Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5339 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 5339 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9203/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Procuratore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonchè contro CITTA’ METROPOLITANA DI RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco Metropolitano, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata-
Avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di RAGIONE_SOCIALE n. 4510/2019 depositata il 15/11/2019.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2023 dalla AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito l’AVV_NOTAIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro stradale occorso in data 2 agosto 2010.
A fondamento della propria pretesa deduceva che, mentre era alla guida della propria autovettura, andava ad impattare contro un cane di grossa taglia che attraversava improvvisamente la carreggiata e, nel tentativo di evitare l’improvviso ostacolo, sterzava, ma senza riuscire ad evitare la collisione con il cane. A seguito dell’impatto la vettura riportava dei danni. Chiedeva quindi che il giudice accertasse l’esclusiva responsabilità degli enti convenuti.
Si costituivano in giudizio gli enti convenuti e l’RAGIONE_SOCIALE ai fini della manleva della RAGIONE_SOCIALE.
Il Giudice di Pace di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 2862/2014, disponeva l’estromissione dal giudizio della RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE, accoglieva la domanda formulata da NOME COGNOME e condannava il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento della somma di Euro 912 oltre gli interessi, fermo tecnico e le spese legali.
La decisione è stata confermata dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 4510/2019, depositata il 15 novembre 2019, che rigettava la censura relativa all’erroneità della sentenza impugnata per aver addebitato al RAGIONE_SOCIALE, e non già all’attore, l’onere, nella specie ritenuto non assolto, di provare l’assenza di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c..
Riteneva poi che la responsabilità del controllo del randagismo era concentrata in capo al RAGIONE_SOCIALE, in quanto soggetto passivo dell’obbligo di prevenire le offese che potessero derivarne alla sicurezza, all’incolumità pubblica, all’igiene e al decoro cittadino.
Pertanto, la responsabilità dell’ente pubblico convenuto derivava dall’aver consentito l’insorgere delle condizioni che avevano provocato l’evento lesivo con un comportamento negligente, consistito essenzialmente nella mancata predisposizione di adeguate misure organizzative dirette alla prevenzione e controllo dei cani vaganti e alla cattura dei medesimi come richiesto dalla legge che ove fossero stati messi in atto avrebbero scongiurato la verificazione dell’evento. Tale condotta omissiva integrava una violazione della doverosa diligenza normalmente esigibile dal RAGIONE_SOCIALE nell’adempimento dei compiti individuati dal legislatore, nello specifico volti ad evitare che animali randagi potessero arrecare danni alle persone nel territorio di competenza di cui è espressione l’art. 2043 c.c..
Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione, sulla base di due motivi, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Resistono con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME. La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
3.2. Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c..
La sentenza impugnata sarebbe errata in quanto ha ritenuto provata la responsabilità del comune ex art. 2043 c.c., pur in assenza di qualsivoglia prova, che era onere del COGNOME fornire nel giudizio, di un comportamento colposo ascrivibile al RAGIONE_SOCIALE. Infatti, l’attore si limitava ad affermare la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE ex artt. 2043 e 2055 c.c. sul solo presupposto della presunta appartenenza della strada al RAGIONE_SOCIALE, ma senza riferire in
nessun modo la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE per fatti colposi ad esso riferibili.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c..
La sentenza impugnata sarebbe errata, in quanto non è stata fornita alcuna prova della sussistenza di responsabilità ex art. 2043 c.c. del comune, ma è stata pronunciata in ragione di un’errata interpretazione dell’art. 2051 c.c., che prevede una responsabilità oggettiva disancorata dalla colpa.
I due motivi, congiuntamente esaminati, sono infondati.
Occorre premettere che l’accertamento della responsabilità per i danni derivanti dal randagismo presuppone l’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione di questo fenomeno (tra le altre, Cass. 18954 del 2017; Cass. n. 17060 del 2018; Cass. n. 9671 del 2020; Cass. n. 17679 del 2020; Cass. n. 9621 del 2022).
Ai fini dell’individuazione dell’ente su cui grava l’obbligo giuridico di ‘recupero’, ‘cattura’ e ‘ricovero’ dei cani randagi – stante la ‘neutralità’, al riguardo, della legge statale (legge quadro 14 agosto 1991, n. 281) – occorre analizzare la normativa primaria (sostanzialmente regionale) caso per caso (cfr., oltre alle citate Cass. n. 17060 del 2018 e 9671 del 2020, Cass. n. 19404 del 2019 e Cass. n. 32884 del 2021).
Nel caso di specie, la Legge applicabile è quella RAGIONE_SOCIALE Siciliana n. 15/2000, all’art. 14, dove si prevede che i comuni singoli o associati, direttamente o in convenzione con enti, privati o associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’Albo regionale provvedono alla cattura dei cani vaganti con sistema indolore e senza ricorrere all’uso di tagliole, di bocconi avvelenati o di pungoli. Non è consentita la cattura di cani vaganti o randagi a soggetti diversi dagli addetti a tale servizio (v. ex aliis Cass. 18/05/2017, n.
12495; 26/06/2017, n. 15167; 25/09/2018, n. 22546; 18/07/2019, n. NUMERO_DOCUMENTO).
5.1. Fatta tale premessa, occorre ribadire che la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi, diversa per quella prevista per la fauna selvatica protetta (tanto che alla prima non può applicarsi il diverso regime definitivamente elaborato da questa Corte per la seconda fin da Cass. 7969/20, costantemente ribadito in seguito), pur essendo disciplinata dalla regola generale di cui all’art. 2043 c.c. trova fondamento, prima ancora che nell’accertamento della colpa dell’ente preposto, in quello, preliminare, dell’esistenza in capo ad esso di un obbligo giuridico avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività vincolata in base alla legge (la cattura dell’animale randagio).
Non possono trovare applicazione le regole di cui all’art. 2052 cod. civ., in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2018, n. 17060; Cass. Sez. 3, ord. 31 luglio 2017; n. 18954, nello stesso senso si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 11 dicembre 2018, n. 31957).
Ma non basta che la normativa regionale individui nel RAGIONE_SOCIALE il soggetto (o meglio: uno dei soggetti) avente(i) il compito di controllo e di gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi (tra le più recenti cfr. Cass. 28/06/2018, n. 17060; Cass. 14/05/2018, n. 11591; Cass. 31/07/2017, n. 18954), occorrendo che chi si assume danneggiato, in base alle regole generali, alleghi e dimostri il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e la riconducibilità dell’evento dannoso al
mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva.
L’applicazione dell’art. 2043 c.c., in luogo di quella di cui all’art. 2052 c.c., quest’ultimo ritenuto invocabile nelle ipotesi in cui ricorre non tanto la proprietà (tant’è che in essa incorre anche il semplice utente) quanto il potere/dovere di custodia, ossia la concreta possibilità di vigilanza e controllo del comportamento degli animali (Cass. 25/11/2005, n. 24895), impone, infatti, che la responsabilità dell’ente si affermi solo previa individuazione del concreto comportamento colposo ad esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell’evento dannoso.
Entro questo perimetro va verificato il tipo di comportamento esigibile volta per volta e in concreto dall’ente preposto dalla legge al controllo e alla gestione del fenomeno del randagismo, sì da dedurne la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile, quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo.
Premessa la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, essendo esso un evento puramente naturale, la esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che, per imputare a titolo di colpa un evento dannoso, non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.
Non basta, invero, che un evento sia prevedibile per imputarne il verificarsi a titolo di colpa a chi ha un obbligo di controllo,
occorrendo anche che esso sia evitabile, in considerazione delle circostanze soggettive e oggettive del caso concreto.
Ne deriva che è onere di colui che agisca facendo valere la responsabilità omissiva altrui quello di dimostrare o almeno di allegare la ricorrenza di una colpa non solo specifica – violazione del precetto ma anche generica, in quanto postulante l’indagine circa le modalità concrete della condotta attraverso i criteri di prevedibilità ed evitabilità.
Non a caso, in concreto, questa Corte ha ritenuto che per affermare la responsabilità dell’ente preposto sia necessaria la prova dell’esigibilità di uno specifico comportamento attivo idoneo, ove opportunamente adottato, ad evitare l’evento.
Si è detto, esemplificando, che il danneggiato avrebbe dovuto provare che era stata segnalata al comune la presenza abituale di animali randagi nel luogo dell’incidente, lontano dalle vie cittadine, ma rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, ovvero che vi fossero state nella zona richieste d’intervento dei servizi di cattura e di ricovero, demandati alla RAGIONE_SOCIALE e al RAGIONE_SOCIALE, rimaste inevase.
E tanto nell’ottica che, se bastasse, per invocarne la responsabilità, l’individuazione dell’ente preposto alla cattura dei randagi ed alta custodia degli stessi, la fattispecie cesserebbe di essere regolata dall’art. 2043 c.c. e finirebbe per essere del tutto disancorata dalla colpa, rendendo la responsabilità dell’ente una responsabilità sottoposta a principi analoghi se non addirittura più rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c.
Pertanto, alla pubblica amministrazione viene infatti imputata una responsabilità di tipo omissivo, per violazione di uno specifico obbligo giuridico, nella cui esistenza trova fondamento il carattere antigiuridico della condotta omissiva dell’ente, nel senso che l’efficienza causale dell’omissione rispetto all’evento dannoso
diventa giuridicamente rilevante ai fini dell’imputazione della lesione in presenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, in conformità al disposto dell’art. 40, secondo comma, c.p. (così, in particolare, Cass. n. 17060 del 2018, cit.).
5.2. Ne deriva che in tema di danni causati da cani randagi, una volta individuato -alla stregua della normativa nazionale e regionale applicabile -l’ente titolare dell’obbligo giuridico di recupero degli stessi, il danneggiato è chiamato a provare soltanto che l’evento dannoso rientri nel novero di quelli che la regola cautelare omessa mira ad evitare, e solo una volta che l’ente abbia, a propria volta, dimostrato di essersi attivato rispetto a tale onere cautelare, sarà tenuto ulteriormente a dimostrare (anche per presunzioni) l’esistenza di segnalazioni o di richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi (Cass. n. 32884/2021; Cass. 3737/2023).
L’onere del danneggiato è quello di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi, valorizzato da questa Corte con pronuncia dalla quale il collegio non intende discostarsi (Cass. 31/07/2017, n. 18954), rimane a valle dell’onere del soggetto tenuto per legge alla predisposizione di un servizio di recupero di cani randagi abbastanza articolato di provare di essersi attivato rispetto all’onere cautelare previsto dalla normativa regionale.
Nel caso di specie, il servizio di recupero dei cani randagi grava, come detto, sul RAGIONE_SOCIALE e la domanda risarcitoria è fondata su un fatto che costituisce concretizzazione del rischio che la norma cautelare mirava ad evitare. E, poiché l’osservanza della norma cautelare implica l’approntamento di un servizio organizzato, spettava al RAGIONE_SOCIALE dedurre e dimostrare di avervi dato compiuta osservanza in base ai principi generali in materia di nesso di causalità e di responsabilità colposa.
Secondo il giudice dell’appello tale onere non è stato assolto dal RAGIONE_SOCIALE ricorrente (cfr. sentenza impugnata pag. 5) e la responsabilità dell’ente pubblico convenuto derivava dall’aver consentito l’insorgere delle condizioni che avevano provocato l’evento lesivo con un comportamento negligente, consistito essenzialmente nella mancata predisposizione di adeguate misure organizzative dirette alla prevenzione e controllo dei cani vaganti e alla cattura dei medesimi come richiesto dalla legge che ove fossero stati messi in atto avrebbero scongiurato la verificazione dell’evento.
Tale argomento della corte territoriale -se del caso, in tali sensi interpretatone il tenore testuale complessivo, pure alla luce degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sopra riassunti -sorregge adeguatamente la conclusione della responsabilità dell’ente territoriale e non è idoneamente censurata, né potrebbe il relativo apprezzamento di fatto essere utilmente contestato nella presente sede di legittimità, sicché la gravata sentenza finisce col resistere alle doglianze sviluppate nei suoi confronti.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il RAGIONE_SOCIALE ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che liquida per ciascuno in euro 600,00, oltre 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali, ed in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE in euro 800,00, oltre 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza