Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32711 Anno 2024
SENTENZA
sul ricorso n. 9594/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) dal quale è rappresentato e difeso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
Civile Sent. Sez. 3 Num. 32711 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
– intimati –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi universali di NOME, domiciliati presso l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti –
nonchè
COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, domiciliati ex lege presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti e ricorrenti incidentali – avverso la sentenza n. 4711/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 2/10/2020; udita la relazione della causa svolta nella udienza del 7/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi:
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano davanti al Tribunale di Roma NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, originariamente proprietari di due immobili successivamente frazionati in quattro e dai quali gli attori li avevano acquistato
appunto per frazioni, chiedendone il risarcimento dei danni per la vendita essendo risultati carenti di valido frazionamento.
I convenuti si costituivano, resistendo, e ottenevano di chiamare i geometri NOME COGNOME e NOME COGNOME, che avevano incaricato di compiere i frazionamenti, e che pure si costituivano resistendo.
Il Tribunale, con sentenza del 23 giugno 2016, riteneva fondata la domanda attorea non risultando frazionabili gli immobili al momento in cui furono divisi, e condannava quindi gli alienanti a pagare ai compratori il costo della pratica di frazionamento, degli oneri amministrativi e delle sanzioni amministrative, e altresì condannava i suddetti geometri a tenere indenni i convenuti da tali esborsi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello, cui resistevano gli acquirenti degli immobili; si costituivano anche gli alienanti, chiedendo che, in accoglimento dell’appello COGNOME, divenuto principale, e di proprio appello incidentale adesivo, fosse respinta la domanda risarcitoria degli acquirenti con loro condanna alla restituzione di quanto conseguentemente ottenuto; in subordine, qualora fossero stati respinti entrambi gli appelli, chiedevano la conferma della manleva. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2 ottobre 2020, rigettava sia l’appello principale sia l’appello incidentale, condannando gli appellanti principali a rifondere le spese agli appellanti incidentali e questi ultimi a rifondere le spese agli acquirenti appellati.
NOME COGNOME ha proposto ricorso principale; NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono difesi con controricorso includente anche ricorso incidentale condizionato al mancato accoglimento del ricorso principale e ricorso incidentale adesivo al primo e al secondo motivo del ricorso principale; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME nonché gli eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME,
NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono difesi con controricorso avverso il ricorso principale. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Assunta la causa in decisione all’adunanza camerale del 6 dicembre 2023, con ordinanza interlocutoria si è disposta ex articolo 291 c.p.c. la rinnovazione della notifica del ricorso principale e la rinnovazione della notifica del ricorso incidentale a NOME COGNOME, rimettendo la causa a nuovo ruolo; inserita in pubblica udienza, entrambe le notifiche sono state correttamente espletate.
Il COGNOME è rimasto intimato.
Ha depositato memoria il PG, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prendendo le mosse dal ricorso principale, il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c. in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., errore di percezione ed errata applicazione delle norme in tema di valutazione degli atti pubblici.
4.1 Gli attori avevano agito lamentando ‘di essersi trovati costretti -successivamente all’acquisto -a sanare a loro spese il frazionamento eseguito da parte dei loro danti causa siccome non adeguatamente supportato dagli atti amministrativi posti in essere’. Tuttavia le parti avevano nel giudizio ‘in più riprese dibattuto … circa la documentazione tecnica e amministrativa depositata’ e in particolare su una nota prodotta dall’attuale ricorrente con cui il direttore del Municipio VIII del Comune di Roma avrebbe attestato la legittimità della presentata DIA.
Il che era stato richiamato pure nell’atto d’appello sempre dell’attuale ricorrente, come segue: ‘Se è vero, com’è vero, che lo stesso Comune di Roma ha, infatti, decretato apertis verbis la bontà dell’operato dei tecnici (e quindi anche dei venditori) è conseguentemente ancor più vero che non aveva senso intraprendere (o proseguire) un giudizio per ottenere l’addebito in
capo a terzi di una nuova domanda di sanatoria del tutto inutile e pleonastica’.
A questo la Corte d’appello ha così risposto: ‘ La circostanza che il Comune di Roma abbia ritenuto la sopravvenuta assentibilità della ristrutturazione compiuta mediante frazionamento … non contraddice la conferma e le unità immobiliari sono state in origine indebitamente frazionate … ‘; in tal modo, secondo il ricorrente, sarebbe ‘incorsa in un’evidente errore di percezione della prova documentale offerta (e mai dalle controparti contestata)’.
D’altronde, il documento proviene dalla pubblica amministrazione, per cui avrebbe dovuto essere valutato come atto pubblico ex articolo 2699 c.c.
4.2 Il motivo è infondato, in quanto quel che denuncia come commesso dal giudice d’appello non è un errore di percezione, bensì evidentemente l’interpretazione di un elemento presente nella complessiva ricostruzione della vicenda. Non si vede, poi, come possa valutarsi ex articolo 2699 c.c. il vaglio del giudice di merito in ordine appunto a una valutazione giuridica, attinente alla legittimità della DIA.
La Corte d’appello , invero, effettua appunto una ricostruzione della vicenda che ha ritenuto confermare la fondatezza della pretesa degli appellati, i quali avevano addotto di essersi trovati in una situazione amministrativa non corretta all’epoca dell’acquisto, essendo i frazionamenti originariamente invalidi e solo per una sopravvenuta strumentazione urbanistica accessibili ad un procedimento di sanatoria (sentenza, pagine 3 s.). Da questa ricostruzione il motivo estrapola, in modo palesemente forzato e quindi inaccettabile, la frase (tra l’altro incompleta) di cui sopra, così tentando di confonderla con un errore di percezione del giudicante, laddove invece manifesta soltanto una valutazione espressa nell’ambito della descrizione della vicenda amministrativa.
Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 100 c.p.c. e 21 novies l. 241/1990 in relazione all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c.
5.1.1 Si sostiene di aver denunciato, in più punti dell’atto d’appello, l’assenza di interesse ad agire in capo agli attori, e ciò in base alla ‘vicenda fattuale’ composta da alcune circostanze: il fatto che il Comune non avrebbe ‘mai agito né sanzionato il comportamento dei tecnici, né … ordinato il ripristino dello status quo ‘, il fatto che il Comune stesso abbia confermato la legittimità del frazionamento – e qui è subito ravvisabile un riferimento al documento su cui si è argomentato nel primo motivo -, il fatto che gli attori non avrebbero ‘mai addotto alcun concreto pregiudizio’, il fatto che l’avvio del giudizio di primo grado deriverebbe da un parere ricevuto da un tecnico privato di procedere alla sanatoria del frazionamento e il fatto che quando fu avviato il giudizio sarebbero già decorsi oltre diciotto mesi dalla presentazione della DIA e dal frazionamento senza che il Comune avesse revocato o messo in discussione la sua legittimità.
Tutte queste circostanze, ‘dedotte da questa difesa e mai smentite dalle controparti’, avrebbero dovuto indurre il giudice d’appello ‘a chiedersi quale concreto interesse avessero gli attori all’esito del giudizio, in relazione all’articolo 100 c.p.c.’. In particolare, ‘l’ultima delle circostanze indicate’ avrebbe ‘dovuto condurre ad una delibazione di totale assenza di interesse giuridicamente apprezzabile in capo agli attori’, i quali, poiché ‘la norma richiamata avrebbe comunque impedito al Comune di Roma di annullare d’ufficio il provvedimento formatosi (anche ai sensi del c.d. silenzio assenso), per decorrenza del relativo termine’, non avrebbero subito alcun pregiudizio ‘dall’eventuale -e denegataillegittimità della Dia.
5.1.2 Il motivo, che in questa parte può definirsi un primo submotivo, lamenta una mancata considerazione da parte del
giudice d’appello di determinati elementi che lo avrebbero dovuto condurre ad applicare l’articolo 100 c.p.c. nel senso di riconoscere l’assenza di concreto interesse di chi avviò la causa.
Poiché si tratta, tuttavia, di una deduzione che avrebbe dovuto porre in essere, appunto, il giudice d’appello, ciò avrebbe dovuto derivare, a tacer d’altro, da un motivo del gravame diretto a criticare una specifica parte della decisione del primo giudice. Al contrario, tale motivo non è indicato, né nella illustrazione appena riassunta di questa censura, né nella premessa del ricorso (intitolata ‘Fatto, diritto e svolgimento del processo’). Non ricorre, pertanto, la necessaria specificità che consenta alla presente censura di essere ammissibile.
5.2.1 Segue un ulteriore gruppo di argomentazioni definibile secondo submotivo: una volta affermato, dopo quel che si è sopra riassunto, che il giudice d’appello avrebbe ‘male applicato i principi e le norme di diritto richiamate in rubrica che avrebbero, invece, dovuto condurre ad una sentenza di rigetto delle domande avanzate’, il ricorrente indica come contrario a ciò un passo della sentenza impugnata (‘La sentenza del Tribunale ha espressamente escluso dal risarcimento del danno il rimborso per ulteriori oneri per la pratica di sanatoria, sicché è del tutto irrilevante da parte degli appellanti dedurre l’inutilità di una nuova domanda di sanatoria.
Parimenti inconferente è l’affermazione per cui il frazionamento, ancorché illegittimo, sarebbe stato convalidato o assentito, perché l’inesatta realizzazione aveva esposto gli acquirenti a costi occulti necessari proprio che la validazione del frazionamento.’) per sostenere che sarebbero ‘affermazioni … errate, oltre che illogiche’, perché così sarebbe ‘considerare irrilevante la deduzione dell’inutilità di una nuova domanda in sanatoria ‘, in quanto la domanda riguarderebbe proprio i costi della nuova domanda di sanatoria – qui non si può non rilevare subito che sostanzialmente
si censura la valutazione del significato della domanda che è affidata al giudice cui è proposta, entrando ancora nella inammissibilità , e così sarebbe pure ‘ritenere inconferente la circostanza dell’eventuale convalida postuma del frazionamento illegittimo’ e anche qui si intende portare al giudice di legittimità l’oggetto di una valutazione, riservata al giudice di merito -.
Il secondo submotivo, dunque, patisce la stessa inammissibilità di quello precedente.
6.1 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 1176 c.c. per avere il giudice d’appello ritenuto che la natura professionale dell’attività commissionata aveva reso responsabile il ricorrente (oltre al suo collega COGNOME) ‘anche per semplice colpa lieve’, considerate le circostanze del caso concreto e tenuto conto del dovere di diligenza ex articolo 1176, secondo comma, c.c. Oppone il ricorrente che l’incarico conferitogli avrebbe comportato ‘necessità di interpretare una norma giuridica di grande complessità’.
6.2 Anche questo motivo è inammissibile, in quanto tenta di trasferire al giudice di legittimità una valutazione inequivocamente fattuale sulla complessità o meno dell’incarico che l’attuale ricorrente aveva assunto, la quale peraltro sarebbe stata vagliabile dal giudice di merito ai sensi piuttosto dell’articolo 2236 c.c. se avesse rinvenuto elementi di peculiarità.
In conclusione, il ricorso risulta infondato.
7.1 Ne consegue il disattendimento per infondatezza anche del ricorso incidentale adesivo di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
7.2.1 Il ricorso incidentale proposto dai suddetti denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 97 c.p.c. per avere il giudice d’appello ‘immotivatamente ed in evidente violazione
dell’art. 97 c.p.c.’ condannato soltanto proprio NOME COGNOME e NOME COGNOME a rifondere le spese del grado agli appellati. 7.2.2 Premesso che questo ricorso incidentale non è tardivo, in quanto il controricorso in cui è stato inserito, a fronte di notifica del ricorso principale avvenuta il 30 marzo 2021, è stato notificato il 10 maggio 2021, che era lunedì (così giuridicamente non superando i 40 giorni dalla notifica del ricorso assegnati alla notifica del controricorso, in quanto lo soccorre l’articolo 155, terzo comma, c.p.c.), deve darsi atto della sua fondatezza, essendo stati i due geometri gli appellanti principali, che hanno suscitato il giudizio di secondo grado nel quale gli appellati hanno dovuto difendersi, con conseguente applicazione dell’articolo 91 c.p.c. disponendo la condanna anche degli appellanti principali nei loro confronti per soccombenza. Che poi anche gli appellanti incidentali siano stati condannati per soccombenza a rifondere le spese del grado agli appellati non sgrava certo gli appellanti principali da tale condanna; viene a conformarsi, invece, una responsabilità solidale di tutti i soccombenti quanto alla rifusione delle spese di lite alla parte vittoriosa.
L’accoglimento del ricorso incidentale qui evidentemente conduce alla decisione nel merito, condannando in solido le parti che sono state appellante principale e appellante incidentale a rifondere le spese del secondo grado agli appellati, come già liquidate dal giudice d’appello.
8. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, assorbito il ricorso incidentale non condizionato; va accolto il ricorso incidentale condizionato, con conseguente cassazione in relazione e, decidendo nel merito, vanno condannati in solido gli appellanti principali e incidentali a rifondere agli appellati le spese del secondo grado come liquidate dalla Corte d’appello.
Quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, si compensano – in considerazione della loro conforme posizione nella
vicenda -tra ricorrente principale e controricorrenti/ricorrenti incidentali, mentre per assoluta soccombenza si condanna la loro rifusione, nella misura liquidata nel dispositivo, ai meri controricorrenti.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale non condizionato, accoglie il ricorso incidentale condizionato, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna in solido gli appellanti principali e incidentali a rifondere agli appellati le spese del secondo grado, come liquidate dalla Corte d’appello di Roma.
Compensa le spese di legittimità tra il ricorrente principale e i controricorrenti/ricorrenti incidentali; condanna il ricorrente principale a rifondere ai meri controricorrenti le spese processuali di legittimità , liquidate in un totale di € 5000, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7 novembre 2024