza e perizia deve essere misurata rispetto allo stato dell’arte della scienza e della tecnica al momento della prestazione. In casi di problematiche mediche emergenti e di difficile gestione, come un’infezione rara da un patogeno di recente scoperta, il giudice deve tenere conto dell’inevitabile incertezza che caratterizza la pratica medica. La sentenza, pur riconoscendo il grave danno subito dal paziente, conclude che tale danno non è giuridicamente risarcibile in quanto non derivante da una condotta colpevole della struttura sanitaria secondo i parametri valutabili all’epoca dei fatti.

Quando una struttura sanitaria può essere ritenuta non responsabile per un’infezione contratta dal paziente?
La struttura non è responsabile se dimostra di aver agito con diligenza, prudenza e perizia, in conformità con le conoscenze scientifiche disponibili al momento della prestazione medica. In questo caso, la novità e la rarità del rischio infettivo hanno portato a escludere la colpa dell’ospedale.

È sufficiente provare il nesso causale tra intervento e infezione per ottenere un risarcimento?
No. Secondo la sentenza, il paziente deve provare il danno e il nesso causale, ma la struttura sanitaria può evitare la condanna se dimostra che l’evento dannoso non è a lei imputabile per assenza di colpa, avendo adottato tutte le misure esigibili secondo la scienza e la tecnica del momento.

Un ritardo nella diagnosi comporta automaticamente un risarcimento per responsabilità sanitaria?
No. Per ottenere un risarcimento basato su un ritardo diagnostico, il paziente deve fornire la prova che una diagnosi più tempestiva avrebbe avuto un’influenza positiva sul suo stato di salute attuale, cosa che nel caso di specie non è stata dimostrata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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