Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27688 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22342/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME NOME‘;
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME;
-intimato-
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27688 Anno 2025
Presidente: GRAZIOSI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1563/2023, depositata il 17/7/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/9/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME:
FATTI DI CAUSA
1. – NOME COGNOME ed NOME COGNOME convennero in giudizio NOME COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, in qualità di costruttore e venditore, e il geometra NOME COGNOME, in qualità di progettista e direttore dei lavori, per sentirli condannare al pagamento della somma di euro 49.402,95, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno subito in occasione dell ‘ operazione di ristrutturazione e vendita delle unità abitative, vendute loro in data 17 giugno 2004.
Gli attori addussero che, con i contratti di compravendita da loro individualmente stipulati con il venditore, quest ‘ ultimo avesse garantito che le unità immobiliari e loro alienate ed il fabbricato in cui erano ubicate fossero ‘costruiti a regola d’ arte, nel rispetto delle regole della buona tecnica edilizia e delle leggi e regolamenti in materia’ e che il venditore si fosse impegnato a conseguire e consegnare agli acquirenti il relativo certificato di abitabilità.
Dopo l ‘ acquisto, gli attori, con distinti preliminari di compravendita, si erano a loro volta obbligati ad alienare le predette due unità immobiliari ad altrettanti compratori, da ciascuno dei quali avevano ricevuto caparra confirmatoria dell ‘ importo di euro 5.000.
Tuttavia, al momento di concludere i contratti definitivi di compravendita con i terzi, questi appurarono che il rilascio del certificato di abitabilità per gli appartamenti era stato impedito in ragione del fatto che, all ‘ interno del fabbricato ristrutturato, erano stati realizzati sei appartamenti piuttosto che cinque, in difformità rispetto a quanto previsto dalla concessione edilizia, rilasciata dal
Comune di Correggio nel 2001, con conseguente incommerciabilità degli immobili acquistati.
A causa di ciò, gli attori sostennero di essere stati costretti a risolvere i due contratti preliminari di compravendita stipulati e a restituire ai promissari acquirenti le caparre versate, oltre che, per quanto riguardava la posizione della COGNOME, una somma ulteriore, pari al doppio della caparra, in forza del disposto dell ‘ art. 1385 c.c.
Entrambi gli attori lamentarono, infine, di aver dovuto sostenere i costi della sanatoria, il cui importo ammontava complessivamente ad euro 44.402,95.
1.1.- Si costituì in giudizio il geom. NOME COGNOME per chiedere il rigetto della domanda attorea spiegata nei propri confronti, sostenendo di aver svolto il proprio operato in conformità al mandato ricevuto dalla ditta costruttrice e alle norme vigenti in materia urbanistica, nonché eccependo che gli attori avessero stipulato il rogito d ‘ acquisto dei due appartamenti oggetto di causa consapevoli del fatto che i lavori di ristrutturazione di tali unità abitative non fossero ancora terminati.
Il convenuto sostenne, inoltre, che nei suddetti rogiti era il venditore ad essersi obbligato ad ottenere la certificazione di abitabilità; quindi, solo a quest ‘ ultimo poteva essere imputata la responsabilità per il mancato conseguimento di detta certificazione.
1.2. – NOME COGNOME, invece, rimase contumace.
1.3. – L ‘ adito Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza n. 929/2013, accolse le domande degli attori, condannando solidalmente NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento in loro favore della somma di euro 49.402,96, oltre interessi, rivalutazione monetaria e rimborso delle spese di lite.
Ad avviso del Tribunale, infatti, la mancata consegna agli attori da parte del venditore del certificato di abitabilità, relativo agli appartamenti compravenduti, nonché il rilascio del predetto certificato in seguito alla domanda di sanatoria di COGNOME e
COGNOME, i quali avevano personalmente sostenuto le relative spese, erano circostanze idonee a fondare sia la responsabilità contrattuale a carico del COGNOME per l ‘ inottemperanza all ‘ obbligo gravante sul venditore ai sensi dell ‘ art. 1477 c.c., sia la concorrente responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., per violazione del principio del neminem laedere , in capo al geom. COGNOME.
2.- Proponeva gravame NOME COGNOME, chiedendo la riforma in punto di accertamento della responsabilità nei propri confronti.
Per il rigetto dell ‘ appello si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME; rimaneva contumace NOME COGNOME.
2.2. – La Corte di appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 17 luglio 2023, accoglieva l ‘ impugnazione e, per l ‘ effetto, riformava la sentenza di primo grado con riferimento alla posizione dell ‘ appellante.
In particolare, la Corte territoriale riteneva che il danno patito dagli appellati era riconducibile a gravi inadempienze precontrattuali e contrattuali poste in essere dal costruttore/venditore COGNOME, non imputabili al geom. COGNOME.
Il giudice di appello rilevava inoltre, incidenter , che condotte negligenti e imperite degli appellati avevano concorso alla produzione del danno, giacché al momento dell ‘ acquisto i suddetti, ai quali il geometra era totalmente estraneo, erano a conoscenza non solo della mancanza del certificato di abitabilità, ma pure della necessità di ulteriori adempimenti per ottenerlo. Malgrado ciò, gli originari attori avevano stipulato un contratto di compravendita di un immobile privo di abitabilità, affrettando i tempi a causa delle difficoltà economiche in cui versava la ditta costruttrice, senza svolgere alcun tipo di controllo o verifica, nonostante la predetta situazione finanziaria del venditore, per poi rivendere i beni a terzi senza svolgere alcun tipo di accertamento e senza attendere il rilascio del certificato di abitabilità dal venditore.
La Corte territoriale riteneva che vi fosse stata l’ interruzione del nesso di causalità, ai sensi dell ‘ art. 41, secondo comma, c.p., tra il fatto (aumento della volumetria) ed il danno (costi della sanatoria). A tal riguardo, sosteneva che, nonostante al momento della realizzazione delle irregolarità edilizie il COGNOME e il COGNOME, suo progettista e direttore dei lavori, si fossero accordati per la realizzazione di una maggiore volumetria dell ‘ immobile con l ‘ intenzione di chiedere, successivamente, la variante in sanatoria circostanza non realizzatasi a causa del dissesto economico dell ‘ impresa costruttrice -, la compravendita era stata la concretizzazione di un rischio esorbitante l ‘ area di rischio originaria, che il geometra era chiamato a gestire, connessa alla realizzazione della maggior volumetria, quindi limitata a tutte le conseguenze connesse all ‘ abuso e non estesa anche alle attività successive e scollegate all ‘ abuso edilizio realizzato.
La Corte territoriale affermava, infatti, che il geom. COGNOME, al momento della realizzazione della maggior volumetria dell ‘ immobile, non avrebbe potuto sapere che: 1) il COGNOME non avrebbe attivato la procedura di concessione in sanatoria, pur essendo già pronta la variante in corso d ‘ opera; 2) che lo stesso avrebbe venduto gli appartamenti senza sanatoria e senza abitabilità; 3) che terze persone avrebbero acquistato gli appartamenti privi di abitabilità e senza svolgere alcun accertamento sulla regolarità degli stessi; 4) che il venditore, dopo essersi impegnato nell ‘ atto di compravendita ad ottenere l ‘ abitabilità, venisse meno ai suoi obblighi contrattuali.
Il giudice di secondo grado, dunque, riteneva che le responsabilità concorsuali del venditore e del suo direttore dei lavori connesse all ‘ abuso riguardassero un momento anteriore dell ‘ esecuzione dell ‘ appalto, e non invece i danni successivamente patiti dagli acquirenti.
3.Ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidando le sorti dell ‘ impugnazione a tre motivi.
Resiste con controricorso il AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO.
Non ha svolto attività difensiva l’intimato NOME COGNOME.
-Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.p.r. n. 380/2001, 2055, 2043 e 1669 c.c., nonché, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., la violazione dell ‘ art. 113 c.p.c., per non aver la Corte territoriale tenuto conto della natura extracontrattuale della responsabilità del progettista e direttore dei lavori, valorizzando piuttosto la circostanza che l ‘ unico rapporto esistente al momento della realizzazione degli abusi era quello tra il COGNOME, proprietario/costruttore, con il COGNOME, suo progettista e direttore dei lavori.
I ricorrenti, invocando un arresto di questa Suprema Corte (Cass. n. 9620/2023), affermano che il giudice di appello avrebbe errato nell ‘ applicazione della disciplina di cui all ‘ art. 1669 c.c., poiché la responsabilità, ai sensi di detta norma, può essere fatta valere anche dall ‘ acquirente nei confronti del costruttore, e che lo stesso art. 1669 c.c. è ritenuto pacificamente applicabile anche al progettista/direttore dei lavori il cui inadempimento abbia concorso a determinare il difetto dell ‘ opera e, conseguentemente, il danno, potendosi in tal caso ravvisare nei suoi confronti la sussistenza di una responsabilità solidale ex art. 2055 c.c.
A sostegno della censura è, inoltre, richiamata una pronuncia di questa Corte, resa in sede penale (segnatamente Cass. pen. n. 2833/2019), in cui si è affermato che, ai sensi dell ‘ art. 29, secondo comma, d.p.r. n. 380/2001 il direttore dei lavori può venire esentato da responsabilità solo ‘qualora abbia contestato agli altri
soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire con esclusione delle varianti in corso d ‘ opera, fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa’, con la precisazione che, nei casi di ‘totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all ‘ incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente’.
I ricorrenti si dolgono del fatto che, nel caso di specie, il progettista non abbia svolto nessuno di tali adempimenti, tra i quali non può annoverarsi la semplice predisposizione di una variante in sanatoria in corso d ‘ opera. Viceversa, tale circostanza è stata arbitrariamente valorizzata dalla Corte d’appello , che l ‘ ha assunta a fondamento della propria decisione in violazione dell ‘ art. 113 c.p.c.
Si osserva, infine, che l ‘ esonero da responsabilità del progettista/direttore dei lavori che tolleri o contribuisca alla realizzazione di opere totalmente difformi dal permesso di costruire, in violazione della normativa urbanistica, non possa fondarsi sulla ‘promessa’ dell’ eventuale futuro deposito di una variante in sanatoria, il cui contenuto non solo non sia mai stato vagliato dai competenti uffici comunali, ai fini della sua futura approvazione, ma non sia nemmeno conoscibile da parte dei soggetti terzi, che, a vario titolo, abbiano interesse a conoscere l ‘ effettivo stato dell ‘ immobile, cui essa si riferisce.
1.1.- Il motivo è inammissibile, perché eccentrico.
La Corte territoriale non ha negato la natura aquiliana della responsabilità del progettista/direttore dei lavori, né ha escluso la sua responsabilità per l ‘ abuso edilizio ( id est l ‘ aumento di volumetria in difformità rispetto alla concessione edilizia).
La ratio decidendi su cui, invece, si fonda l ‘ impugnata sentenza, e in particolare l ‘ esclusione della responsabilità dell ‘ appellante, si basa non sulla valorizzazione dell ‘ intenzione del
direttore dei lavori di produrre la variante in sanatoria, bensì sull ‘ interruzione del nesso di causalità tra il fatto causativo del danno, ovvero l ‘ abuso edilizio, da lui commesso in concorso con il COGNOME, e il danno subito dagli appellati.
Infatti, la Corte territoriale ha affermato testualmente (p. 7 della sentenza di appello): ‘ Ecco, quindi, che il nesso di causalità fra il fatto (aumento della volumetria) ed il danno (costi della sanatoria) è interrotto da molteplici fattori, non potendo certo immaginare il geom. COGNOME, nel momento in cui realizzava la maggior volumetria dell ‘ immobile (ed in cui non esisteva alcun rapporto con i futuri acquirenti), che 1) il COGNOME non avrebbe attivato la procedura di concessione in sanatoria, pur essendo già pronta la variante in corso d ‘ opera; 2) che lo stesso avrebbe venduto gli appartamenti senza sanatoria e senza abitabilità; 3) che terze persone avrebbero acquistato gli appartamenti privi di abitabilità e senza svolgere alcun accertamento sulla regolarità degli stessi; 4) che il venditore, dopo essersi impegnato nell ‘ atto di compravendita, ad ottenere l ‘ abitabilità, venisse meno ai suoi obblighi contrattuali.
In tema di concorso di cause, l ‘ ambito di operatività dell ‘ art. 41, comma 2, c.p. è circoscritto ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass. pen. n. 32507/2019), nel caso di specie, in effetti, il rischio originario connesso alla realizzazione della maggior volumetria era quello che il Comune sospendesse i lavori, revocasse la licenza edilizia concessa, ordinasse la demolizione del manufatto ecc., insomma tutte conseguenze connesse all ‘ abuso realizzato ed ai soggetti coinvolti al momento della commissione, laddove non può essere ricondotta al rischio originario la compravendita dell ‘ immobile non sanato, lucidamente posta in essere, con tutte le circostanze poc ‘ anzi elencate.
Non v ‘ è dubbio, quindi, che la responsabilità del danno lamentato dagli attori sia attribuibile al costruttore e venditore COGNOME NOME, e che vi abbiano concorso anche l ‘ imprudenza e negligenza degli acquirenti, che hanno inteso acquistare in tutta fretta in quelle condizioni, mentre non possono essere ricondotte al geom. COGNOME le gravi mancanze del COGNOME e l ‘ imprudenza degli appellati, attività successive e scollegate all ‘ abuso edilizio realizzato ‘.
Orbene, individuata la ratio decidendi nei menzionati passaggi motivazionali, emerge chiaramente che l ‘ intenzione del COGNOME di riservarsi di depositare una variante in sanatoria sia stata oggetto di un apprezzamento della Corte solo incidentale, non interferente invece in alcun modo con le statuizioni determinanti l ‘ esito decisorio.
2. – Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., per aver la Corte territoriale fondato la propria decisione su postulati desunti travisando il contenuto oggettivo delle prove acquisite agli atti.
In particolare, la prima conclusione che, ad avviso dei ricorrenti, viene evinta travisando il contenuto delle prove è che il geom. COGNOME e il costruttore COGNOME si fossero accordati per la realizzazione della maggiore volumetria dell ‘ immobile, con l ‘ intenzione di chiedere, successivamente, la variante in sanatoria.
Si sostiene, quindi, che di tale circostanza non vi fosse prova, dato che l ‘ appellante si era solo limitato ad affermare genericamente di aver pronta una variante in sanatoria, allegando di non aver potuto presentarla in ragione dell ‘ impossibilità di contattare la ditta costruttrice, nonché della circostanza che quest ‘ ultima non avesse denaro per far fronte al pagamento degli oneri connessi alla presentazione della suddetta variante. Ciò, dunque, non avrebbe consentito di ritenere provata l ‘ esistenza di
una condivisione di intenti tra il COGNOME ed il COGNOME, tanto rispetto alla realizzazione dell ‘ abuso, quanto rispetto alla sua sanatoria in corso d ‘ opera.
Il secondo erroneo postulato su cui si fonda la decisione è che la concessione della sanatoria, a fronte della presentazione di quella variante, dovesse essere valutata come un dato certo, argomentando sulla base del fatto che gli acquirenti l ‘ avessero successivamente ottenuta, nonostante tale variante non fosse mai stata presentata dal COGNOME.
Inoltre, la Corte territoriale avrebbe erroneamente accertato che vi fosse consapevolezza di essi attori oltre che della mancanza del certificato di abitabilità, anche della necessità di ulteriori adempimenti per ottenerlo; ciò che era, invece, escluso dalla testimonianza del AVV_NOTAIO e dall ‘ esame obiettivo di entrambi gli atti di compravendita.
Da ultimo, i ricorrenti si dolgono che anche il riferimento all ‘ intervento nella vicenda del loro legale, AVV_NOTAIO, fosse distorto rispetto alle emergenze probatorie. Nello specifico, affermare che ” L ‘ AVV_NOTAIO adoperandosi per accelerare i tempi della compravendita, richiese l ‘ inserimento della clausola, all ‘ interno di entrambi gli atti notarili per cui incombeva sul venditore l ‘ onere di ottenere il certificato di abitabilità mancante al momento della stipula ” sarebbe stata un ‘ evidente forzatura interpretativa della deposizione resa dal AVV_NOTAIO, che si era limitata ad affermare che fosse un ‘ operazione obiettivamente molto strana, richiesta espressamente e con urgenza dall ‘ AVV_NOTAIO.
2.1.- Il motivo è inammissibile.
Il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre soltanto in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell ‘ informazione probatoria al fatto probatorio; deve dunque trattarsi di un errore percettivo radicale e oggettivamente verificabile, e deve essere tale da
incidere in modo diretto e certo sull ‘ esito della decisione (S.U. n. 5792/2024; Cass. n. 13085/2025).
Con la censura in esame i ricorrenti, a ben vedere, si dolgono dell ‘ apprezzamento del materiale probatorio effettuato dal giudice di merito, e non del difetto di percezione del suo contenuto oggettivo delle prove acquisite agli atti. Pertanto, il motivo sollecita una rivalutazione della tesi ricostruttiva scelta dalla Corte territoriale, a seguito della valutazione delle prove, che è ben lungi dal poter integrare gli estremi del travisamento del contenuto oggettivo della prova. E ciò anche a prescindere dall ‘ ulteriore -e di per sé dirimente rilievo – che la suddetta valutazione del materiale probatorio non ha interferito con la ratio decidendi che sorregge la decisione, la quale – come si è detto e ancora si verrà a ribadire – è basata sull ‘ interruzione del nesso di causale, e rispetto alla quale la ricostruzione in questi termini del materiale probatorio è stata inconferente.
3.- Con il terzo motivo è prospettata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 41, secondo comma, c.p., 1669, 1477 e 1490 c.c., nonché, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., per non aver la Corte territoriale fatto buon governo della regola giuridica da cui dedure l ‘ interruzione del nesso di causalità tra il fatto illecito (aumento della volumetria) e l ‘ evento dannoso (costi della sanatoria e conseguenti), decidendo in base all ‘ errato presupposto che la vendita abbia dato origine ad un ‘rischio nuovo’ (ascrivibile unicamente alla ‘libera condotta negoziale’ di venditore e acquirente), rispetto al ‘rischio originario’ (ascrivibile, invece, al progettista/direttore dei lavori e al costruttore/venditore), per effetto dell ‘ errata percezione del materiale probatorio.
I ricorrenti sostengono che le due circostanze, da cui la Corte di merito avrebbe individuato la ‘causa sopravvenuta’ interruttiva del nesso causale, sarebbero: la conoscenza degli abusi da parte
degli appellati, circostanza dedotta per effetto del travisamento della prova; l ‘ impegno da loro assunto nei confronti di terzi subacquirenti alla consegna del certificato di abitabilità.
Tuttavia, avallare tale interpretazione significherebbe dispensare dalla responsabilità i progettisti e direttori dei lavori per il solo fatto che gli immobili, oggetto delle opere da loro progettate e dirette, siano stati venduti.
Una simile soluzione non terrebbe conto delle pronunce (si cita in ricorso Cass. n. 9620/2023) che, pur non affrontando la questione in modo specifico, hanno statuito sulle responsabilità di progettista/direttore dei lavori indipendentemente che fosse intervenuta o meno la vendita degli immobili realizzati in modo abusivo, nonché delle pronunce (Cass. n. 14378/2023, Cass. n. 8700 /2016) che hanno affermato la suddetta responsabilità pure nei confronti degli acquirenti, con ciò implicitamente escludendo la rilevanza dell ‘ intervenuto rogito di compravendita quale causa di interruzione del nesso causale tra il fatto illecito e l ‘ evento dannoso, al quale avesse partecipato anche il progettista/direttore dei lavori.
3.1.- I ricorrenti, infine, sostengono che la circostanza per cui gli atti di compravendita non rivesto no il ruolo di ‘causa sopravvenuta’ debba valere anche nelle ipotesi in cui i rogiti di compravendita contengano il richiamo all ‘ obbligo di consegna del certificato di abitabilità gravante sul venditore.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Giova premettere che, ai sensi dell ‘ art. 41, secondo comma, c.p., per ‘causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l ‘evento’, deve intendersi una causa completamente autonoma e indipendente dalla condotta con la quale è stata innescata l ‘ originaria serie causale.
Tale causa deve essere avulsa dal comportamento dell ‘ agente.
Secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte, infatti, l ‘ interruzione del nesso causale si configura quando la con-causa, oggettivamente definita, costituisca fattore introduttivo di un rischio nuovo rispetto a quello che il danneggiante è chiamato a governare e, pur innestandosi nella catena causale già in atto, dia origine a una nuova sequenza causale autonoma, capace da sola di determinare l ‘ evento dannoso.
Solo in presenza di queste caratteristiche la nuova causa sopravvenuta può essere considerata anche fonte di rischio eccentrico rispetto a quello attivato dal fattore casuale antecedente, e quindi idonea a vanificare l ‘ efficienza eziologica della condotta originaria rispetto all ‘ evento dannoso.
Ne consegue che si verifica l ‘ interruzione del nesso causale, a seguito del comportamento di un terzo, soltanto quando l ‘ azione o l’ omissione di quest ‘ ultimo assurga a causa unica ed esclusiva dell ‘ evento, così da rendere giuridicamente irrilevante la condotta pregressa dell ‘ agente originario, sterilizzandone l ‘ incidenza causale.
In tal caso, infatti, la nuova serie causale, generata da un fattore di rischio eccentrico rispetto a quello originario, attivato dalla condotta che assorbe e neutralizza, degrada la condotta dell ‘ agente a semplice occasione del danno. Ciò comporta l ‘ esclusione della responsabilità di chi aveva originariamente innescato la catena causale, poiché l ‘ evento si è prodotto per effetto esclusivo della nuova causa autonoma, dotata di efficacia interruttiva.
Si tratta, quindi, di un ‘ ipotesi in cui il legame eziologico originario viene reciso non per assenza di collegamento materiale, ma perché la nuova causa, intervenuta successivamente e sufficientemente autonoma, si impone come causa esclusiva giuridicamente rilevante del danno (Cass. n. 8096/2006; Cass. n. 23915/2013; Cass. n. 4662/2021; Cass. n. 21464/2025).
Diversamente, non si verifica l ‘ interruzione del nesso causale quando il processo causale avviato dal primo autore è ancora in atto e in evoluzione. In questo scenario, l ‘ illecito iniziale rimane il fatto generatore (Cass. n. 18094/2005; Cass. n. 19180/2018; Cass. n. 18956/2025).
Il che, a ben vedere, è quanto accaduto nel caso di specie.
Invero, la Corte territoriale viene ad escludere il nesso di causalità tra l ‘ abuso edilizio e il danno occorso agli odierni ricorrenti valorizzando circostanze soggettive, sganciate da elementi oggettivi, che consentano di individuare un fattore casuale alternativo all ‘ abuso.
Nella specie, il fatto generatore del danno era e resta indubbiamente l ‘ abuso, la cui riferibilità causale nei confronti del geom. COGNOME è stata pacificamente accertata dal giudice di merito.
Ciò posto, e vista la natura aquiliana (art. 2043 c.c.) della responsabilità del progettista/direttore dei lavori nei confronti degli aventi causa del committente/costruttore, il suo comportamento può essere considerato una causa diretta e concorrente del danno, ancorché non esclusiva.
In definitiva, risultando incontroversa la responsabilità del geometra per l ‘ abuso edilizio, non assume rilievo la circostanza (meramente soggettiva) che il progettista affermi di non essere stato a conoscenza della vendita o delle trattative ad essa relative: quel che rileva è l ‘ esistenza di un nesso eziologico oggettivo tra la sua condotta e il danno lamentato.
Id est , la vendita dell ‘ immobile (o altro atto dispositivo) non costituisce una causa sopravvenuta autonoma e sufficiente a interrompere il rapporto causale, bensì ne rappresenta un momento determinante, che realizza uno dei rischi che il progettista è chiamato a governare (Cass. n. 15358/2024).
L ‘ argomentazione apoditticamente svolta dalla Corte territoriale nel valorizzare l ‘ estraneità del geometra rispetto agli
acquirenti (cfr. pp. 6 e 7 della sentenza di appello) trascura, inoltre, il fatto che la sua condotta abbia comunque concorso, in modo oggettivamente rilevante, alla lesione subita dagli acquirenti stessi, ancorché soggetti esterni al contratto.
In particolare, nel caso in esame, questi ultimi avevano subito un pregiudizio oggettivo a causa della violazione delle norme edilizie. Infatti, dopo aver acquistato il bene ad un prezzo – dal quale evidentemente non erano stati scontati gli oneri per la sanatoria dell ‘ abuso -, hanno sopportato questi costi ulteriori per far fronte ad un vizio che, peraltro, ha inevitabilmente compromesso pure la commerciabilità dei beni, costringendo gli attori a risolvere i preliminari di compravendita stipulati con terzi e a sostenerne i relativi esborsi.
Dunque, la violazione urbanistica non solo ha inciso direttamente sulla possibilità di utilizzo economico dei beni venduti, ma costituisce anche l ‘ elemento che salda il nesso causale tra la condotta abusiva e il danno. Ne deriva che la vendita non recide il rapporto causale, né lo degrada a causa remota dell ‘ illecito in pregresso abuso, ma attualizza un rischio ad esso connesso e come tale pienamente imputabile pure al direttore dei lavori.
Non è quindi possibile estromettere dall ‘ area di rischio, attivata dalla condotta illecita del COGNOME, le conseguenze dannose occorse ai terzi aventi causa del committente.
Infatti, sebbene tale condotta sia stata svolta nell ‘ ambito di un ‘ attività strumentale e preliminare rispetto ai rogiti di compravendita stipulati dal costruttore con odierni ricorrenti, l ‘ anteriorità temporale non esclude l ‘ antecedenza logico-giuridica, in quanto il fatto generatore del danno occorso agli acquirenti rimane l ‘ abuso, non costituendo detti danni un imprevedibile sviluppo di esso, poiché la loro derivazione causale si rintraccia nell ‘ area di rischio innescata dalla violazione urbanistica.
La Corte territoriale, in conclusione, viene ad argomentare le ragioni dell ‘ accoglimento dell ‘ appello sulla base di un difetto di prevedibilità soggettiva del danno (art. 1225 c.c., che non trova applicazione nel territorio della responsabilità extracontrattuale: art. 2056 c.c.), piuttosto che sul difetto della sua oggettiva riferibilità causale all ‘ illecito, non individuando un obiettivo fatto causativo alternativo all ‘ abuso causativo del danno, che non può essere rappresentato dalla compravendita, la quale ha integrato soltanto un ‘ occasione affinché l ‘ illecito perpetrato sprigionasse i propri effetti pregiudizievoli nei confronti di terzi.
Ed invero il danno avrebbe potuto evitarsi qualora il geometra, in qualità di corresponsabile dell ‘ abuso, ne avesse richiesto la sanatoria, ai sensi dell ‘ art. 36 d.p.r. n. 380/2001, a nulla rilevando che a tale adempimento non abbia provveduto il costruttore COGNOME.
-Va, pertanto, accolto il terzo motivo di ricorso, nei termini innanzi precisati, mentre devono essere rigettati i restanti motivi.
La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Bologna, in diversa sezione e diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati, dovendo provvedere, altresì, alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso per quanto di ragione, disattesi gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME