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Responsabilità professionista: diligenza e compenso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un commercialista che chiedeva il pagamento per l’assistenza nella redazione di un piano di concordato preventivo. La decisione si fonda sulla grave negligenza del professionista, che non ha rilevato atti fraudolenti e distrattivi del patrimonio della società, poi fallita. La Suprema Corte ha confermato che la mancata diligenza professionale giustifica il mancato pagamento del compenso, sottolineando l’elevato standard richiesto in procedure concorsuali.

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Responsabilità del Professionista: la Diligenza è Requisito per il Compenso

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: la responsabilità del professionista che assiste un’impresa nella predisposizione di una proposta di concordato preventivo. La decisione chiarisce che una grave carenza di diligenza può comportare la perdita totale del diritto al compenso, anche se l’attività è stata formalmente svolta. Questo principio rafforza l’importanza di un approccio rigoroso e attento da parte di commercialisti e consulenti che operano in contesti di crisi aziendale.

I Fatti di Causa

Un dottore commercialista aveva assistito una società nella redazione di una proposta di ammissione al concordato preventivo liquidatorio. La procedura era stata aperta dal Tribunale ma successivamente revocata con contestuale dichiarazione di fallimento della società. Il professionista, a quel punto, chiedeva l’ammissione al passivo del fallimento in prededuzione per il suo compenso, pari a oltre 57.000 euro.

Tuttavia, sia il Giudice Delegato che il Tribunale in sede di opposizione rigettavano la sua domanda. La motivazione del rigetto si basava sull’inadempimento del professionista alla sua obbligazione di assistenza. In particolare, gli veniva contestato di non aver rilevato gravi atti, scoperti successivamente dal commissario giudiziale, che avevano decretato l’inammissibilità della domanda di concordato per frode ai creditori.

Il professionista ha quindi proposto ricorso per cassazione, contestando la valutazione del suo operato e sostenendo di aver agito correttamente.

La Decisione della Corte e la Responsabilità del Professionista

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale. Secondo la Suprema Corte, la motivazione della sentenza di merito era ben al di sopra del minimo costituzionale, in quanto illustrava in modo chiaro e diffuso le ragioni della decisione.

Il cuore della pronuncia risiede nell’aver individuato un “grave deficit rispetto allo standard di diligenza” richiesto a un professionista esperto. Questo deficit era tale da giustificare l’accoglimento dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela fallimentare, con la conseguente negazione del diritto al compenso.

Le Motivazioni della Decisione

Il Tribunale prima, e la Cassazione poi, hanno basato la loro valutazione su quattro specifici profili di inadempimento che dimostravano la scarsa diligenza del professionista:

1. Omesso rilievo di un’operazione distrattiva: Il professionista non aveva rilevato una complessa operazione decettiva, mascherata da compensazione, che in realtà nascondeva una rinuncia a crediti della società, con evidente danno per il patrimonio sociale e per i creditori. L’operazione era chiaramente soggetta ad azione revocatoria.

2. Mancata segnalazione di pagamenti revocabili: Erano stati omessi i dovuti rilievi su pagamenti effettuati in violazione della par condicio creditorum. Tali pagamenti avevano avvantaggiato gli amministratori della società, che erano anche fideiussori, alleggerendo la loro posizione debitoria a scapito degli altri creditori.

3. Errata graduazione dei crediti: Il piano presentava una scorretta graduazione dei crediti ipotecari, un errore grave che denotava una scarsa conoscenza delle norme che regolano le cause di prelazione.

4. Assenza di due diligence: Era mancata una adeguata due diligence su crediti che venivano indicati come inesigibili, una valutazione che richiede un’analisi approfondita e non superficiale.

La Corte ha sottolineato che non è necessario che il giudice di merito esamini ogni singola argomentazione difensiva, essendo sufficiente che la motivazione renda esplicito il percorso logico-giuridico seguito. Le giustificazioni del ricorrente, basate su complesse ricostruzioni giuridiche, sono state ritenute irrilevanti di fronte alla gravità delle omissioni.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per tutti i professionisti che operano nel campo delle procedure concorsuali. Lo standard di diligenza richiesto non è quello generico del buon padre di famiglia, ma quello qualificato dell’art. 1176, secondo comma, del codice civile, commisurato alla natura dell’attività esercitata. Assistere un’impresa in crisi richiede una perizia e un’attenzione massime, poiché il professionista agisce come un garante della correttezza del piano nei confronti dei creditori e del Tribunale. La responsabilità del professionista è quindi un elemento centrale: un lavoro negligente, che non individua atti fraudolenti o gravemente pregiudizievoli, non è solo un lavoro mal fatto, ma un inadempimento contrattuale così grave da annullare il diritto al corrispettivo. Questa pronuncia serve da monito: il compenso professionale si guadagna non solo svolgendo un incarico, ma svolgendolo con la massima perizia e integrità.

Un professionista che assiste un’impresa in un concordato preventivo può perdere il diritto al compenso?
Sì, può perdere integralmente il diritto al compenso qualora il suo operato dimostri un grave deficit di diligenza professionale, tale da configurare un inadempimento contrattuale. La negligenza deve essere significativa, come l’omessa rilevazione di atti fraudolenti o distrattivi del patrimonio.

Quali sono considerati inadempimenti gravi per un professionista in questo contesto?
Secondo la sentenza, sono inadempimenti gravi l’omesso rilievo di operazioni decettive, la mancata segnalazione di pagamenti preferenziali in violazione della par condicio, l’errata graduazione dei crediti e l’assenza di una adeguata due diligence sui crediti ritenuti inesigibili.

Il giudice deve esaminare tutte le argomentazioni difensive di una parte per motivare correttamente una sentenza?
No, la Corte ha ribadito che il giudice del merito non è tenuto a esaminare tutte le ragioni addotte dalla parte. È sufficiente che la motivazione della decisione renda esplicito e comprensibile il percorso logico-giuridico seguito per arrivare alla conclusione, concentrandosi sugli elementi ritenuti decisivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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