Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19387 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19387 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1736/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
– intimate – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA n. 1725/2019, depositata il 25/10/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE citavano innanzi al Tribunale di Teramo (causa n. 1846/2003) NOME COGNOME (progettista, per il quale interveniva volontariamente in causa Assicurazioni RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, cui succedeva Generali s.p.aRAGIONE_SOCIALE), NOME COGNOMEDirettore dei Lavori); la RAGIONE_SOCIALE (che chiamava in causa la propria società di assicurazioni, RAGIONE_SOCIALE, cui è succeduta in corso di giudizio RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (cui è succeduta, nel corso del giudizio, RAGIONE_SOCIALE, appaltatrici dei lavori e fornitrici dei materiali, chiedendone la condanna in solido, ai sensi d ell’art. 1669 cod. civ., per il risarcimento danni subìti a seguito di una frana che
aveva interessato il pendio sottostante il terreno sul quale si trovavano l’abitazione del COGNOME e lo stabilimento della s.n.c.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE costituitesi, elevavano separate domande riconvenzionali.
Gli attori illustravano che il terreno sito in Teramo, alla località INDIRIZZO, veniva sottoposto ad alcuni interventi volti a renderlo più stabile. Tuttavia, una volta terminati gli interventi, i terreni franavano e travolgevano la sottostante porzione di terreno ove era situata l’abitazione del RAGIONE_SOCIALE e lo stabilimento caseario RAGIONE_SOCIALE, nonché i terreni adiacenti appartenenti ad altri proprietari.
1.1. Con separato atto di citazione, NOME COGNOME e NOME COGNOME citavano innanzi allo stesso Tribunale COGNOME, COGNOME, nonché le appaltatrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. o, in subordine, dell’art. 2043 cod. civ. – al risarcimento dei danni prodotti, per effetto della medesima frana, ad alcuni terreni di cui erano, rispettivamente, proprietario e affittuario (causa n. 2133/2003).
1.2. Riunite le due cause, non definitivamente pronunciando nella causa n. 1846/2003, il Tribunale di Teramo, con sentenza n. 180/2014, accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE dichiarando la concorrente e solidale responsabilità dei quattro convenuti, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ. , nella produzione dell’evento di danno; rigettava le domande riconvenzionali di risarcimento dei danni e di pagamento dei corrispettivi proposte da Cise s.r.lRAGIONE_SOCIALE; rigettava la domanda riconvenzionale di pagamento del prezzo elevata da RAGIONE_SOCIALE; disponeva – con separata ordinanza per l’ulteriore
istruzione e riservava alla sentenza definitiva la pronuncia sulle spese del giudizio.
1.3. Nella causa 2133/2003, definitivamente pronunciando, il Tribunale di Teramo accoglieva la domanda proposta dai due fratelli COGNOME dichiarando la concorrente e solidale responsabilità dei quattro convenuti ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., condannandoli a pagare a NOME COGNOME la somma di €. 509.988,30 e a NOME COGNOME la somma di euro 40.073,28.
1.4. La sentenza non definitiva del Tribunale di Teramo, n. 180/2014, veniva appellata da COGNOME, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE innanzi alla medesima Corte d’Appello che, con sentenza n. 1724/2019, affermava la responsabilità degli appellanti.
1.4.1. Nel successivo corso del giudizio, il Tribunale di Teramo, con sentenza definitiva n. 969/2014, condannava i quattro convenuti al risarcimento dei danni patiti dagli attori nella causa n. 1846/2003, liquidati in €. 388.340,64 per la RAGIONE_SOCIALE , e in €. 295.184,51 per NOME COGNOME; accoglieva le due domande di manleva, condannando le due assicurazioni (RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, per RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE) a tenere indenni i rispettivi assicurati, nei limiti dei rispettivi massimali.
Avverso la suddetta sentenza, con cinque distinti atti di citazione, proponevano appello COGNOME, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti e riproponendo le domande riconvenzionali avanzate in prime cure, con vittoria di spese del giudizio.
Si costituivano NOME COGNOME e la Azienda Casearia, chiedendo il rigetto dell’appello; Allianz s.p.a., deducendo di aver già pagato l’intero massimale di euro 46.481,40 e di non dover più corrispondere altro.
2.1. Riuniti i cinque gravami , la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 1725/2019 in epigrafe rigettava il gravame, condannando alle spese di lite NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; compensava le spese del secondo grado di giudizio tra Allianz s.p.a. e le altre parti; condannava, altresì, Generali s.p.a. a rimborsare le spese del secondo grado di giudizio a NOME COGNOME COGNOME.
La Corte, per quanto ancora di interesse, riteneva corretta la stima del danno subìto da NOME COGNOME e dalla s.n.c., effettuata dal Tribunale con un meccanismo di calcolo che assumeva come base la stima C.T.U., che a sua volta aveva tenuto conto di tutte le componenti di danno desumibili dai documenti prodotti e da circostanze accertate direttamente.
Avverso la pronuncia in epigrafe propone ricorso per cassazione NOME COGNOME COGNOME affidandolo a tre motivi e illustrandolo con memoria.
Resistono con separati controricorsi NOME COGNOME, l’ RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME. Restano intimate RAGIONE_SOCIALE, Generali s.p.aRAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, Allianz s.p.a.
In prossimità dell’adunanza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il Collegio rileva la tardività delle notifiche del controricorso a cura dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE, nonché del controricorso a cura di NOME COGNOME tenendo presente che l’applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario ( ex plurimis : Cass. Sez. L, Sentenza n. 32255 del 10.12.2019, Rv. 656008 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8395 del 24/04/2015, Rv. 635077 -01) comporta che il termine per notificare il ricorso per cassazione a mezzo posta (v. Corte costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002) ovvero a mezzo PEC (v. Corte costituzionale, n. 75 del 2019), ai sensi del l’art . 370, comma 1, cod. proc. civ. vigente ratione temporis , viene a scadere nel quarantesimo giorno successivo alla ricezione della notificazione del ricorso (Sez. 3, Sentenza n. 24639 del 03/12/2015, Rv. 638042 – 01).
1.1. Per quanto attiene al controricorso dell’RAGIONE_SOCIALE da Casearia, diversamente da quanto sostenuto nello stesso controricorso, la notifica del ricorso risulta in atti pervenuta in data 27.12.2019 (non il 17.01.2020 come sostenuto in controricorso: p. 2, rigo 7). Ne consegue che la data di scadenza della notifica del controricorso sarebbe stata il 05.02.2020, mentre essa risulta effettuata dall’Azienda Casearia in data 21.02.2020.
1.2. Quanto al controricorso di NOME COGNOME risulta in atti la notifica del ricorso sia avvenuta in data 30.12.2019, mentre il controricorso è stato a sua volta notificato in data 23.11.2020, ben oltre il termine stabilito dall’art. 370 , comma 1, cod. proc. civ.
1.3. Risultand o, quindi, elasso il termine all’uopo fissato dall’art. 370 del codice di rito, devono dichiararsi inammissibili il
contro
ricorso de ll’RAGIONE_SOCIALE e il controricorso di NOME COGNOME.
1.3.1. Altresì deve essere considerata inammissibile la memoria depositata da NOME COGNOME atteso che la parte che non ha notificato e depositato il controricorso nel termine fissato dall’art. 370 cod. proc. civ. ha facoltà di partecipare alla discussione ma non può depositare memorie (Cass. Sez, 2, n. 17471 del 20.08.2020).
1.4. Tanto precisato, s i può ora procedere all’esame del ricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ., nonché degli artt. 2043 e 2055 cod. civ. (art. 360, comma 1, n.3, cod. proc. civ.). Omesso esame di un fatto determinante ai fini della decisione ed in particolare: aver disatteso immotivatamente le risultanze della CTU che aveva evidenziato il ruolo di mero consulente e non di progettista dell’Ing. COGNOME (art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.). Il ricorrente lamenta la erronea applicazione della disciplina di cui agli artt. 1669, 2043 e 2055 cod. civ. alla figura professionale del ricorrente, il quale alcun ruolo attivo ha avuto nell’esecuzione dell’opera per cui è causa. Come riferito dal CTU nella sua relazione, ignorata dal giudice di seconde cure senza motivazione, l’Ing. COGNOME era un mero consulente, cui non era stato richiesto un progetto strutturale definitivo ed il successivo progetto esecutivo; in quanto tale, ha solo consegnato al committente NOME COGNOME un’ipotesi progettuale che, in osservanza del D.M. 11.03.88, si può limitare ad informazioni di carattere geologico e ai dati geotecnici deducibili in letteratura o ricavabili, come qui accaduto, da precedenti studi comunque pertinenti con i luoghi. Il progetto vero e proprio è quello dell’Ing. COGNOME, allegato alla DIA depositata presso gli uffici competenti del Comune di Teramo: ed è nel progetto definitivo esecutivo che devono essere presenti le
indagini geologiche basate su ricerche e studi recenti. Mentre, prosegue il ricorrente, alla committenza si devono imputare le cause del dissesto, in concorso con COGNOME, per il cattivo acquisto del materiale e per la non corretta realizzazione delle fondazioni delle terre rinforzate. Sostiene il ricorrente che l’Ing. COGNOME ha previsto e adottato una propria diversa soluzione, fornendo all’impresa – che le ha eseguite – sue specifiche indicazioni. Del resto, prosegue il ricorrente, quando si agisce nei confronti di un soggetto per responsabilità professionale si deve provare il contenuto del contratto e fornire la prova dell’ inadempimento del professionista in relazione al contenuto dell’incarico. Prove mai fornite da NOME COGNOME.
3. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ. e degli artt. 2043 e 2055 cod. civ., sotto altro profilo (art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.). Il ricorrente lamenta l’omissione in cui sarebbe in corso il giudice d’appello in merito alla suddivisione dei gradi di responsabilità, avendo attribuito al Bianco una responsabilità (solidale) parificata a quella di chi ha mal progettato in modo esecutivo l’opera, di chi ha fornito materiali inidonei e di chi ha mal diretto ed eseguito l’appalto, di chi (la committenza) ha fatto eseguire i lavori in modo avventato, imprudente e frettoloso, senza acquisire (tra l’altro) alcuna relazione geologica ai fini dell’intervento che intendeva attuare, né alcun progetto strutturale, né alcun calcolo di stabilità dell’opera. Il ricorrente contesta, altresì, le risultanze della seconda relazione del CTU, ritenendo erronee le nuove quantificazioni; in particolare, lamenta la macroscopica sproporzione tra la stima operata per l’emenda dei danni e il valore intrinseco dei beni cui i danni sono
riferiti. Inoltre, il ricorrente si duole in più punti dell’errata valutazione del quantum risarcitorio.
I primi due motivi non censurano la pronuncia impugnata, bensì altra pronuncia della medesima Corte d’Appello, la n. 1724/2019, citata in parte narrativa (punto 1.4.), resa a chiusura del procedimento di secondo grado avverso la sentenza (parziale) n. 180 del 03.01.2014 del Tribunale di Teramo, che confermava integralmente il giudizio di primo grado. Detta pronuncia d’appello (n. 1724/2020) è stata quasi integralmente riportata nella sentenza qui impugnata al solo fine di assicurare una «migliore comprensione della vicenda» (così la sentenza n. 1725/2020, p. 10, righi 4-5).
4.1. Come si legge nello stesso ricorso (p. 15, 1° capoverso), la sentenza n. 1724/2019 è già stata impugnata per la cassazione da NOME COGNOME COGNOME e i primi due motivi qui sopra riportati sono i motivi di impugnazione di detta sentenza innanzi a questa Corte, contro la quale pendeva il procedimento (recante RG 01734/2020) per il quale è stata notificata al ricorrente proposta di definizione accelerata.
4.2. Le questioni sollevate attengono alla responsabilità del ricorrente: esse sono state decise nel senso da lui contestato e attualmente sono coperte da un giudicato esterno (Corte d’Appello, sent. N. 1724/2019); sentenza passata in giudicato a seguito dell’estinzione del giudizio di cassazione RG 01734/2020 .
Pertanto, i primi due motivi devono qui essere dichiarati inammissibili.
Alla questione attinente alla liquidazione dei danni subìti da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE , che costituisce l’unico thema decidendum della sentenza n. 1725/2020 qui impugnata, è dedicato il terzo ed unico motivo di
ricorso, con il quale si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ. e degli artt. 2043 e 2055 cod. civ., sotto altro profilo (art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.). Il ricorrente ritiene che la relazione tecnica d’ufficio indichi in modo dettagliato, ma al contempo generico, le voci di quantificazione del danno assunte dal giudice d’appello per definire l’accollo a carico dei convenuti.
5.1. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Le deduzioni rese dal ricorrente alle p. 35 ss. del ricorso, laddove svolge « un’analisi attenta e meditata delle indicazioni fornite dal consulente» (v. ricorso p. 38, 2° capoverso), si risolvono in una serie di censure che non risultano integrare il n. 3) tra i motivi di ricorso previsti all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., ma si concretano in argomenti svolti sull’erroneo presupposto che il giudizio di legittimità costituisca il terzo grado del giudizio di merito, in palese violazione dell’art. 366, comma 1 , n. 4 cod. proc. civ.
Il ricorrente, infatti, si dilunga in osservazioni dettagliate sui costi inseriti dagli originari attori nelle fatture e da stralciare, sui soggetti cui queste ultime sono intestate, sulla detraibilità dell’IVA dai costi risultanti in fattura, sulla riconoscibilità del risarcimento, sull’entità della cubatura dei terreni danneggiati, sulla mancata riduzione del danno subìto da parte dei danneggiati.
Si tratta, come anticipato, di deduzioni meritali del tutto estranee al giudizio di legittimità proprio di questa Corte.
5.2. Vale la pena precisare che sul quantum dei danni subìti da NOME COGNOME l a Corte d’appello ha chiuso la sua motivazione in merito alla quantificazione del danno precisando che «Questo corretto meccanismo di calcolo assume come base la stima delle componenti di danno effettuata dal CTU il cui operato non merita censure, perché egli ha correttamente tenuto conto di tutte le
componenti di danno desumibili dei documenti prodotti o da circostanze che ha accertato direttamente» (p. 26, ultimo capoverso). Componenti del danno che sono precisate e chiarite in motivazione (p. 27).
5.2.1. Sulle singole questioni lamentate in ricorso -tra cui spiccano la mancata riduzione del danno subìto da parte dei danneggiati, nonché la mancata detrazione dell’IVA dalle fatture intestate alla s.n.c., non essendo essa un costo risarcibile, nuovamente sollevata in memoria dal ricorrente -si rileva l’inammissibilità per difetto di specificità, non avendo il ricorrente chiarito se si tratta di questioni già sollevate nei giudizi di merito e ivi tempestivamente contestate, atteso che la CTU qui contestata era stata disposta dal giudice di prime cure, sì da risolversi nell’omissione di pronuncia da parte del giudice di seconde cure (peraltro qui neanche censurata), o piuttosto in una questione nuova, inammissibile in questa sede.
Il n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ. impone, infatti, di indicare -a pena di inammissibilità – specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777).
5.2.2. Né si comprende quale sia la lamentata violazione di legge messa in atto dal giudice di seconde cure.
Giova, a tal proposito, ricordare che costituisce principio di diritto consolidato quello secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugn ato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esa tta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Nella fattispecie concreta si è al di fuori del perimetro del vizio e il rilievo critico, per come è formulato, attiene a profili meritali ed investe l’apprezzamento del materiale istruttorio, che è prerogativa del giudice di merito ( ex multis , Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7643 del 2024; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 -02; Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 -03; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016, Rv. 638425 -01).
6. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente NOME COGNOME che liquida in €. 7.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda