Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9149 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9149 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4801/2020 R.G. proposto da: AVV_NOTAIO NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso d sé stessa (c.f. CODICE_FISCALE; pec EMAIL);
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati-
avverso SENTENZA di TRIBUNALE ASCOLI PICENO n. 487/2019 depositata in data 1/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Ritenuto che
1.- NOME COGNOME ed NOME COGNOME erano proprietari di un immobile in Acquasanta Terme, dal quale sono cadute alcune tegole che hanno provocato danni ad un edificio limitrofo, di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché ad una vettura parcheggiata sotto, di proprietà di NOME COGNOME.
Entrambi i danneggiati, ossia i proprietari della casa limitrofa e quello della vettura, hanno agito separatamente contro COGNOME e COGNOME, i primi per un danno di circa 500 euro, il secondo per un danno di 1470 euro circa.
2.- I due procedimenti sono stati riuniti.
3.- Si è costituito in giudizio il solo NOME COGNOME per dichiarare che NOME COGNOME, usufruttuaria dell’immobile, era deceduta sin da prima della notifica della citazione e per contestare nel merito la domanda, con l’argomento che, a causa del forte vento di quel giorno, le tegole ben potevano essere cadute dal tetto di un’altra casa anziché dalla sua.
4.- Il Giudice di Pace di Ascoli Piceno ha rigettato le due domande, dopo aver riunito le cause, ritenendole sfornite di prova.
5.- Contro questa decisione ha proposto appello il solo NOME COGNOME, ossia il proprietario della vettura danneggiata ed il Tribunale di Ascoli Piceno lo ha accolto, riconoscendogli la somma di 1427,00 euro per i danni subiti.
6.- Qui ricorre la sola erede NOME COGNOME con otto motivi di ricorso, illustrati da memoria. Nessuno degli intimati si è costituito.
Considerato quanto segue.
7.- Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2909 c.c., oltre che degli articoli 752 e 979 c.c.
La tesi è la seguente.
Poiché la NOME era già deceduta al momento della citazione, avrebbero dovuto essere convenuti direttamente i suoi eredi, mai citati, e nei cui confronti è stata però decisa la condanna al risarcimento.
Nello stesso momento in cui si fa questa affermazione (p. 12), si sostiene però che i convenuti, poi condannati, in realtà, non sono eredi della COGNOME (‘a ciò si aggiunga che nessun rapporto di successione esiste tra la defunta NOME COGNOME e le convenute’, p.
12), e si conclude che il giudice di merito ha dunque errato a condannarli pro quota, come se si trattasse di una comunione ereditaria.
Il motivo è inammissibile.
A parte la contraddizione in cui è posto e di cui si è detto, innanzitutto il motivo di censura postula un diverso accertamento di fatti qui impossibile: che i convenuti siano o meno eredi della usufruttuaria. In secondo ordine, non è neanche detto che tali questioni siano state poste in primo grado, dove pure erano già sorte (essendo la COGNOME deceduta prima della citazione) e se siano state riproposte poi in appello. Ed in realtà non risulta che lo siano state.
In altri termini, la ricorrente si limita a sostenere che il rapporto processuale non si è mai costituito nei confronti di COGNOME NOME e che i suoi eredi non sono stati mai convenuti in giudizio, senza tuttavia riportare il contenuto qui rilevante di alcuni atti pure indicati in ricorso (atto di integrazione del contraddittorio a seguito del provvedimento del Giudice di Pace del 7.10.2009, ricorso ex art. 302 e ss. c.p.c. e i successivi e conseguenti atti di costituzione) e senza indicare dove siano tali atti in questa sede reperibili (Sez. U. n. 22726 del 3/11/2011), con conseguente inammissibilità ex art. 366, n. 6, c.p.c.; neppure è indicato il tenore del richiamato provvedimento del Giudice di Pace.
8.- Il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 332 c.p.c.
Come si è detto, inizialmente, ad agire per i danni erano due distinti soggetti: il proprietario della casa vicina ed il proprietario della vettura. Queste due cause sono state poi riunite. Ma solo il proprietario della vettura ha fatto poi appello, quello della casa limitrofa no.
Secondo la ricorrente, il proprietario della vettura avrebbe dovuto notificare l’appello anche all’altro danneggiato (proprietario della casa limitrofa) in quanto le cause, a seguito della riunione, erano diventate inscindibili.
Il motivo è infondato.
E’ principio di diritto che ‘La sentenza del giudice di appello, il quale abbia omesso di disporre la notificazione dell’impugnazione anche ai soggetti per i quali sia ancora possibile l’impugnativa, è suscettibile di essere cassata dalla Corte di cassazione soltanto se, al tempo della decisione di quest’ultima, non siano ancora decorsi i termini per l’appello, non producendo diversamente l’inosservanza dell’art. 332 c.p.c. alcun effetto.’ (Cass. 13465/ 2023; Cass. 17868/ 2007)
9.- Il terzo motivo prospetta violazione degli articoli 164 e 165 c.p.c. e ss.
Sostiene la ricorrente che, nel corso del giudizio di appello, il giudice ha rilevato che la citazione era mancante di alcune pagine; ha dunque rinviato perché si sanasse l’irregolarità, che è stata poi sanata.
Secondo la ricorrente, però, l’appellante si è costituto depositando la copia incompleta dell’appello, e dunque in maniera inammissibile, e ciò non è stato rilevato.
Il motivo è inammissibile.
Che l’atto di appello sia stato depositato (ancorché incompleto) lo si evince dal provvedimento del Giudice, riportato a p. 14 del ricorso, sicché non corrisponde al vero quanto indicato nel terzultimo capoverso della pagina del ricorso già indicata né vengono indicati elementi temporali da cui evincere una tardiva costituzione dell’appellante.
Comunque, la ricorrente non specifica quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dall’incompletezza dell’originale dell’atto, stante la completezza di quello notificato.
Inoltre, la causa è stata portata a conoscenza del Giudice, ratio della norma, questa, ad avviso della stessa ricorrente, e dalla medesima espressamente indicata.
Neppure risulta precisato se la questione sia stata sollevata dalla ricorrente nel corso del giudizio di appello: non se ne fa menzione nella sentenza impugnata e neppure è stato precisato se la ricorrente, difesa da sé medesima, si sia opposta alla ‘sanatoria’ informale disposta con i procuratori presenti all’udienza del 18.6.2019 (v. ricorso p. 10) (V. Cass., sentenza n. 21381 del 30/08/2018).
10.- Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 301 c.p.c.
La tesi è che il difensore dell’appellante, ossia di NOME COGNOME, ha chiesto ed ottenuto sospensione dall’albo.
La circostanza avrebbe dovuto determinare l’interruzione automatica del processo, che invece il giudice ha omesso di dichiarare.
Il motivo è inammissibile.
E ciò per difetto di interesse in quanto la sospensione riguarda il difensore della controparte. E’ principio di diritto che ‘ La morte, la radiazione e la sospensione dall’albo dell’unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito determinano l’automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altri parti non ne hanno conoscenza, con preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza, la quale può essere impugnata per tale motivo, ma solo dalla parte colpita dagli eventi sopra descritti, poiché le norme che disciplinano l’interruzione sono finalizzate alla sua esclusiva tutela.’ (Cass. 23486/ 2021; Cass. 1574/ 2020).
11.- Il quinto motivo prospetta violazione dell’articolo 2051 c.c.
Secondo la ricorrente il giudice di merito avrebbe ritenuto responsabile il proprietario della casa, pur non avendo costui la custodia, in quanto mero nudo proprietario, senza curarsi della prova liberatoria.
Il motivo è inammissibile.
Intanto lo è perché mira a contestare un giudizio di fatto: che il COGNOME non avesse comunque la disponibilità del bene, la sua custodia. Lo è soprattutto in quanto il giudice ha ritenuto la responsabilità non già per danni da omessa custodia (2051 c.c.) ma sulla base dell’articolo 2043 c.c. (p. 2: ‘ l’azione è fondata espressamente ai sensi dell’articolo 2043 c.c. ‘).
Inoltre, non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. 640/ 2019).
Stessi argomenti valgono per l’ipotesi, fatta dalla ricorrente, ma non riscontrabile nella motivazione, che la responsabilità sia stata affermata ex articolo 2053 c.c.
12.- Il sesto motivo prospetta violazione dell’articolo 116 c.p.c. La censura riguarda la valutazione delle prove da parte del giudice di merito, e soprattutto di quelle testimoniali, in base alle quali è stato ricostruito l’evento.
Secondo la ricorrente, v’è violazione del criterio giuridico del ‘più probabile che no’ valido anche nel caso delle prove, in quanto il giudice di merito avrebbe ritenuto attendibili le prove stimando come ‘non impossibili’ le situazioni in esse descritte.
Con ciò violando la regola per cui la prova è attendibile se descrive una situazione probabile, non già ‘non impossibile’.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, ‘in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.’ (Cass. Sez. Un. 20867/ 2020)
13.- Il settimo motivo prospetta omesso esame di un fatto controverso e decisivo.
Secondo la ricorrente, mentre il preventivo per danni è stato fatto all’attore, la macchina risultava però di proprietà di soggetto diverso e comunque era un preventivo non saldato e reso a due anni di distanza.
Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso, innanzitutto, non è chiaro se in appello si sia effettivamente discusso, o meglio, se la ricorrente abbia posto la questione nei gradi di merito e in particolare in appello: non la trascrive né indica dove l’avrebbe posta in quel grado di giudizio, con la conseguenza che non può parlarsi di un fatto, discusso e controverso, di cui il giudice non si è occupato.
Ad ogni modo, anche in tal caso si tratta della ricostruzione di un fatto, qui non censurabile.
Comunque il fatto di cui si lamenta l’omesso esame sarebbe costituito dal non essere il COGNOME proprietario dell’auto (v. ricorso p.22). Trattasi però di fatto non decisivo (v. Cass. 12215/03). Per completezza, in relazione all’IVA e alla non ancora effettuata riparazione, si richiama il principio affermato, tra le altre, da Cass.1688/10 e 22580/22.
A quanto precede va aggiunto che ben poteva il Giudice di appello considerare il preventivo di spesa quale elemento di prova per la formulazione del suo convincimento e che, all’evidenza, il ‘notoriamente’ indicato nella sentenza impugnata non va inteso come riferimento al notorio in senso tecnico, e cioè ‘come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile’, in cui non possono conseguentemente rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati estimativi, ma come mero riferimento a conoscenza diffusa.
Comunque, anche le doglianze in relazione agli aspetti appena indicati finiscono per far riferimento inammissibilmente a questioni di fatto.
14.L’ottavo motivo prospetta violazione degli articoli 111 e 112 c.p.c.
La ricorrente sostiene che le convenute (eredi o altro di COGNOME e COGNOME NOME) avevano fatto presente che la metà dell’immobile , ossia la quota parte di NOME COGNOME, era stata alienata con atto pubblico del 2016 a NOME COGNOME e che dunque, loro due, in quanto eredi di NOME, dovevano essere estromesse dal giudizio: in pratica è come dire che l’immobile da cui è derivato il danno è diventato di proprietà di un terzo, dunque è costui ad essere passivamente legittimato, non già l’originario proprietario, dante causa, o i suoi eredi.
Il motivo è infondato.
Ognuno vede la stranezza di questo ragionamento. La causa ha ad oggetto un fatto di responsabilità civile, ossia un credito per i danni, e non già la proprietà o un qualche diritto sull’immobile. E’ chiaro che l’autore del fatto illecito resta obbligato al danno anche se vende il bene da cui è derivato il danno. La successione qui non opera, poiché non è controverso un diritto sul bene alienato, diritto che segue quel bene e dunque si trasferisce in capo all’acquirente,
ma è controversa una responsabilità civile, ossia una responsabilità da condotta illecita, nella quale non subentra l’acquirente del bene.
Il ricorso va dunque rigettato. Nessuna pronuncia sulle spese, in ragione della mancata costituzione degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Roma 19.1.2023
Il Presidente