Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3187 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3187 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23066/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE rappresentat a e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
REGIONE CALABRIA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1324/2017 depositata il 07/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa e ragioni della decisione
RAGIONE_SOCIALE, in esecuzione dei contratto stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE nell’anno 201 1 -segnatamente in data 28 luglio 2011 – avendo erogato prestazioni socio-RAGIONE_SOCIALE in favore di anziani ritenuti meritevoli di cure e assistenza in base a provvedimenti della stessa RAGIONE_SOCIALE, chiedeva al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE la condanna, a titolo di saldo del corrispettivo o di indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c., della Regione Calabria al pagamento della quota del 50 % della retta giornaliera gravante sul RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE gestito dalla Regione, avendo l’RAGIONE_SOCIALE provveduto ad erogare la quota della restante parte della retta remunerata con fondi gestiti dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE medesime.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con ordinanza resa all’esito del procedimento di cui all’art. 702 ter c.p.c., accoglieva la domanda e condannava la Regione Calabria a corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 415.547,56, a saldo del corrispettivo dovuto per le prestazioni erogate, oltre alle spese del giudizio.
L’ordinanza anzidetta veniva impugnata dalla Regione Calabria innanzi alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE che, con sentenza n.1324/2017, pubblicata il 7.7.2017, riformava la decisione impugnata e rigettava la domanda proposta in primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE, escludendo che la Regione Calabria dovesse corrispondere somme sulla base di una convenzione della quale non era stata parte.
Nemmeno poteva ritenersi ammissibile la pretesa fondata su altro titolo negoziale indicato dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Secondo la Corte di
appello, in relazione alla consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sulla stessa questione giuridica alla quale era necessario dare continuità, non poteva ritenersi l’esistenza di un’obbligazione diretta di pagamento della Regione Calabria verso la RAGIONE_SOCIALE in forza della convenzione sottoscritta dalla stessa con l’RAGIONE_SOCIALE, alla quale l’ente RAGIONE_SOCIALE non aveva preso parte. Né le norme regionali invocate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE potevano consentire una diversa valutazione, dovendosi escludere tanto l’invocato litisconsorzio necessario con l’RAGIONE_SOCIALE che la fondatezza dell’azione di indebito arricchimento per assenza del requisito di sussidiarietà. La Corte di appello inoltre riteneva fondate le domande di restituzione delle somme versate alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed ai difensori distrattari della stessa in esecuzione della sentenza di primo grado, ritenendo che le ordinanze di assegnazione rese dal giudice nell’ambito del pignoramento presso terzi, in mancanza di prove di diverso tenore dovevano ritenersi giunte a buon fine. Secondo la Corte di appello doveva poi escludersi che in tale evenienza il difensore distrattario fosse contraddittore necessario nel giudizio di appello, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’AVV_NOTAIO, quale difensore distrattario delle spese del giudizio, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, al quale ha resistito la Regione Calabria con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 16.1.2024.
Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 1372 c.c., art.1, c. 10 d.l.n.324/1993, conv. dalla L. n. 423/1993. La Corte di appello, escludendo che la Regione Calabria fosse tenuta a corrispondere quanto richiesto dalla ricorrente RAGIONE_SOCIALE in quanto estranea alla convenzione sottoscritta con l’RAGIONE_SOCIALE, si sarebbe adeguata ad alcuni
precedenti disattendendo altre pronunzie anche a Sezioni Unite, senza per nulla considerare la portata precettiva dell’art.1 , c.10, d.l. n. 324 cit., dal quale si sarebbe dovuto desumere che la Regione Calabria era incaricata del pagamento delle rette in quanto ente finanziatore delle RAGIONE_SOCIALE. Avrebbe quindi errato la Corte di appello non solo nel ritenere ininfluente tale previsione normativa rispetto al caso di specie, per di più erroneamente invocando l’assenza di legislazione RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 1372, c.2 c.c., 17-18 L.R. Calabria n.22/2007, 41 c.4 L.R. Calabria n. 69/2012, L.R. Calabria n. 12/2015, L.R. Calabria n. 40/2016, 16 c.6, L.R. Calabria n. 44/2016. Secondo la ricorrente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la normativa RAGIONE_SOCIALE di riferimento sopra indicata, laddove prevedeva la copertura a carico della Regione Calabria dei debiti pregressi delle strutture che erogano servizi socio-sanitari da parte della Regione costituivano una sorta di interpretazione autentica in ordine all’esistenza di una precisa legittimazione passiva della regione Calabria rispetto alle quote socio-assistenziali coperte dal RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo un effetto diretto nei rapporti Regione/struttura privata, con ciò ponendosi in antitesi con i principi affermati dalla Corte di appello sulla base di quanto affermato da Cass. n. 11925/2017.
Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. e dell’art.1, c.10 , d.l. n. 324/1993, cit. Secondo la ricorrente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il ricordato art. 1, c. 10, impedirebbe di agire nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, ricorrendo dunque il requisito della sussidiarietà postulato dall’art. 2041 e 2042 c.c.
Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli art. 345, 352, 189, 153, c. 2, 294 c.p.c. e 24 Cost.
La Corte di appello, accogliendo la domanda di restituzione delle somme versate alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed ai suoi difensori in
adempimento dell’ordinanza di primo grado, avrebbe ritenuto erroneamente ammissibile la domanda e la produzione documentale in sede di precisazione delle conclusioni e in allegato alla comparsa conclusionale. La Corte di appello, in particolare, non avrebbe considerato che incombeva sulla parte richiedente l’onere di provare che il pagamento fosse avvenuto in epoca successiva alla proposizione dell’appello, non potendo valere la generica allegazione operata dalla Regione Calabria nel foglio di precisazione delle conclusioni del marzo 2017, dalla quale peraltro risultava che le ordinanze di assegnazione risalivano all’anno 2013 . Aggiunge che la generica produzione di documenti avvenuta in appello con deposito telematico in data 1.3.2017 doveva ritenersi tardiva, in assenza di alcun provvedimento ammissivo della produzione documentale.
Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 112 e 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. per assenza di motivazione laddove era stato ritenuto apoditticamente l’intervenuto pagamento delle somme sulla base della documentazione versata.
Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. La Corte di appello avrebbe di fatto posto a carico della ricorrente RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare che l’ordinanza di assegnazione delle somme non era andata a buon fine, incombendo invece alla Regione Calabria l’onere di provare l’intervenuto pagamento, violando i principi espressi da questa Corte in tema di valutazione degli indizi posti a fondamento di una domanda.
Con il settimo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva condannato il legale distrattario della ricorrente RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle spese distratte in quanto non parti del procedimento. La decisione impugnata avrebbe errato nell’esaminare la domanda di restituzione delle
spese distratte senza la presenza dei difensori come parti del processo, visto che il presupposto della domanda di restituzione concerneva l’avvenuto versamento delle somme da parte dei difensori e sullo stesso non sarebbe stato possibile provvedere in assenza degli stessi, altrimenti privandoli del diritto di interloquire sull’effettivo pagamento totale o parziale delle stesse sulle prove prodotte dalla parte soccombente in primo grado e sul diritto ad impugnare la statuizione sfavorevole sul punto eventualmente adottata dal giudice di appello.
Il primo, il secondo ed il terzo motivo , che meritano un esame congiunto stante la loro stretta connessione, sono infondati alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, di recente confermata da Cass.nn.22509-23012-26773-26750/2023 e alla quale è sufficiente rinviare per relationem al fine di ricostruire i passaggi che hanno condotto questa Corte a confermare la piena correttezza in diritto della sentenza impugnata, laddove ha escluso la responsabilità della Regione Calabria rispetto alla pretesa di strutture sociali azionate sulla base di contratti conclusi fra le stesse e la RAGIONE_SOCIALE.
In sintesi, può qui ribadirsi che sulla base del diritto vivente già ricordato e dell’unicità del precedente di segno opposto -Cass. n. 11258 dell’11/06/2020 -l’esclusione della legittimazione della Regione Calabria è stato nuovamente riaffermata di recente da numerose ordinanze di questa Corte-da Cass.34267/2023 -pure in tali circostanze evidenziandosi che l’art. 1, c. 10, d.l. n. 324/1993, conv. nella legge n. 423/1993, non può avere alcuna valenza nel caso di specie, non ravvisandosi alcun elemento di collegamento fra la posizione dell’incaricato al pagamento alla quale fa riferimento l’art.1 cit. e la posizione della Regione Calabria, esterna rispetto al soggetto –RAGIONE_SOCIALE ha concluso con la struttura privata la convenzione relativa alle prestazioni socioassistenziali- v.art.13, c.2, L.R. Calabria n.24/2008-.
D’altra parte, proprio l’accertata esistenza di un’azione contrattuale della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della parte contrattuale –RAGIONE_SOCIALE– è stata correttamente ritenuta ragione idonea ad escludere il profilo censorio in ordine alla prospettata violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. in ragione dell’esistenza di un titolo negoziale che la RAGIONE_SOCIALE può azionare nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE con la quale ha stipulato la convenzione, ciò incidendo, come ritenuto correttamente dal giudice di appello, sulla proponibilità dell’azione di indebito arricchimento in ragione dell’assenza del carattere della sussidiarietà-cfr.Cass.n.2350/2017, Cass.n.843/2020-.
Né può condurre a diversa soluzione l’esame delle disposizioni normative invocate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorrente concernenti provvedimenti legislativi relativi al riconoscimento di provvidenze finanziarie per debiti pregressi relativi a prestazioni socioRAGIONE_SOCIALE erogate dalla Regione Calabria come già chiarito nei precedenti sopra ricordati -Cass.nn.22509-23012-26773-26750/2023, Cass.34267/2023-.
Sulla base di tali considerazioni i motivi di ricorso qui esaminati vanno rigettati.
Il quarto, il quinto ed il sesto motivo , per ragioni di ordine logico meritano un esame congiunto.
Ora, va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte -Cass. S.U. 13 giugno 1989, n. 2841hanno ritenuto che l’azione di restituzione di somme pagate in base alla sentenza d’appello poi annullata (e più in generale l’azione di restituzione o riduzione in pristino che in relazione alle “prestazioni eseguite” venga proposta, a norma dell’art. 389 cod. proc. civ., dalla parte vittoriosa nel giudizio di cassazione) non è riconducibile nello schema della condictio indebiti , perché si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza. Analoga natura giuridica è stata riconosciuta alla richiesta di restituzione delle somme, corrisposte in esecuzione della sentenza di primo
grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata. Ne consegue che il presupposto di tale domanda di restituzione è dato dall’avvenuta corresponsione delle somme, in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, mentre la natura è quella ripristinatoria della situazione qua ante . Ciò comporta che tale richiesta deve essere formulata, a pena di decadenza, con l’atto di appello, se proposto successivamente all’esecuzione della sentenza, essendo invece ammissibile la proposizione nel corso del giudizio soltanto qualora l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione. Resta in ogni caso inammissibile la domanda di restituzione proposta con la comparsa conclusionale in appello, atteso che tale comparsa ha carattere meramente illustrativo di domande già proposte, non rilevando in contrario che l’esecuzione della sentenza sia successiva all’udienza di conclusioni ed anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle comparse (Cass. civ., Sez. 3^, 08/08/2002, n. 12011; Cass. civ., Sez. 3^, 03/08/2004, n. 14816).
Orbene, nel caso di specie risulta dalla sentenza impugnata che la domanda di restituzione azionata dalla Regione Calabria venne proposta in sede di precisazione delle conclusioni e sotto questo profilo va esclusa, alla luce della giurisprudenza appena ricordata, la tardività della stessa. Quanto alla dimostrazione del fatto che l’assegnazione sia avvenuta in epoca successiva alla proposizione dell’atto di appello, la censura è priva di autosufficienza, non avendo la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorrente dimostrato che gli atti dalla stessa allegati al ricorso per cassazione corrispondano alle ordinanze di assegnazione prodotte dalla Regione Calabria che la stessa ha inserito nei proprio atti processuali, dai quali risultano ordinanze di assegnazione a carico della Regione Calabria da quest’ultima depositate in Cancelleria della Corte di appello in epoca anteriore alla precisazione delle conclusioni (ma successiva
all’appello proposto) alle quali si riferisce il foglio depositato in data 1.3.2017, contestuale alla precisazione delle conclusioni. Tanto più che la RAGIONE_SOCIALE contestò in appello il mancato pagamento delle somme recate dagli atti di precetto e le ordinanze di assegnazione allegate al foglio di precisazione delle conclusioni senza specificamente contestarne la posteriorità-v.pag.6, penultimo cpv. sent.impugnata, ove si riportano le conclusioni dell’appellata -.
Per altro verso ancora, del tutto irrilevante risulta la censura relativa alla asserita tardività del deposito telematico delle ordinanze di assegnazione, recanti date successive alla pendenza dell’atto di appello, che la Regione Calabria aveva allegato unitamente al foglio di conclusioni, al cui interno l’ente RAGIONE_SOCIALE aveva espressamente indicato la circostanza che si trattava di provvedimenti successivi alla proposizione dell’appello
Per il resto, la censura è in realtà rivolta a censurare le valutazioni espresse dalla Corte di appello in ordine alla avvenuta dimostrazione dell’incasso delle somme dalla parte vittoriosa in primo grado e dunque è inammissibile, rispondendo al minimo costituzionale -Cass.S.U. n.8053/2014-.
Quanto al vizio di nullità della sentenza per assenza di motivazione (quinto motivo) la censura è inammissibile, rispondendo la decisione impugnata al c.d. minimo costituzionale in punto di motivazione- cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014- dopo che la Corte di appello ha specificamente indicato gli elementi posti a sostegno dell’accoglimento della domanda di restituzione, non avendo peraltro l’obbligo di indicare tutt e le prove scrutinate.
Nemmeno coglie nel segno il sesto motivo censurandosi, in definitiva, non già una violazione del principio dell’onere della prova da parte della Corte di appello, ma inammissibilmente la valutazione degli elementi di prova ponderati dal giudice di appello nell’ambito dei poteri allo stesso riservati, insuscettibili di essere
valutati dal giudice di legittimità al di fuori delle ipotesi di cui al n.5 dell’art. 360 c.1 c.p.c.
Il settimo motivo è infondato.
Ed invero, questa Corte ha ritenuto che l’istanza di distrazione delle spese processuali consiste nel sollecitare l’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali e non introduce, dunque, una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale; ne consegue da un lato che non sono applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti e che l’impugnazione della sentenza non deve essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benché il capo della sentenza reso sull’istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell’ambito dell’unico rapporto processuale, dall’altro che il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benché non evocato personalmente in giudizio conf. Cass . n. 25247 del 25/10/2017, Cass. n. 9062/2010-. Proprio Cass. n.9062/2010 ha poi dato atto che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il difensore distrattario assume la qualità di parte, sia attivamente che passivamente, esclusivamente quando sorga controversia sulla distrazione e cioè quando la sentenza impugnata non abbia pronunciato sull’istanza di distrazione o l’abbia respinta, o quando il gravame investa la pronuncia stessa di distrazione (Cass., nn. 8458/95, 5664/98, 3356/99, 3624/01, 12104/03, f 20321/05, 4792/06, 20531/08). In base a tale indirizzo, dunque, corroborato da Cass., nn. 762/62, 1910/62, 4378/85, 11912/1992, il proRAGIONE_SOCIALEtore distrattario è parte limitatamente al capo di pronuncia con il quale gli sono state
attribuite le spese ed alle censure che tale capo specificamente e direttamente investono, e che è dunque legittimato a partecipare in proprio al giudizio d’impugnazione soltanto se, con questo, sia investito il capo di pronuncia concernente la distrazione e nei limiti ed ai fini di tale censura.
Orbene, la Corte di appello si è pienamente conformata ai principi sopra succintamente ricordati.
Nessuna violazione di ordine processuale del tipo di quella prospettata dal legale distrattario ricorrente può dunque profilarsi. E ciò proprio per quanto specificato da Cass. n. 9062 del 15/04/2010, la quale ha osservato che “l’istanza di distrazione non è rivolta “contro” l’altra parte e non introduce dunque una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale. Ne consegue che non sono applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti, e che l’impugnazione della sentenza non deve essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benché il capo della sentenza reso sull’istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell’ambito dell’unico rapporto processuale”.
Tale statuizione ha così evidenziato la coerenza della soluzione adottata rispetto a quanto si verifica con riguardo alla stessa pronuncia (poi riformata) che ha disposto la distrazione; anch’essa produttiva di effetti diretti nei confronti del proRAGIONE_SOCIALEtore distrattario, ancorché non parte del giudizio: “così come il difensore non è parte nel giudizio benché l’art. 93 c.p.c., preveda che il giudice possa condannare la controparte soccombente al pagamento delle spese direttamente in suo favore, allo stesso modo non lo diventa se, disposta la distrazione ed effettuato dal soccombente il pagamento, questi richieda in appello la riforma della sentenza per motivi che non si appuntino specificamente contro l’attribuzione delle spese al difensore della parte vittoriosa, ma attengano invece alla causa
quale si è svolta tra le parti del rapporto controverso. In tal caso il distrattario subisce, ai fini restitutori, gli effetti della riforma in peius della sentenza di primo grado (salvo il diritto a percepire dalla parte assistita quanto abbia dovuto restituire all’altra), come del diverso esito della causa in quel grado si era avvantaggiato ai fini della distrazione”.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, c. 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, c. 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio per che liquida in favore della Regione Calabria in euro 10.200,00 per compensi, comprensivi di esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, c. 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile della